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09/08/2020

Scuola - Dalla formazione del cittadino a quella di “utente digitale”?

Da tempo avevamo esplicitato su Contropiano il sospetto che il governo volesse utilizzare l’ emergenza sanitaria per imporre nella scuola alcune trasformazioni permanenti e non legate al momento specifico.

Il Decreto e le relative Note Guida per la DDI (Didattica Digitale Integrata) emanate dal MIUR il 7 agosto ci danno purtroppo ragione.

Infatti, attraverso tale decreto l’insegnamento digitale a distanza entra a pieno titolo tra le attività istituzionali della scuola italiana.

Alla ripresa di settembre, ogni istituzione dovrà integrare la DDI all’interno del PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa) e anche nel regolamento interno. La DDI entra anche a far parte dell’orario di servizio degli insegnanti e ogni dirigente scolastico terrà conto, nella formulazione degli orari, dell’integrazione tra attività in presenza e a distanza. In base alle esigenze della DDI i consigli di classe sono tenuti a riformulare le progettualità didattiche, con particolare riferimento ai contenuti dell’insegnamento e alle connessioni interdisciplinari.

L’integrazione della DDI nelle normali attività scolastiche riguarda, per il momento, solo la scuola secondaria superiore, ma tutti gli istituti devono comunque redigere un piano specifico che potrebbe essere attuato in caso si rendessero necessarie nuove chiusure delle scuole.

Un passaggio inquietante riguarda l’indicazione circa il “bilanciamento” tra attività sincrone e asincrone, vale a dire tra quelle che si svolgono con la connessione contemporanea del docente e dei discenti e quelle invece che vengono fruite dagli studenti in solitudine, senza la presenza dell’insegnante.

In effetti, nelle Note Guida si parla della costituzione, presso ogni scuola, di un repository (per capirci, un archivio, un deposito) dove saranno conservate videolezioni registrate da singoli docenti che potranno essere riutilizzate qualora necessario. Di fatto, un archivio di conferenze, più che di lezioni, che potranno essere riproposte ad libitum e in cui, evidentemente, sarà assente ogni forma d’interattività.

Le Note Guida si profondono sulle sorti radiose e progressive della DDI che costituirebbe di per sé un’”innovazione” didattica, e permetterebbe la realizzazione di momenti d’apprendimento cooperativo o di pratiche molto amate dai Ministeri come la flipped classroom (classe rovesciata). Tali affermazioni sembrano inserite nel documento con una certa casualità, tanto per far intendere che con la DDI si possono attuare strategie e tecniche pedagogiche sperimentali (o alla moda), purtroppo molto diverse tra loro per ispirazione e risultati.

Ci chiediamo come al MIUR si pensi di poter conciliare la DDI con l’apprendimento cooperativo, mentre forse la DDI si adatta meglio alla “classe rovesciata” che, come è noto, si attaglia positivamente soprattutto a chi ha genitori laureati e una buona biblioteca domestica. Infine, qualche legittimo dubbio mi sembra si possa avanzare sull’idea, contenuta nelle Note Guida, che si possa fare “musica d’insieme” attraverso la DDI. Ma forse al MIUR non ci hanno mai provato, quindi non conoscono davvero il problema.

Perplessità, credo giustificate, solleva anche la tempistica didattica indicata dal Ministero. Infatti, si indicano quante ore di didattica dovranno essere impartite alle varie classi in caso di chiusura obbligata delle scuole. Appare abbastanza dannoso che dei bambini di prima elementare possano restare incollati a un PC per dieci ore settimanali, per poi passare a quindici in seconda. Imporre tre ore al giorno di lezioni digitali a dei bambini di sette-otto anni è davvero esagerato, come è anche troppo imporre agli studenti delle superiori ben venti ore settimanali a cui aggiungere non meglio definite “attività in piccolo gruppo”.

