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11/02/2021

Russia: i comunisti e la “naval’niade”

Se in occidente, per ovvii motivi, si presenta quale “unico oppositore” in Russia il pregiudicato Aleksej Naval’nyj, nella stessa Russia, per motivi non altrettanto ovvii, si associa spesso la contestazione (difficile parlare di contrapposizione) del Cremlino alle sole manifestazioni “contro la corruzione”, organizzate da una parte dei settori liberali: i naval’niani, appunto.

Complice di ciò, con ogni probabilità, l’atteggiamento benevolo, o quantomeno, cauto, nei confronti del potere classista moscovita, da parte dell’unico partito, tra quelli usciti una trentina d’anni fa dalle ceneri del PCUS, che conti una frazione parlamentare e rappresentanze in tutto il Paese, anche ai vertici in alcune Regioni e Circondari: il KPRF di Gennadij Zjuganov.

Un partito che, oltretutto, proprio sulla questione della naval’niade, sta manifestando “articolate” posizioni interne, in una dialettica parzialmente legata anche al timore di perdere quote di elettorato. Se infatti c’è pressoché unanimità nel giudicare le manifestazioni liberali quale espressione di una élite che aspira al potere, contro un’altra cerchia che il potere ce l’ha già, si notano però chiaramente dei distinguo sulla valutazione dei meeting di quella opposizione, sulla composizione sociale e generazionale dei partecipanti e, soprattutto, se vi si debba prender parte o meno, pur con proprie parole d’ordine, in attesa di organizzarne dei propri (così, ad esempio, Valerij Raškin, Primo segretario di Mosca del KPRF, o l’ex Governatore della regione di Irkutsk, Sergej Levčenko, fatto dimettere mesi fa e il cui figlio è stato arrestato con accuse poco chiare) avendo comunque presente la natura sistemica del cosiddetto “principale oppositore”.

Oppure se si debba invece smascherarli come passi che ricalcano una strada ormai sperimentata, denunciando il carattere di “ariete” dell’opposizione naval’niana, ma contestando al tempo stesso i metodi del potere, che oggi sembrano rivolti contro gli “agenti del capitale straniero”, ma che possono benissimo dirigersi anche contro chi denuncia il prezzo fatto pagare ai lavoratori per l’arricchimento del capitale interno.

E ci si chiede anche chi ci sia dietro il blogger “perseguitato”. Non certo solo CIA ed MI6. Il politologo Platon Besedin, ad esempio, ricorda su iarex.ru le parole di Èduard Limonov: «Avete visto molte persone, in Russia, messe dietro le sbarre e poco dopo rimesse in libertà?»; oltretutto, più di una volta.

“Voglio ricordare che Naval’nyj è l’unica persona con due condanne condizionali. A nessun altro è stata accordata una tale estrema clemenza“, ha detto il Pubblico ministero il 2 febbraio. Non pochi sono pronti a scommettere che, anche questa volta, Naval’nyj non sconterà per intero i due anni e mezzo inflittigli.

Per quanto riguarda le tendenze manifestate in alcuni settori della sinistra a partecipare alle manifestazioni “contro la corruzione”, ancora su iarex.ru Vladimir Pavlenko osserva che Naval’nyj agisce a vantaggio degli interessi stranieri ed è ben coperto da precisi settori interni, azzardando quindi un parallelo tra la situazione attuale e l’alleanza, nel febbraio 1917, di alcune forze di sinistra con la borghesia “liberal-compradora” filo-occidentale, con palesi addentellati in alte sfere del potere.

Di conseguenza, secondo Pavlenko, l’aggressione liberal-compradora interna non può che spingere all’interazione tattica dei comunisti con i «settori liberal-nazionali, per difendere sovranità e integrità territoriale e contrastare l’espansione sovversiva dell’Occidente, condotta per mano dei liberal-compradori. Come nel febbraio 1917, i comunisti, senza preoccuparsi delle accuse di “collaborazione col regime”, dato che si tratta del confronto tra posizioni patriottiche e antinazionali, non prenderanno parte alle manifestazioni della borghesia compradora e sosterranno gli sforzi del potere per contrastare il golpe arancione, verso cui quella spinge».

Da qui, l’obiettivo strategico di «una svolta a sinistra», per cui la linea «patriottica in politica estera verrà completata dal ripristino della giustizia sociale in politica interna».

In che modo? Qui l’autore si limita a dire che, nel caso il golpe arancione si realizzi, i comunisti dovranno riappropriarsi dello slogan di Lenin di un secolo fa «Nessun sostegno al governo provvisorio!» e, in vista dell’«inevitabile e totale collasso» di esso, la «logica porterà agli stessi risultati dell’ottobre 1917».

