Prima della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre, l’assistenza sanitaria nell’impero russo era spezzettata tra diversi enti e organizzazioni di beneficenza, mentre nelle città era rappresentata principalmente da medici dediti all’attività privata.
Per l’intera popolazione, che nel 1913 contava 159 milioni di persone, c’erano 28.000 medici, vale a dire una media di due medici ogni 10.000 abitanti. Per di più, la maggior parte dei medici operava nelle grandi città della parte europea della Russia.
Gli ospedali contavano 208.000 posti-letto (1,3 ogni 1.000 abitanti). All’epoca, oltre un terzo delle città non aveva ospedali.
Per condizioni sanitarie, la Russia zarista era il paese più arretrato d’Europa. Due milioni di bambini morivano ogni anno di malattie. La durata media della vita non superava i 32 anni. Eventi ricorrenti erano le epidemie di tifo petecchiale e tifo a ricadute, colera e altre malattie infettive. Praticamente assente ogni medicina preventiva.
Nelle campagne, nonostante tutti gli sforzi dei medici territoriali (degli zemstvo), la situazione era anche peggiore. In base ai dati ufficiali della Direzione dell’ispettorato principale, nel 1909, per ogni medico territoriale c’erano una media di 24.500 abitanti.
Inoltre, in circa un terzo degli zemstvo non era stato attivato un sistema distrettuale, per cui si verificavano notevoli ritardi, coi medici costretti a girare per i villaggi, per visitare i singoli malati.
Subito dopo la Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre, il 22 dicembre 1917, il Governo sovietico adottò il decreto sul “programma di assicurazione operaia”, con cui si allargava significativamente il numero di cittadini interessati all’assicurazione sanitaria. Per di più, tutte le spese di assicurazione erano a carico degli imprenditori.
Queste misure riscontrarono l’appoggio convinto delle masse lavoratrici, che ottenevano così l’accesso a un’assistenza medica qualificata e gratuita, ma si scontrarono anche col boicottaggio di larga parte della comunità medica, che non riconosceva il potere sovietico e attendeva un suo prossimo rovesciamento: il che portò al ritorno al vecchio sistema di lavoro.
Il congresso panrusso dei dipartimenti medico-sanitari, svoltosi a Mosca il 15-18 giugno 1918, riconobbe la necessità di dar vita a un Commissariato del popolo all’assistenza sanitaria, cui facessero capo tutte le questioni medico-sanitarie della Repubblica Sovietica.
Primo Commissario del popolo alla sanità fu Nikolaj Aleksandrovič Semaško, che occupò la carica fino al 1930. Nel suo intervento al congresso, Semaško illustrò i principi di organizzazione dell’assistenza sanitaria sovietica, rilevò da un lato la necessità di eliminare il precedente spezzettamento intersettoriale e, dall’altro, di raggiungere l’obiettivo di assicurare una medicina curativa accessibile a tutti, elevando il livello qualitativo dell’assistenza medica (creazione di ambulatori e cliniche specializzati).
Nell’intervento di Semaško si sottolineava particolarmente la necessità di combattere le spaventose epidemie (in particolare tubercolosi, colera, malaria, malattie veneree e simili). In tal modo, per la prima volta nel mondo, venne creato un organo statale di vertice, che riuniva nelle proprie competenze l’intero sistema di assistenza medico-sanitaria della Repubblica Sovietica.
Il Congresso formulò i principi base dell’assistenza sanitaria sovietica. Il Consiglio dei Commissari del popolo della RSFSR incaricò il Commissariato del popolo alla sanità di adottare misure straordinarie per combattere le malattie, assicurando allo scopo i relativi finanziamenti e lo impegnò a fare rapporto, due volte la settimana, sull’andamento della lotta alle epidemie.
La formazione di un sistema unitario di assistenza sanitaria sovietica avanzava tra mille difficoltà. Era necessario superare la resistenza all’unificazione della medicina da parte di una serie di dipartimenti.
