Con il Governo dell’economista Mario Draghi, l’Italia è definitivamente entrata nella fase di completa cessione della sovranità popolare e nazionale, proseguendo la lunga fase di controllo commissariale da parte delle potenze forti dell’Unione Europea nell’interesse della borghesia transnazionale, quale anima pulsante del polo imperialista europeo.
Ciò avviene in nome della prevalenza della scienza economica intesa come scienza del modo di produzione capitalistico orientato al profitto e allo sviluppo compatibile solo con le esigenze di fare impresa nel mercato dei capitali, senza dare alcuna risposta positiva ai pressanti problemi dell’economia: sviluppo qualitativo in grado di soddisfare i bisogni dei lavoratori, degli sfruttati, dei disoccupati, dei migranti.
Se l’insieme delle forze politiche parlamentari che daranno vita al governo Draghi, creando di fatto un arco di forze “incostituzionali” in quanto non rispettano i dettami della Costituzione italiana, si presentano come forze di speranza e di ripresa economica, noi economisti dobbiamo chiederci come intendono realizzare l’applicazione di una scienza economica e sociale del pensiero unico: cioè un potere assoluto di “macelleria sociale”.
Lo sviluppo di strumenti e metodologie, quantitative e qualitative, è stato uno dei punti di forza della scienza economica, sin dalla sua creazione nel 19° secolo.
Una delle direzioni dei dibattiti storici è stata quella di rifiutare o accettare la neutralità della valutazione degli strumenti convenzionali della macro e microeconomia e di altre aree della scienza economica. Inoltre, si è discusso se questi strumenti potessero essere l’unico modo oggettivo per ottenere risultati veramente scientifici nella ricerca economica.
Le scienze economiche sono un fenomeno relativamente recente, almeno rispetto ad altre discipline scientifiche, ma sono riuscite ad affermarsi come il principale strumento di misurazione della realtà sociale e come mezzo fondamentale di controllo e gestione della società stessa.
La rivendicazione scientifica di questa disciplina, in senso lato come politica economica internazionale, è, rigorosamente e indiscutibilmente, una questione politica, l’impianto di una visione ideologica. Oggi, più che mai, possiamo vederlo: il fallimento del modello dominante neoliberista e capitalista, in generale, è davanti agli occhi di tutti, evidenziandone la gravità.
Un modello economico-culturale che avrebbe dovuto garantire la prosperità generale e il miglioramento delle condizioni di vita ha generato il contrario, una crisi globale, una crisi di civiltà.
Come abbiamo già avuto modo di sottolineare in vari lavori, il ciclo economico in cui ci troviamo è iniziato più di quarant’anni fa, quando la crisi della sovrapproduzione ha dato luogo ad una grande e ancora irrisolta crisi dell’accumulazione capitalistica. Fino ad oggi, solo grazie all’analisi di Marx è possibile comprendere e valutare criticamente il funzionamento e le contraddizioni del sistema capitalista e, quindi, del suo modo di produzione.
È chiaro che l’economia politica marxista (o meglio la critica dell’economia politica) è scienza e ideologia critica allo stesso tempo. La critica non può avere per oggetto la trasformazione della scienza in potere assoluto; per Marx, la critica del pensiero che lo ha preceduto ha portato a un pensiero di sintesi.
Da questo punto di vista, tali bisogni non hanno alcun giudizio di valore soggettivo, poiché sono le condizioni soggettive da cui derivano i giudizi di valore, l’ideologia e le dottrine politiche.
Ci sono stati molti tentativi di separare gli elementi puramente oggettivi dell’economia da quelli che implicano un giudizio di valore. Siamo d’accordo che, ai fini della teoria e dell’analisi, i due sono inestricabilmente legati. Come accennato in precedenza, una delle caratteristiche della scienza della modernità è la creazione di rappresentazioni idealizzate della realtà che possono portare a concetti non empirici, cioè non realizzabili nella realtà.
Il fatto che il criterio di ricerca del modello assuma un giudizio di valore negli studi economici non significa che il processo di ricerca e i suoi risultati non siano scientifici, ma l’uso dell’economia pura non dovrebbe essere al di fuori della soluzione immediata e dell’interesse totale dei lavoratori, disoccupati, migranti e tutti gli sfruttati. L’essenza degli studi sull’economia politica è capire cosa c’è dietro questi modelli economici, rivelando i veri rapporti sociali di produzione.
Infine, è importante sottolineare che come area di vera e conflittuale opposizione al Governo Draghi, da tredici anni proponiamo un progetto Euro-Mediterraneo, l’ALBA che porta al distacco del soffocamento dell’euro, dei banchieri, del debito, della speculazione, per creare uno spazio per i popoli del Mediterraneo che guardi all’ALBA latinoamericana, in una prospettiva di transizione socialista.
Con la costituzione di una propria banca, con una propria moneta, con una solidarietà e una cooperazione basata non su vantaggi comparativi e assoluti, ma su vantaggi complementari tra i diversi paesi. Questa idea è ora all’ordine del giorno non solo in Italia ma anche in Spagna, Francia e Portogallo.
Alba, quindi, per una futura umanità che non debba più essere sottoposta al Governo dell’economia che domina la realtà politica degli interessi degli sfruttati che, con le forze politiche e sindacali di classe, si oppongono al Governo Draghi, combattere la barbarie e l’oppressione dell’imperialismo e del liberalismo.
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