Par di capire, insomma, che i comunisti à la Pavlenko, i “risultati dell’ottobre 1917” li auspichino solo in caso di “insurrezione” contro il possibile golpe liberale, mentre la “svolta a sinistra”, data dalla “giustizia sociale”, verrebbe lasciata al buon cuore dei settori “liberal-nazionali”.

Ora, a parte che, a nostro modesto parere, il paragone con il 1917 sembra zoppicare quantomeno da una gamba (vero che il governo provvisorio era agli ordini del capitale anglo-francese e, nell’interesse di quello, aveva rovesciato il regime zarista; ma, quest’ultimo, era altrettanto dipendente da quello stesso capitale, ai cui occhi aveva però la colpa di non condurre adeguatamente la guerra. Chi interpreta oggi il ruolo della corte zarista?), un appoggio così completo ai «settori liberal-nazionali», da parte delle forze chiamate a sostenere gli interessi dei lavoratori, ci sembra che sia un po’ come affidarsi al papa per difendersi dall’imperatore, auspicando che lo Stato pontificio tagli meno teste.

Che si rimangi cioè l’aumento dell’età pensionabile, metta un freno all’aumento dei prezzi, soprattutto per i generi alimentari, cessi la “ottimizzazione” di scuola e sanità pubblica e le privatizzazioni industriali, contrasti la disoccupazione, e via di questo passo. Tutti obiettivi che qualsiasi governo “liberal-nazionale” inserisce sempre spontaneamente tra le proprie priorità... come no!

Insomma, le domande rimangono: che significato dare alla partecipazione (che ora va scemando, ma non è detto che non torni a crescere) alle manifestazioni dell’opposizione liberale da parte delle persone (non solo giovanissimi) stanche del corso sociale e politico del Cremlino?

Che atteggiamento devono tenere i comunisti russi? Devono cercare di diffondere proprie parole d’ordine, con concrete rivendicazioni sociali e indicazioni politiche, tra i settori oggi “solo stanchi” di una crescente disparità di condizione, data da stipendi (ufficiali) che il russo comune fatica a immaginare?

Come passare dalle proteste “contro la corruzione” – la ricchezza così sfacciatamente ostentata, solo in certi casi deriva da corruttela – all’organizzazione della lotta, non per la rivoluzione, ma anche soltanto per una “svolta sociale”?

Tutte domande che, al momento, non sembrano trovare risposte precise e concrete tra le forze comuniste russe.

Certo, oggi, in Russia, c’è corruzione; c’è anche sfoggio di ricchezza, di contro a disoccupazione, bassi salari, redditi poco al disopra del minimo di sussistenza per almeno venti milioni di persone, ecc. E questo non sembra turbare particolarmente la quiete del Cremlino.

Che ci sia corruzione, in diversi casi fino ai più alti vertici statali, lo dimostrano gli episodi (da non confondere con le vicende di mazzette milionarie “scoperte” solo per far fuori un ministro concorrente in tema di privatizzazioni) che ogni tanto mandano dietro le sbarre personaggi più o meno noti: l’ultimo episodio è di un paio di giorni fa e riguarda il dirottamento di centinaia di milioni di rubli nella realizzazione del cosmodromo “Vostočnyj”, nella regione di Amur.

Come reagisce il russo medio di fronte al frequentissimo ripetersi di tali episodi e, soprattutto, all’allargarsi della forbice sociale, corruzione o meno? In questa cornice, il punto principale è davvero (soltanto) la fantomatica “reggia di Putin” – che: “non è sua”, e invece “è mia”, o forse “è mia e di mio fratello” – che agita così tanto le acque dei media occidentali?

Chi non sa che in Russia (ma anche in Ucraina, Kazakhstan, per dire, o in altre ex Repubbliche sovietiche) “villini” simili a quello del film girato non si sa bene dove, abbiano cominciato a spuntare come funghi più di trent’anni fa?

All’inizio, forse un po’ per pudore, forse perché non tutti avevano ben chiaro come sarebbe andata a finire, si cominciò a costruirli lontano dagli occhi dei russi comuni; poi, via via che le cose prendevano la piega voluta, certe remore sparirono e lo sfoggio di ricchezza, come diceva Marx, diventava anche un «mezzo di credito, diventa addirittura una necessità di mestiere per il “disgraziato” capitalista. Il lusso rientra nelle spese di rappresentanza del capitale».