In particolare, ciò riguardava l’unificazione del settore sanitario del Commissariato del popolo alle vie di comunicazione e la Direzione principale della sanità militare.
Il nuovo sistema sovietico di assistenza sanitaria veniva formandosi nelle condizioni di un flusso enorme di feriti dai fronti della guerra civile e anche di un gran numero di malati e profughi, a fronte di un’acuta carenza di medici, personale sanitario, ospedali e medicinali.
La maggiore difficoltà consisteva nel fatto che il nuovo sistema sanitario veniva formandosi per la prima volta, privo di qualsivoglia esperienza nella creazione di strutture simili.
A dicembre 1918, il Governo sovietico approvò il decreto sulla nazionalizzazione delle farmacie. Per l’organizzazione dell’assistenza medicinale nelle nuove condizioni, in seno al Commissariato del popolo alla sanità venne creato uno speciale dipartimento farmaceutico, con sotto-dipartimenti farmaceutici nelle Direzioni per l’assistenza sanitaria dei Soviet locali.
Gradualmente, i medici specialisti, cominciarono a prendere coscienza che il Partito bolscevico e il Governo sovietico, come pure le decisioni da essi adottate e i decreti nel campo dell’assistenza sanitaria, rivestivano carattere permanente e venivano attuate con coerenza.
Come risultato delle misure adottate dal Governo sovietico, qualificate prestazioni di assistenza sanitaria divenivano un diritto sempre più garantito a tutti i lavoratori sovietici e all’intera popolazione del nostro paese.
Una delle cause principali della diffusione di malattie infettive erano le condizioni sanitario-epidemiche oltremodo sfavorevoli del paese, aggravate dal basso livello di cultura sanitaria della popolazione e complicate ancor più dalla guerra civile e dall’intervento straniero, insieme alla rovina economica da queste provocata. Pesava inoltre l’acuta carenza di articoli d’igiene, disinfettanti, materiali per la disinfezione di camere, bagni e simili.
Tra le malattie infettive del tempo, le più diffuse riguardavano il tifo parassitario, in particolare il tifo petecchiale, di cui tra il 1918 e il 1922 si ammalarono oltre 6 milioni di persone. In quegli anni, la mortalità generale tra i malati di tifo petecchiale fu del 6-9%.
In una serie di regioni, poi, imperversava la malaria. Per organizzare la lotta alle epidemie, nei primissimi giorni di lavoro del Commissariato del popolo alla sanità, nel suo corpo venne creato un Dipartimento sanitario-epidemiologico.
Nel 1918 fu creata una Commissione centrale per la lotta alle malattie epidemiche. Sulla base dei materiali operativi di tale Commissione, venne compilato e distribuito un piano di lotta alle epidemie, che prevedeva l’aumento di posti-letto negli ospedali, organizzazione e equipaggiamento di bagni a vapore, lavanderie, punti di disinfestazione, registrazione delle malattie, come anche un’estesa campagna di educazione sanitaria.
Su proposta di V.I. Lenin, tra i capitoli del Commissariato del popolo alla sanità vennero incluse l’assicurazione medica e le spese per la protezione di maternità e infanzia.
A marzo 1920 si tenne il 2° Congresso panrusso dei Dipartimenti della sanità e in quella sede vennero tirate le somme del lavoro svolto e delineate le ulteriori vie di sviluppo dell’assistenza sanitaria sovietica.
A quell’epoca, rispetto al 1913, il numero di enti sanitari era cresciuto del 40%, era significativamente migliorato il servizio di trattamento e prevenzione, era stato organizzato un efficiente servizio di assistenza medica domiciliare, creati punti di primo soccorso nei luoghi di lavoro, le epidemie si erano drasticamente ridotte.
In particolare, si deve notare che tutto ciò era stato ottenuto nelle condizioni della guerra civile non ancora conclusa. Una delle più importanti risoluzioni adottate fu quella sull’assistenza prioritaria alle produzioni particolarmente nocive.
