Partiamo da una constatazione: la partecipazione della “compagneria” alla discussione pubblica, su fatti posti al centro dell’attenzione di tutti, è profondamente deludente. Il minimo che si possa dire è che non si notano affatto valori comuni, un briciolo di metodo condiviso, tanto meno “una visione” che consenta di ordinare gli argomenti, i giudizi di valore, il grado di importanza di ogni elemento.
Sui social, poi, si è accettata da decenni la logica del “gioco della torre”, imposto dai “grandi intellettuali” di Repubblica (giornale Fiat, vorremmo segnalare) e del sistema dei media.
Cosa vuol dire? Che tutto si riduce a “prender parte” schierandosi pro o contro il personaggio (non l’argomento) del giorno. Si prendono le biografie, i contratti, le cazzate dette in altre occasioni, si shekera il tutto e l’argomento sparisce.
Eppure tutti sanno, e ripetono, che “la realtà è complessa”, che molti fattori differenti concorrono a determinare ogni singolo problema; e che le figure sociali sono ormai “liquide”, alternabili, sovrapponibili nella stessa persona nell’arco di una sola giornata (ben oltre il classico scindersi in lavoratore/consumatore/cittadino/pedone/automobilista/ciclista ecc.). Insomma, che qualsiasi individuo può dire scemenze clamorose e cose interessanti nell’arco della stessa giornata, o dello stesso discorso.
Però, quando si prende parola (più spesso tastiera) per dire cosa si pensa su un fatto pubblico, le parti ammesse in commedia sono soltanto due: pro o contro. Spesso senza neanche essersi informati un minimo sui termini reali del problema.
Chiaro, secondo noi, che questo pensiero non pensante discende da una crisi intellettuale di massa nell’Occidente neoliberista, dalla devastazione apportata alla scuola e alle università, dalla riduzione del sapere a banali competenze che non reggono all’aggiornamento tecnologico più di qualche anno, all’ancor più generale crisi del modo di produzione capitalistico, che ha cancellato il futuro dal proprio orizzonte e si propone di eternare il presente, non avendo idea di come evolvere (si tagliano le spese, ma non ci sono “progetti” di lungo respiro, tantomeno nel PNRR di Draghi e dei suoi colleghi europei).
Ma dirsi questo non basta, perché è come dire che di notte tutte le vacche sono nere...
Eppure la situazione generale evolve (negativamente, certo) a grande velocità. Richiederebbe attenzione, lucidità, capacità di distinguere, per poter azzardare mosse, prendere iniziativa, cercare alleati temporanei (che erano magari nemici ieri e lo saranno stasera), farsi forti delle debolezze dell’avversario (almeno quanto lui si fa forte delle nostre divisioni e stupidaggini). Provare a pareggiare, almeno, se vi fa paura pensare a vincere...
Invece no, prevale l’isolamento solipsistico, l’insorgenza individuale, la differenziazione assoluta, la confortevole “certezza” dell’autoripetizione che non dice niente a nessun altro se non a se stessi (piccoli circoli, al massimo).
Prendiamo un esempio concreto di questi giorni, per uscire dall’astratto.
Tutti, ma proprio tutti, hanno dovuto/voluto dire la proprio sul caso Fedez/Rai. Fino alla noia...
Quasi nessuno, “a sinistra”, si è messo a ragionare sull’evidente “maggiore complessità” del problema, che investe – come minimo – le tre confederazioni sindacali “complici”, una multinazionale che sponsorizza il “concerto dei lavoratori”, il primo maggio e il suo immaginario, i problemi concreti del lavoro dipendente in ogni forma contrattuale, le regole del sistema mediatico (che la stessa dirigente Rai, Ilaria Capitani, ha chiamato “sistema”), ecc.
Abbiamo assistito sconsolati a una pletora di “io sto con Fedez”, osteggiati da una serie altrettanto poco variegata di “Fedez mi fa schifo”. Come se tutta la complessità del tema (la libertà di parola e/o di informazione) fosse riducibile a un personaggio e alla sua mini-biografia.
Un cantante-influencer alquanto attratto dai soldi, del resto, presenta innumerevoli profili criticabili, e non solo dal punto di vista “comunista”. Stiamo parlando di uno che ha scritto cose come “Comunisti col Rolex” per fare rumore e allargare la sua “base imponibile”, guadagnandosi anche simpatie a destra. Uno che fa il testimonial per Amazon e che perciò, dal palco della “festa dei lavoratori” avrebbe potuto anche dire due parole a favore di chi lavora in quell’inferno. E invece si è occupato di uno scontato diritto civile che, in quanto tale, non ha particolati connotazioni di classe e non disturba (ufficialmente) nessuna azienda.
E si potrebbe andare avanti a lungo, come si fa con i personaggi pubblici che traggono il loro “peso” da questo saper occupare la scena.
Ma proprio l’immergersi nei dettagli del personaggio fa perdere di vista “il sistema”, e dunque accettare la realtà passivamente.