Ora, al 1 gennaio 2021, afferma l’economista Elena Veduta su realtribune.ru, le disuguaglianze sociali erano cresciute di una volta e mezzo rispetto al 1 gennaio 2020 e la fuga di capitali di 2,2 volte (47,8 miliardi di dollari), mentre la popolazione era diminuita di 510.000 unità (una diminuzione più acuta si era registrata solo nel 2005: 564.500 persone) e non solo a causa della pandemia: «La fonte dei mali è il capitalismo in putrefazione, che guadagna sui mali dell’umanità e sfrutta nel proprio interesse una pandemia, comparsa casualmente o non casualmente», dice Veduta.

In ogni caso, tra il 2013 e il 2021, la popolazione con redditi inferiori al minimo di sussistenza è passata dal 11% al 13,3%.

E all’altro capo, per dire, Aleksej Miller, capo di Gazprom, guadagna ufficialmente 2 miliardi di rubli all’anno; 1 miliardo lo intasca il capo di Sberbank, German Gref; ma anche la ballerina Marija Šuvalova, figlia ventiduenne del banchiere ed ex vice premier Igor Šuvalov, può ignorare la povertà con 176 milioni al mese.

E la direttrice dell’osannata RT, Margarita Simon’jan può ben spiegare ai pensionati perché debbano essere soddisfatti delle attuali misere pensioni: basta che ricordino, ha detto, come fossero ancor più misere le pensioni negli anni ’90.

In effetti, mettendo in tasca, tra RT e TV-Novosti, poco meno di un milione e mezzo di rubli al mese (insieme al marito, Tigran Keosajan, attore e conduttore di NTV, pare che portino a casa un po’ più di 150 milioni l’anno) non è difficile sostenere, parlando della Rivoluzione d’Ottobre, che “nel mio organismo si è formata una resistente allergia a giustificare Stalin”, il quale, secondo voci storiche consolidate, alla morte avrebbe lasciato non dače o regge sparse per l’Unione Sovietica, ma solo “due pastrani sgualciti e una divisa militare”.

E moltissimi russi questo lo sanno. E, forse, un pensierino ce lo fanno, a paragonare quei “due pastrani” con la “reggia” il cui fortunato beneficiario sarebbe Arkadij Rotenberg, al 36° posto tra i i più ricchi biznesmeny russi, con un patrimonio di appena 2,9 miliardi di dollari.

Tra l’altro, se la graduatoria individuale russa è guidata da Vladimir Potanin, con 19,7 mld $, i Rotenberg si sono aggiudicati il primo posto nella classifica dei clan familiari più ricchi per il 2020 (5,45 mld $), sommando al patrimonio di Arkadij quello del fratello Boris (1,1 mld $), del figlio Igor’ (0,95 mld $) e della figlia Lilija (0,5 mld $) e aumentando in un anno il patrimonio complessivo di 270 milioni di dollari, grazie anche alla vendita della “Strojgazmontaž” alla statale “Gazprom” per 75 miliardi di rubli.

E comunque, in totale, a dispetto della pandemia e nonostante la crisi del mercato, nel 2020 il patrimonio complessivo delle dieci famiglie più ricche è cresciuto di 1,5 mld $, arrivando a quota 26,8 miliardi, mentre i dieci miliardari più ricchi hanno accresciuto i propri patrimoni complessivi di 33 miliardi di dollari.

Chiarita dunque la vicenda della fantomatica “reggia” a Gelendžik (o dove diavolo sia), significa che tutto è a posto? Non esattamente, perché, come dice lo storico comunista Evgenij Spitsyn, al di là dei giovanissimi che rispondono agli appelli della naval’diade, molte persone, bene o male, vuoi per esperienza diretta, o per essersi informate, o per i racconti di famiglia, conoscono la situazione sovietica, pur anche degli ultimi anni, e la confrontano con quella attuale.

Questo non aggiunge ottimismo tra la gente. «Palazzi, palazzi, aerei, yacht, ville... quand’è che ne faranno indigestione?» sospira Spitsyn; «non un solo dirigente o alto funzionario sovietico possedeva, non dico un palazzo, ma nemmeno una dača: alla morte, tornava tutto allo Stato. Era tutto patrimonio statale».

Le persone sono stanche di vedere «tutte queste ville, residenze, palazzi reali, da una parte e, dall’altra, interi complessi industriali ridotti in macerie» o venduti al capitale straniero.

A questo proposito, un discorso a sé meriterebbe la vicenda del recente passaggio di mano di “Rusal” (quasi tutta la bauxite e l’alluminio russi) e “Evrosibènergo” da Oleg Deripaska, miliardario della cerchia putiniana, che le controllava tramite la holding “En+”, a capitali statunitensi e britannici, il tutto tramite una manovra di sanzioni del Ministero delle finanze USA e, con la sponsorizzazione della russa Sberbank. “En+”, possiede impianti energetici in varie regioni russe e “Evrosibènergo”, controlla gigantesche centrali idroelettriche e 11 centrali termiche in Siberia.

