Tra le tante voci che s’inseguono in questi giorni di crisi, alcune riguardano la scuola e le intenzioni in merito del nuovo governo. In realtà Draghi parla assai poco anche perché, nel caos della grande ammucchiata dei partiti, forse nemmeno lui sa quale reale programma potrà uscire su alcuni temi specifici di ordine non economico.
Ciò che si dice sulla scuola viene soprattutto da fonti indirette e, naturalmente, dalle solite uscite della Fondazione Agnelli, che come al solito pretende di dettare legge.
In tale contesto, sembra che qualcuno voglia rilanciare l’ipotesi già contenuta in un appello della scorsa primavera, firmato più da persone del mondo padronale e finanziario che di quello della scuola, poi caduto nel dimenticatoio.
L’idea è quella di prolungare l’apertura delle scuole, sembra, sino almeno a fine giugno, e ricominciare in anticipo per recuperare i giorni di scuola persi durante il presente anno scolastico. L’ammissione implicita contenuta in tale proposta è che la didattica a distanza, da tempo esaltata dagli uffici studi confindustriali, tanto da pensarla anche oltre l’emergenza e, sino a pochi giorni fa, anche dalla ministra Azzolina, non equivale a quella in presenza.
Un’affermazione che gli insegnanti fanno da mesi e mesi, pur impegnandosi nella didattica a distanza, ma come scelta d’emergenza.
A parte tale considerazione, è evidente che la proposta di prolungamento dell’anno scolastico non è realizzabile. Nel mese di giugno ci sono gli esami di maturità e anche quelli di licenza media, che impegnano gran parte dei docenti e che occupano gli spazi scolastici, di cui tra l’altro non si sa ancora quale potrà essere l’agibilità dato che è impossibile prevedere l’andamento della pandemia.
Molti altri docenti delle scuole superiori sono impegnati, in giugno, in corsi di recupero per colmare le lacune degli studenti meno preparati. Quanto a settembre, vale la pena ricordare che gli insegnanti sono già in servizio dal primo giorno del mese, per la preparazione dell’organizzazione didattica, con riunioni di programmazione e progettazione, mentre alcuni di loro si occupano di corsi di recupero.
Non si comprende quindi come si potrebbe iniziare la didattica dal primo settembre. Perché mai quindi fare proposte non realizzabili? Un po’ per ignoranza di come funziona la scuola, un po’ per fare la solita demagogia del governo che vuole “fare”, ma che trova ostacoli nei sindacati dei noti “statali lazzaroni”.
A tal proposito, giova ricordare che gli insegnanti non hanno perso un solo giorno di lavoro, in molti casi in presenza in condizioni pericolose per le scarse misure di sicurezza o a distanza lavorando più del loro normale orario a causa delle difficoltà di organizzazione di attività realizzate, peraltro, con i propri mezzi informatici personali.
Se giorni di scuola si sono persi, ciò è stato a causa dei ritardi nelle nomine degli insegnanti, che sono avvenute, in alcune situazioni, persino a novembre; e ciò soltanto a causa dell’inefficienza del Ministero.
Si consideri anche un dato che non è un dettaglio, vale a dire che l’anno scolastico italiano è il più lungo di tutta Europa, l’unico che raggiunge le 200 giornate effettive, dato che quasi tutti i paesi nostri vicini si fermano ai 180 giorni. Un ulteriore prolungamento sarebbe assolutamente fuori luogo e andrebbe comunque contro ogni regola legale, e ovviamente anche contro il CCNL.
Dell’impegno del futuro governo sulla scuola si sa effettivamente poco, ma i media enfatizzano i 29 miliardi che sarebbero destinati alla scuola nell’ambito del Next Generation EU, che ha fatto ritrovare tutti i partiti insieme affannati come cagnolini intorno all’osso.
Ci sarebbe da augurarsi, ma temiamo che così non sarà, che il nuovo governo Draghi riveda le scelte operate dal precedente governo per cui quel denaro (se arriverà, sempre meglio il condizionale) servirà a finanziare progetti di aziendalizzazione della scuola e a far finire in tasche private finanziamenti pubblici, come abbiamo già discusso.
Tra l’altro, il primo provvedimento necessario sarebbe un vero e massiccio reclutamento d’insegnanti, mentre si sente parlare di cifre che rappresentano una goccia nel mare. A questo proposito, ricordiamo che tra una settimana si aprirà l’inutile e pericoloso concorso per quei precari che comunque avrebbero diritto al ruolo perché hanno già lavorato 36 mesi.
Il Ministero dichiara che potranno essere ammessi in aula solo coloro che presenteranno il referto negativo di un tampone effettuato in prossimità della data delle prove. Un modo furbesco di scaricare sui partecipanti al concorso la responsabilità della sicurezza.
È noto che ottenere volontariamente un tampone nelle strutture pubbliche è impossibile e si deve ricorrere quindi ai privati, che provvedono non sempre in modo rapido e con una spesa che raggiunge anche i 100-120 euro.
Alle richieste di provvedere a dare disponibilità di tamponi o ad effettuare, eventualmente, tamponi rapidi prima dell’inizio delle prove, il Ministero non ha dato sinora risposta.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento