I Cream sono la band più celebre della scena blues revival che prese piede verso la metà degli anni '60 in Inghilterra. Di fatti, il loro sound
partì dalle musiche afroamericane, il blues del delta del Mississippi e
il rock 'n' roll degli anni '50, e approdò in terre molto
prossime all'hard-rock. I Cream hanno fatto da ponte tra il blues-rock dei bianchi, quello di John Mayall e dei primi Yardbirds, e l'hard-rock dei Led Zeppelin e dei primi Black Sabbath. In mezzo, insieme a loro, si trovano gli Who di "My Generation" e i primi Rolling Stones che, però, a differenza di Eric Clapton e soci, pur essendo bianchi nella pelle restavano "neri" nello spirito. Jimi Hendrix,
che per sua stessa ammissione decise di formare la sua band sull'onda
del furore incendiario sprigionato proprio dai Cream, va collocato,
nell'opinione di chi scrive, in un'area a parte, essendo egli erede
diretto delle sofferenze e dello sfruttamento subiti dai grandi bluesmen
neri del passato. Il blues è dolore da lenire, e la differenza tra
Hendrix e Clapton (i due chitarristi più amati degli anni '60) è
che quest'ultimo amava il blues, mentre Hendrix era il blues.
Quello dei Cream fu anche uno dei primi supergruppi rock: il chitarrista Eric Clapton,
con trascorsi negli Yardbirds e nei Bluesbreakers di John Mayall; il
batterista Peter Baker, che aveva collaborato con Alexis Korner e col
musicista nigeriano Fela Kuti; e il bassista Jack Bruce, anche lui
precedentemente affiliato alle band di Mayall e Korner.
Debuttarono
con "Fresh Cream" nel 1966, un album composto essenzialmente da cover di
vecchi pezzi blues riproposti con la potenza dei suoni elettrificati.
L'innovazione stava nelle fragorose distorsioni di Clapton, create
grazie al cosiddetto effetto wah-wah, che segnarono un nuovo
modo di suonare la chitarra elettrica, indicando un diverso territorio
su cui sciorinare il proprio virtuosismo; territorio sul quale ha
esercitato totale dominio Jimi Hendrix.
Con il secondo disco
"Disraeli Gears", i Cream, aiutati negli arrangiamenti anche dal
produttore Felix Pappalardi, trovarono un propria direzione compositiva
liberandosi dall'ingombro delle cover che dominavano
il disco precedente. In questo modo i tre, pur mantenendo i legami
strutturali col blues, furono liberi di inoltrarsi stilisticamente verso
l'hard-rock e la musica psichedelica, scongiurando così il pericolo che
la loro musica restasse semplicemente un banale, seppur gradevole, revival.
Il
disco parte da "Strange Brew", brano dal gusto pop dominato dalla
batteria sorniona di Baker e dagli assolo sfuggenti di Clapton. Quanto a
Bruce, è spesso considerato tra i migliori bassisti di sempre: il suo
ruolo non è quello di semplice portatore di ritmo, ma quello di arguto
tessitore di linee-guida armoniche per gli assalti di Baker e Clapton.
Ne è la prova la successiva "Sunshine Of Your Love", il loro capolavoro,
con Bruce che si distingue anche per la possente prestazione vocale.
Clapton e Baker fanno il resto: il primo con uno dei suoi assolo più
memorabili, e il secondo con il suo stile crudo ma pulito.
"World
Of Pain" è un altro pezzo in balìa del basso di Bruce, che gli
conferisce un tono quasi elegiaco; segue la breve cavalcata psichedelica
di "Dance The Night Away", con il basso di Bruce che cuce incantati
arabeschi e la chitarra di Clapton che sembra quasi imitare il suono di
un sitar. "Blue Condition" risulta persino ironica: una cantilena burlesca tra country e blues.
I riverberi fantasmagorici della chitarra di Clapton in "Tales Of Brave Ulysses" vengono infiammati dall'imponente drumming di Baker, mentre nell'assolo finale il già menzionato effetto wah-wah tocca epiche vertigini.
"Swlabr"
con le sue accelerazioni supersoniche regala lauti spunti per tutti gli
amanti dell'hard-rock. Il brano più affascinante del disco risulta,
però, "We're Going Wrong": uno spettrale raga-blues straniato dal
crescendo febbricitante dei tamburi e dal canto messianico di Bruce.
Solo
verso la fine del disco il gruppo sfodera due dei suoi blues-rock
magistrali: quello roccioso di "Outside Woman Blues" e quello campestre,
con tanto di armonica, di "Take It Back".
Il traditional "Mother's Lament", cantato in coro come un'accolita d'ubriachi all'uscita di un'osteria, pone fine al disco.
I
Cream non potevano durare molto; troppi erano i capricci da primedonne,
troppe le invidie reciproche, troppe le ambizioni di ognuno dei tre di
prevalere sull'altro, e infatti, dopo altri due dischi, nel novembre del
'68 ciascuno prese la propria strada: Bruce si diede al jazz, Baker
alla world music e Clapton si mise in proprio. Quest'ultimo riuscirà
perfino a disintossicarsi dall'eroina, ma non riuscirà a liberarsi
dall'arido manierismo tecnico che pervade quasi tutti i suoi lavori
solistici. Dispiace oggi constatare che il chitarrista rivoluzionario di
un tempo si sia trasformato rapidamente in uno Steve Vai qualsiasi.
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