Nel 1920-1921, il dipartimento sanitario-epidemiologico del Commissariato del popolo alla sanità condusse una campagna per la lotta alle malattie gastro-intestinali acute. Nel quadro di tale campagna, venne organizzata una “Settimana dell’approvvigionamento idrico”, con l’obiettivo di attirare l’attenzione sulla salvaguardia delle fonti idriche e l’adozione di misure urgenti per la loro qualificazione. Ci si occupò anche di depurazione e risanamento delle fonti idriche.
Il Commissariato del popolo alla sanità adottò misure su larga scala per combattere il colera. Nelle città e nei villaggi, in prossimità delle stazioni ferroviarie e dei punti di approdo fluviali e marittimi vennero condotte urgenti iniziative di carattere anti-epidemico.
Venne estesa la rete degli ospedali. A vecchi e nuovi istituti di cura vennero assicurati attrezzature, medicamenti e generi alimentari. Venne messa a punto una alimentazione dietetica per gli ospedali. In tal modo, già nel 1922 poté esser raggiunta una significativa riduzione delle malattie e nel 1923 le epidemie vennero praticamente eliminate.
Nel 1919 N.A. Semaško presentò un progetto di decreti sulla vaccinazione anti-tifica obbligatoria e le misure atte a garantire, ai relativi istituti sanitari, i necessari materiali e attrezzature. Tutte le decisioni e le misure previste dal rapporto di N.A. Semaško vennero immediatamente realizzate.
All’epoca, nella prevenzione della diffusione di malattie infettive, particolare attenzione veniva prestata all’educazione sanitaria di massa. Si pubblicavano brossure a carattere popolare e manifesti per la lotta al tifo petecchiale e quello a ricadute e altre malattie infettive.
Venivano anche organizzate varie “settimane” sanitarie: la “settimana della lotta al tifo” e altre simili.
Obiettivo di tali “settimane” era quello di portare la popolazione a conoscenza delle questioni dell’assistenza sanitaria e coinvolgerla in una partecipazione attiva e cosciente alla salvaguardia della salute. Grazie a simili iniziative si riuscì a raggiungere una svolta significativa nella lotta alle epidemie e a creare le condizioni per la loro completa eliminazione.
Con la fine della guerra civile e il passaggio alla Nuova politica economica, il Commissariato del popolo alla sanità concentrò l’attenzione sul ripristino dei vecchi e la creazione di nuovi istituti di cura, sull’adozione di estese misure di profilassi per sanificare gli ambienti di lavoro e di vita.
Vennero adottate misure per organizzare dispensari anti-tubercolari e anti-venerei, che dispiegarono un’energica attività non solo curativa, ma anche profilattica. Si dette vita anche a un’estesa rete di dispensari per la lotta alle malattie professionali.
Si cominciò a organizzare un servizio dispensariale per gli operai occupati in produzioni in cui sussistessero condizioni di lavoro nocive, inserendoli obbligatoriamente in speciali elenchi e sottoponendoli a periodici e completi controlli medici, allo scopo di individuare tempestivamente eventuali malattie.
Il Commissariato del popolo alla sanità mise anche a punto istruzioni per l’organizzazione dei posti di lavoro e per assicurare a essi i necessari accessori, per l’ottimale sistemazione degli ambienti domestici e dei diversi istituti di servizi abitativi. Particolare attenzione era prestata allo stato di cortili, borghi, giardini e parchi.
Per l’ulteriore miglioramento del sistema di assistenza medica e di profilassi delle malattie, si procedette a organizzare un’estesa rete di sanatori e luoghi di riposo. Anche nelle condizioni della guerra civile, il Potere sovietico riuscì a mantenere attivi molti luoghi di cura sulle coste caucasiche del mar Nero. A conclusione della guerra civile vennero costruiti nuovi luoghi di cura e centri di salute.
Già a gennaio 1921 partirono alla volta della Crimea tre treni sanitari da Pietrogrado, Mosca e Ivanovo-Voznesensk. Nel 1920 operavano già 22 luoghi di cura (erano appena 5 nel 1919).