Dal nostro punto di vista la cosa da discutere è l’involuzione della libertà di informazione nel mondo occidentale, che pure si autoproclama graniticamente a favore di questa libertà. Anche perché, nonostante il “regime capitalistico” sia attivo oggi come 50 anni fa, l’informazione è notevolmente peggiorata.
Da questa angolatura, lo scontro Fedez/Rai è un sintomo caratteristico di un regime talmente sicuro di sé che ormai non esercita il suo potere soltanto sulle classi popolari, ma anche all’interno della “propria classe”.
Ognuno di noi sa che nessuna lotta o manifestazione viene più neanche “notiziata”, a meno che non ci siano cariche di polizia immediatamente classificate come “scontri” (dove di solito ci si mena reciprocamente, cosa che non avviene più da decenni). E non ci si stupisce più, lo si considera “normale”. E magari ci si interroga pensosamente su come “bucare” il muro alzato dai media mainstream...
Ma se c’è un muro bisogna cercare di allargare le crepe – che esistono sempre – intanto individuandole.
E allora bisogna mettere in fila 1.000 casi di “censura”, per gente ignota e qualche “famoso”, per creare una massa critica in grado di sfondare o allargare quelle crepe. E non saranno certo solo le nostre lagnanze, per fatti che riguardano noi (le lotte ignorate, le manifestazioni criminalizzate, ecc.), a “commuovere” e smuovere quel muro.
Lasciamo da parte Fedez, altrimenti si resta impigliati in una discussione priva di sbocco. Prendiamo un altro caso che sta scuotendo la Rai dall’interno, ma di cui non si vede traccia su nessun media rilevante (o almeno non con la stessa evidenza).
Angelo Figorilli, capo redattore degli esteri al Tg1, è finito sotto istruttoria per alcune sue affermazioni fatte sui social. Ossia fuori dall’esercizio della sua professione e fuori da ogni legame contrattuale; come un qualsiasi libero cittadino.
A promuovere l’azione è direttamente l’amministratore delegato della Rai, Fabrizio Salini, che ha risposto così alle sollecitazione della destra fascista, in specifico del noto Maurizio Gasparri.
Cosa ha combinato il povero Figorilli? Da qualche parte (Facebook, Twitter o chissà dove) ha definito l’arresto di Pietrostefani a Parigi una “vendetta”, invece che “l’affermazione della giustizia”. Attenzione! Solo il caso di Pietrostefani, ex dirigente di Lotta Continua, non tutti e dieci gli esuli della “grande operazione”.
Non sappiamo come gli sia nata quella definizione in mente (la stessa che abbiamo dato noi, riferendola però a tutti gli arrestati). Forse per l’età (78 anni), forse per il quadro clinico problematico, forse perché non era tra gli “esecutori materiali” della morte del commissario Calabresi, forse...
L’episodio è assolutamente identico a quello dell’operaio dell’ArcelorMittal di Taranto, Riccardo Cristello, licenziato per aver commentato su Facebook un serial televisivo (Svegliati amore mio) con un “sembra Taranto...”. Con qualche “aggravante”, visto che Figorilli è un professionista dell’informazione nel “sistema”, non un estraneo o un “dipendente” di ultima fila.
Ora a noi sembra ovvio che il capo redattore esteri del Tg1 non possa essere considerato un campione dell’internazionalismo proletario, visto che dal Tg1 non è mai arrivato un solo servizio minimamente critico verso gli Usa (per lo meno dagli anni della guerra in Vietnam) o la politica estera di Italia ed Unione Europea. Dunque ne discutiamo non per dare una non richiesta solidarietà, ma per mettere in evidenza come “il sistema” funziona in questo momento.
Dice una banalità inutile chi sostiene “è sempre stato così”.
In primo luogo perché non è vero. Ogni tempo ha una sua cultura egemone, campi di valori condivisi in parti sociali anche molto diverse. C’è stato – qui, in questa disgraziata Italia – un tempo in cui i conservatori si scandalizzavano per gli “eskimo in redazione”, quando accanto a un Montanelli poteva lavorare un “sincero democratico” che scriveva articoli a favore di operai e studenti, tra una lotta e uno scontro vero, non un pestaggio di polizia.
Oggi domina il pensiero unico fascio-liberale. Quel “modo di pensare” e “adeguarsi al sistema” che a parole sbandiera i diritti civili (mentre contribuisce a cancellare quelli sociali, dal lavoro al salario, dal contratto alla sicurezza di non morire lavorando), nei fatti silenzia qualsiasi espressione reale di quegli stessi diritti. Di fatto, libertà per le imprese, divieti per tutti gli altri.
Il “sistema” – con Fedez e Figorilli, che ne fanno certamente parte – mostra una contraddizione interna, un eccesso di “vigilanza” che ne rivela la fragilità. Una contraddizione che può e deve essere sfruttata per aprire più ampi spazi al conflitto sociale e politico.
Evidenzia una crepa che va allargata. E chi scrolla le spalle, invitando a non occuparsene, contribuisce a richiuderla. Nel loro linguaggio, chi fa questo sta con il sistema.
Noi no.
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