“En+” controlla anche la holding “Russkie Mašiny” e “Gruppo GAZ”: “RM-Tereks”, GAZ, i famosi produttori di autobus PAZ e LiAZ, KAVZ e lo stabilimento automobilistico “Ural”: tutto finito sotto controllo yankee.

Tornando ai grattacapi delle organizzazioni comuniste e all’atteggiamento da adottare nei confronti dei meeting naval’niani, Gennadij Zjuganov afferma che la «questione non consiste in Naval’nyj in quanto tale. Vero colpevole delle proteste è l’attuale corso socio-economico, con una politica che rovina il Paese e umilia intere generazioni. E su questo giocano i nostri nemici esterni. Naval’nyj è il moderno pope Gapon, chiamato a incendiare una majdan russa. Cosa fanno invece le nostre autorità? Arrestano i cittadini senza motivo! Arrestano i nostri militanti e anche i nostri deputati locali. Naval’nyj non è che un’operazione speciale, elaborata per le persone deluse dalla politica attuale».

Dietro ogni episodio di questa «operazione speciale spiccano gli stessi burattinai, che prima hanno distrutto l’URSS con le mani di El’tsin e Čubajs. Emergono le stesse tecnologie con cui hanno affossato l’Ucraina, incendiato il Caucaso e l’Asia centrale. Oggi le stesse canaglie infiammano il nostro paese. Lo sfondo per questo è costituito dal partito presidenziale “Russia Unita” e dalla cannibalesca riforma pensionistica».

Non molto dissimile la posizione del RKRP (Partito comunista operaio russo) che qualifica Naval’nyj come “elemento del sistema” e però, nella prospettiva di un allargamento delle manifestazioni, si interroga su quale atteggiamento adottare.

«L’atteggiamento è quello che nasce dalla constatazione che nel paese ci sono molte persone indignate per le palesi disuguaglianze, il lusso insolente dei borghesi, il ladrocinio dei funzionari. Le persone sono indignate, ma non sanno cosa fare per cambiare la situazione», mentre Naval’nyj e i suoi basano le loro attività sulla «propaganda anti-corruzione, che trova eco tra la gente. La reggia a Gelendžik è secondaria. Il fatto invece che i parassiti stiano ingrassando è assolutamente certo. Ed è indubbio che tra quei parassiti... in prima linea ci siano gli amici di Putin».

Zjuganov ha definito Naval’nyj “l’ennesimo pope Gapon“. «Non si deve offendere Gapon; lui, quantunque sotto controllo della polizia, era abbastanza sincero nel predicare la lotta per liberare la classe operaia dallo sfruttamento. Naval’nyj, invece, che si definisce “sostenitore del nazionalismo civile”, non chiama ad alcuna liberazione dallo sfruttamento. Le sue richieste potrebbero benissimo risuonare dalle labbra di Putin e Mišustin. Il che dimostra che Naval’nyj è un elemento del sistema... è il portavoce della “borghesia liberale”, che esige privatizzazioni più decise, eliminazione di ogni limitazione al capitale e legami più stretti con l’Occidente.

In fin dei conti, una tale opposizione, quantunque non molto gradita, è vantaggiosa per il Cremlino: al confronto, Putin & Co. sembrano patrioti. Cosa dire del fatto che la radio e il sito web Ekho Moskvy, principali centri organizzatori e propagandisti dei liberali, appartengono a Gazprom, la compagnia più putiniana di Russia?»
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Le contraddizioni nella società si sono «inasprite, aumenta l’indignazione per le disuguaglianze sociali. A sostegno di Naval’nyj intervengono sempre più coloro che tendono alla giustizia sociale, ma che non comprendono che, con le loro mani, si vuol sostituire una squadra della borghesia con un’altra. La crescita di tali proteste e l’assenza di slogan anticapitalisti parla, tra l’altro, dell’attuale debolezza del movimento comunista in Russia.

Il nostro compito è quello di portare questa coscienza e dirigere la lotta dei lavoratori contro il sistema capitalista in quanto tale, e non per la sostituzione di alcune figure al Cremlino con altre. Ci siamo già passati: Gorbacëv con El’tsin, El’tsin con Putin, Putin con Medvedev... e ora, Putin con Naval’nyj?»
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La domanda, però, resta: cosa fare e come muoversi di fronte alle proteste “contro la corruzione”? Il 23 febbraio, anniversario della fondazione dell’Esercito Rosso, il KPRF sarà in strada con propri slogan sociali e per la scarcerazione dei comunisti arrestati.

Vedremo come reagirà il Cremlino.

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