Alla fine del 1921, sulle coste meridionali della Crimea furono ripristinati 9 sanatori e per la fine dell’anno erano già 23. Nel corso del 1921-1922 vennero aperti luoghi di cura sulle coste caucasiche del mar Nero, mentre nel 1923 se ne aprirono altri nell’Oltrebajkal e in Estremo oriente.
In quel periodo crebbe notevolmente il numero di persone seguite nei luoghi di cura. Prese sviluppo anche una rete di istituti specializzati nello studio delle questioni relative ai luoghi di cura.
Nel 1925, nel rapporto del Commissariato del popolo alla sanità, N.A. Semaško diede notizia dei successi raggiunti dalla medicina sovietica. In quel periodo, la mortalità si era già notevolmente ridotta. In particolare, la mortalità infantile nei bambini fino a un anno di età si era ridotta in media dal 27,6% del 1913 al 13,7%. Drasticamente ridotta la morbilità da infezioni di massa.
Si rilevava una veloce crescita di istituti sanitari di vario tipo, in particolare di tipo curativo-profilattico, come pure di istituti per la protezione di maternità e infanzia. Al tempo stesso, si evinceva però il ritardo nell’assistenza sanitaria nelle campagne e la necessità di misure per il suo miglioramento.
Nel maggio 1927 si tenne a Mosca il 6° Congresso dei dipartimenti di sanità, che tirò le somme di quanto fatto in 10 anni dagli organi di assistenza sanitaria.
Nel suo rapporto a questo Congresso, sulla situazione dell’assistenza sanitaria e i prossimi compiti, N.A. Semaško sottolineò i significativi successi della medicina sovietica, che si esplicitavano nella riduzione del 20% di malattia e morbilità da malattie infettive, l’aumento del 40% del numero di posti-letto ospedalieri rispetto al 1913 e anche nella significativa crescita di punti medico-ambulatoriali e consultori femminili.
A capo del Commissariato del popolo alla sanità della RSFSR, N.A. Semaško mise a punto i principi teorici di organizzazione della medicina sovietica, che rimasero a fondamento dell’attività e dell’ulteriore sviluppo dell’assistenza sanitaria nel nostro paese. In base agli sviluppi teorici di N.A. Semaško, sin dai primi anni del Potere sovietico andò formandosi nel nostro paese un sistema di assistenza sanitaria dai principi completamente nuovi, che prese il nome di Sistema Semaško.
Grazie a esso, negli anni della Grande guerra patriottica, i soldati sovietici, per la prima volta nella storia delle guerre, non conobbero alcuna diffusione di massa di epidemie di malattie infettive. Nonostante le difficoltà del tempo di guerra, tutti i focolai di morbilità infettiva al fronte e nelle retrovie venivano prontamente soffocati con azioni coordinate dei medici sovietici.
Successivamente, proprio il sistema Semaško si rivelò in grado di impedire la diffusione dell’epidemia di peste nera proveniente dall’India nel 1959; e nel 1969 venne prontamente a capo del focolaio di colera a Astrakhan e Odessa.
Ancora in tempi non lontani, finché continuava a operare il “sistema Semaško”, era come se noi non avessimo idea che nel nostro paese potessero comparire epidemie di malattie infettive con innumerevoli vittime. Non a caso, alle elezioni per il Parlamento britannico nel dopoguerra, uno degli slogan del Partito laburista era “Creiamo un sistema di assistenza sanitaria come in URSS”.
La restaurazione del capitalismo nel nostro paese, e in particolare le riforme “di mercato” degli anni ’90, hanno assestato un sensibile colpo al sistema Semaško, quantunque non abbiano potuto distruggerlo subito.
L’attacco all’assistenza sanitaria gratuita ha avuto una spinta particolarmente forte con la comparsa nella medicina russa dei “manager efficienti”: gli affaristi della medicina. Per screditare il sistema sovietico di assistenza sanitaria, quegli affaristi hanno messo in circolazione una serie di miti circa i difetti di base e l’inefficienza della medicina sovietica.
