I segnali che alcuni paesi della Nato stiano sabotando una possibile tregua nella guerra in Ucraina, erano stati abbondanti nei giorni scorsi e qualche osservatore più attento – o meno servile – li aveva individuati.
Un indicatore parziale era stato lo “svarione” del Corriere della Sera online che sulla prima pagina del 30 marzo aveva prima titolato “C’è un asse anglo-americano che probabilmente punta a far fallire la trattativa”. Ma è stato costretto a correggere dopo 10 minuti con un assai più allineato “I timori di Stati Uniti e Gran Bretagna”. Non era un refuso, ma due chiavi di lettura completamente opposte tra loro.
Qualche giorno prima c’era stato un altro fuori programma: il discorso di Biden in Polonia che, non concordato con i propri consiglieri, né con propri alleati europei e da questi criticato, aveva chiesto esplicitamente la testa di Putin, facendo evaporare qualsiasi aspettativa positiva sugli esiti e le possibilità dei negoziati a Istanbul tesi ad ottenere almeno una tregua.
Tre giorni fa due elicotteri “ucraini” hanno forato le frontiere russe e bombardato un impianto petrolifero a Belgorod. Ma, molto stranamente, l’Ucraina invece di rivendicare la vittoria per un raid riuscito sul territorio nemico – cosa che in guerra indubbiamente galvanizza le proprie truppe – ha smentito di essere autrice dell'operazione.
La Russia, che ha ammesso l’attacco sul proprio territorio, ha accusato del raid, in modo neanche troppo sibillino, i paesi vicini al confine russo. Non lo ha esplicitato, ma le orecchie devono essere fischiate nelle capitali delle Repubbliche Baltiche aderenti alla Nato e nelle quali stazionano contingenti e forze speciali Usa, britanniche... ed anche soldati italiani. Anche se, per la posizione dell’obbiettivo colpito, l’attacco può essere venuto solo dal territorio ucraino.
I media mainstream italiano omettono, o dedicano poca attenzione a, quanto accade anche intorno all’entourage di Zelenski, eppure di fatti da approfondire ce ne sono eccome.
Prima viene ucciso un membro della delegazione ai negoziati (e tutti si sono accontentati di metterci una pietra sopra e via, ndr); poi venerdì Zelensky rimuove due generali in quanto “traditori”. Infine, nelle stesse ore, tra venerdì e sabato, un generale dei servizi di sicurezza ucraini (lo SBU) è stato arrestato alla frontiera mentre stava tentando di disertare. E la frontiera non era quella russa ma quella ungherese, ossia di un paese Nato.
Non può non aver colpito il linguaggio del presidente ucraino quando, in una intervista – venerdì, al network Usa Fox News – ha dichiarato che “Oltre alla vittoria, il popolo ucraino non accetterà nessun risultato”. Vittoria e compromesso non sembrano poter coincidere in un piano negoziale per una tregua.
E poi proprio ieri, 2 aprile, il Dipartimento di Stato Usa ha esplicitamente dichiarato che: “Non spingeremo l’Ucraina a fare concessioni e abbiamo costantemente affermato che gli Stati sovrani hanno il diritto di scegliere le proprie alleanze e decidere la propria sicurezza”.
Queste spinte tese a ostacolare i negoziati non sono però sfuggite a diversi osservatori. “Mentre Mariupol affronta un assalto russo, la speranza per i negoziati diventa confusa”, scrive il Washington Post di ieri, “perché la Russia sta cercando di rivendicare la sua prima vittoria strategica nella guerra nella città portuale ucraina, ma intanto ci sono ragioni per credere che i russi e gli ucraini siano ancora distanti su una serie di questioni importanti”.
Una situazione di crescente opacità intorno ai negoziati viene rilevata anche da IlSole24Ore del 2 aprile: “Qualcuno sembra interessato a sabotare la vigilia delle già difficili trattative tra russi e ucraini, alla ricerca di un modo per mettere fine alla guerra”, scrive il quotidiano confindustriale, sempre attento a fornire informazioni utili agli investitori e ai terminali economici che hanno bisogno più di fatti che di propaganda.
Tre giorni fa su Il manifesto, Alberto Negri sottolineava giustamente di un “Biden tentato di prolungare un conflitto che logora Putin e riempie le casse americane“. Anche perché, scrive ancora Negri, “l’Europa dovrà pagare di più la quota Nato, comprando ovviamente più armi e aerei da caccia Usa, e anche più gas americano. Tutto a beneficio delle corporation e del complesso militar-industriale”.
C’è poi la recentissima decisione degli Stati Uniti di fornire armamenti pesanti all’Ucraina. Decisione analoga è stata presa dalla Gran Bretagna, e i terminali di questi rifornimenti saranno sicuramente la Polonia e le Repubbliche Baltiche, cioè i due paesi Nato alla frontiera con la Russia che da sempre spingono per l’escalation.
I paesi dell’Unione Europea, al contrario, sperano – più silenziosamente che pubblicamente – che si arrivi prima possibile ad una tregua sul campo che consenta di abbassare le tensioni che stanno squassando i mercati e le economie europee (ma non quelli Usa) e quindi di riaprire una fase meno tempestosa delle relazioni in Europa.
Infine, mentre l’Unione Europea aveva trovato una soluzione per risolvere il problema del pagamento in rubli del gas russo (i “doppi conti correnti” previsti dal decreto di Putin), Usa e Gran Bretagna sono intervenuti a gamba tesa, nel quadro del G7, per far saltare ogni possibilità in tal senso.
Le aspettative europee su una tregua che abbassi le tensioni non coincidono dunque con quella dell’asse Stati Uniti-Gran Bretagna-Polonia che, al contrario, punta proprio su un aumento dell’escalation militare e il fallimento di ogni negoziato dal quale la Russia possa ottenere qualche, a questo punto parziale, risultato.
Il perimetro del risultato che Russia e Ucraina intendono ottenere dal negoziato appare però ancora una incognita subordinata a fattori esterni al teatro di guerra. Un po’ come era già accaduto per gli accordi di Minsk, sabotati dall’esterno ogni qualvolta si avvicinavano ad una sintesi accettabile per entrambi i paesi.
Appare ormai evidente che la strada dei negoziati non solo sia in salita, ma che l’Ucraina viene apertamente sobillata da Usa e Polonia a non trattare con la Russia e far proseguire la guerra. Se le cose stanno così prepariamoci ad un bagno di sangue in Ucraina e Russia e ad una precipitazione della situazione complessiva in Europa, e non solo sul piano economico.
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