Dopo i tre soldati uccisi lo scorso 29 dicembre, altri due militari francesi dell’Operazione Barkhane sono rimasti vittima di un attentato in Malì. L’attentato è stato rivendicato dal Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (GSIM), formazione jihadista affiliata ad al-Qaeda.
I due attacchi delle milizie jihadiste sono avvenute attraverso l’impiego di cosiddetti IED (ordigni semiartigianali) esplosi al passaggio di veicoli blindati francesi VBL.
Sta diventando alto il costo in termini di militari caduti francesi nel Sahel – con 59 morti dal 2013 , di cui 50 in combattimento – una cifra seconda solo a quella degli 86 soldati caduti in Afghanistan tra il 2001 e il 2011.
Il numero di militari caduti in Mali, Niger, Ciad ed altri paesi del Sahel ha surriscaldato il dibattito politico in Francia sul ritiro o il ridimensionamento dell’Operazione Barkhane che impegna attualmente 5.100 militari con 500 veicoli blindati, 400 veicoli logistici, una ventina di aerei e una quarantina di elicotteri.
Del resto la situazione politica in Mali continua ad essere ben lontana dalla “stabilità” ambita dalla Francia sia nei territori sottoposti alle incursioni delle milizie jiahdiste sia nelle città dove montano le proteste contro il governo-fantoccio di Parigi.
Il 28 dicembre la Minusma – missione Onu – ha reso nota la sua relazione sulla sanguinosa repressione delle manifestazioni antigovernative di questa estate. 14 morti, di cui 2 bambini e almeno 158 feriti.
Questa è la conclusione dell’indagine condotta dalla Divisione Diritti Umani e Protezione (DDHP) di Minusma sulle violenze avvenute a Bamako e in altre grandi città del Paese nel quadro di manifestazioni ostili al potere. “14 persone formalmente identificate sono state uccise durante gli interventi delle forze di sicurezza, tra cui la gendarmeria, la polizia, la guardia nazionale e la Forsat [Forza speciale antiterrorismo]”. Oltre agli arresti, il rapporto afferma che almeno 158 civili e soldati sono rimasti feriti tra il 10 e il 13 luglio.
Gli eventi risalgono a metà luglio, quando migliaia di maliani erano in piazza per chiedere le dimissioni del presidente Ibrahim Boubacar Keïta. Riuniti all’interno del Movimento del 5 giugno-Rally delle forze patriottiche (M5-RFP). Il 10 luglio, l’M5-RFP aveva organizzato la sua terza grande manifestazione e ribadito l’appello alla disobbedienza civile. “Alle 15:50, rispondendo all’appello dei leader del movimento una grande folla di manifestanti, visibilmente disarmata, si è divisa in diversi gruppi, si è diretta verso l’Assemblea nazionale, la sede del governo, la città amministrativa, e verso due ponti”, riferisce il rapporto della missione Onu. La repressione degenerò per diversi giorni.
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