Terreno fertile per tali miti erano stati gli episodi di stagnazione nella società sovietica e, in particolare, nella sua assistenza sanitaria negli anni ’60 e ’70, allorché la restaurazione del capitalismo nel nostro paese era già un fatto acquisito e in Unione Sovietica dominava un capitalismo monopolistico di Stato, immancabilmente spacciato dalla propaganda borghese come socialismo, o addirittura come “socialismo sviluppato”, all’inizio con l’obiettivo di parare la critica di classe proletaria e, poi, negli anni della perestrojka “gorbačëviana”, quale aperta calunnia anticomunista.
In quel periodo, si assisté a una sistematica diminuzione dei fondi di bilancio stanziati per la medicina e, alla fine degli anni ’80, gli stanziamenti non superavano il 40% delle necessità. Proprio allora, nei frangenti della psicosi da perestrojka, si cominciò a parlare della “necessità di riformare il sistema sovietico di assistenza sanitaria”.
Quale alternativa all’operante sistema Semaško, vennero proposti i “modelli” occidentali di “medicina statale-assicurativa”. A inizi anni ’90 venne introdotto su tutto il territorio della Russia il sistema di Assicurazione Medica Obbligatoria (AMO).
Parte dei finanziamenti era a carico del bilancio, mentre un’altra parte era a carico dei fondi di assicurazione medica, in cui i “datori di lavoro” erano tenuti a versare le trattenute dai pagamenti nella misura del 3,6% dal fondo salari (una ulteriore voce di detrazioni dai redditi da lavoro dipendente).
Ricordiamo che negli anni ’90 l’industria si trovava in una condizione di crisi sistemica, cui si accompagnavano disoccupazione di massa, lunghi ritardi nel pagamento dei salari, pagamenti “in nero” fuori busta e cose simili, il che aveva portato a una brusca riduzione di quel poco che rimaneva di finanziamento dell’assistenza sanitaria dal bilancio statale.
Il sistema AMO venne a trovarsi in una situazione di sistematico sottofinanziamento, che portò a una secca contrazione del volume di sostegno alla medicina gratuita, come pure a una fuga in massa di medici, a causa dei bassi salari, da ospedali e policlinici e, infine, al discredito dello stesso sistema AMO.
Contemporaneamente, venne lanciata nel paese una campagna per l’introduzione dell’Assicurazione medica volontaria (AMV): si parlava cioè già apertamente di assistenza medica a pagamento. (Notiamo che anche il sistema AMO era, di fatto, già a pagamento, in quanto veniva finanziato a spese delle trattenute sui salari dei lavoratori).
Ma tutto questo non era che l’inizio dell’attacco dei “manager efficienti” al sistema Semaško che, nonostante l’introduzione generale e ubiqua della medicina a pagamento, non era stato possibile fino a quel momento eliminare completamente.
E se nel nostro paese il numero delle vittime dell’epidemia da coronavirus non è stato il più tremendo, se confrontato coi “paesi capitalisticamente sviluppati” (ad esempio USA e Gran Bretagna) lo dobbiamo alle rimanenze non ancora eliminate del sistema sovietico di assistenza sanitaria: il Sistema Semaško.
Pubblicato su Proletarskaja gazeta; n. 44 – maggio 2021
Traduzione di Fabrizio Poggi
Nikolaj Semaško (1874-1949; la madre era sorella di Georgij Plekhanov), nel 1893 entrò nell’Unione di lotta per la liberazione della classe operaia, quindi nel POSDR, aderendo alla frazione bolscevica. Arrestato nel 1895 e espulso dall’Università imperiale moscovita, si laureò poi nel 1901 all’Università di Kazan’. Medico. Durante l’emigrazione politica, dal 1906 al 1917, fu tra i più vicini compagni di Lenin.
Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, nel 1918 fu il primo Commissario del popolo alla Sanità della RSFSR. Professore, membro dell’Accademia di scienze mediche dell’URSS nel 1944 e dal 1945 membro dell’Accademia di scienze pedagogiche della RSFSR.
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