Dal punto di vista pedagogico, tutto questo significa immaginare una scuola dove il dialogo, la collaborazione tra docente e studenti, lo sviluppo di capacità dialogiche e critiche sono sacrificate all’acquisizione di contenuti e delle famigerate competenze.

Ma più in generale, immaginare che la DDI diventi un’attività abituale e quotidiana delle scuole può comportare la cancellazione della formazione dei giovani a essere parte di un corpo sociale, a confrontarsi sui problemi collettivi e sulle possibilità di affrontarli insieme, a vantaggio di una formazione all’atomizzazione e all’individualismo monadico. Insomma, dalla società all’individuo, come predicava Margaret Tatcher e buonanotte alla formazione del cittadino.

Alle questioni già citate, si aggiunge una serie di indicazioni organizzative che appaiono non disgiunte da quelle pedagogiche e politiche. In una situazione in cui spinge a oltranza la DDI, il Ministero non si perita di immaginare la realizzazione di una piattaforma pubblica a cui le scuole possano fare riferimento.

Al contrario, si demanda alle singole scuole l’individuazione di una piattaforma che abbia “requisiti di sicurezza” e di protezione dei dati personali. Come è noto, tutte le piattaforme attualmente disponibili sono proprietà di giganti dell’informatica e nascono per loro stessa natura per carpire dati personali da utilizzare in seguito a fini commerciali. Mi chiedo come al Ministero possa essere ignota questa semplice realtà.

Naturalmente, la parte degli ultimi, in questa vicenda, spetta come sempre agli insegnanti. Questi ultimi dovranno virtuosamente praticare la BYOD (un terribile acronimo che significa, in pratica, arrangiati e porta i tuoi attrezzi da casa), utilizzando i propri dispositivi informatici e le proprie connessioni private.

A questo proposito, le Note Guida ricordano che i docenti di ruolo “da anni” godono del bonus-formazione e che con questo possono comprarsi un PC (cosa non scontata, dato che è di 500 € l’anno), facendola però finita con la formazione per cui tale istituto era stato pensato. Ma non c’è problema, la formazione arriverà comunque, obbligatoria e centrata, guarda caso, sulla DDI. Di conseguenza, è cancellata la possibilità di aggiornarsi sulla propria materia d’insegnamento e su questioni pedagogiche rilevanti che non riguardino la DDI.

Una valutazione complessiva del nuovo decreto della Ministra Azzolina non può quindi considerare che esso impone una sterzata negativa alla scuola italiana e risponde ai suoi problemi nel modo esattamente contrario a ciò che sarebbe invece necessario, vale a dire con un importante aumento di organico e di spazi dedicati all’educazione. Scelta che non si vuole fare soprattutto per ragioni politiche ma anche di bilancio, visti i vincoli di spesa imposti dalla UE (ricordiamo che lo sforamento di bilancio è stato concesso solo per un anno).

Sulla questione organico, il MIUR ha inventato peraltro una nuova figura professionale, quella dei docenti precari a gettone. Infatti, la Ministra ha annunciato l’assunzione di 50.000 docenti precari che però, nel caso di nuovi confinamenti, saranno immediatamente licenziati senza diritto ad alcun indennizzo né sostegno economico.

Fatte salve le ovvie quanto negative considerazioni sindacali, mi sembra legittimo interrogarsi sulla qualità d’insegnamento di cui fruiranno gli studenti che, iniziando l’anno scolastico in presenza con uno o più di tali docenti, dovessero trovarsi a continuare con l’insegnamento a distanza con altri docenti sconosciuti e a cui sono sconosciuti, i quali, tra l’altro, si troverebbero ad avere una quantità enormemente aumentata di allievi.

Però a questi insegnanti a gettone, le Note Guida riservano la possibilità, visto che non fruiscono del bonus per la formazione, di poter avere in uso dalla scuola una device (cioè un dispositivo) informatico qualora ne restino a disposizione dopo che tutti gli alunni bisognosi l’abbiano ricevuta.

Insomma, se avanza, vi va bene, altrimenti arrangiatevi.

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