Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

07/04/2022

Il caldo mito del fallimento della guerra lampo russa

La riproposizione del mito di Sparta in 300 di Zack Snyder ci ha riportato, da tempo, ai racconti fondativi sul rapporto tra Oriente e Occidente e a quello tra mito, guerra e organizzazione sociale così come si consumato nell’antichità. E, se guardiamo bene, questi temi vengono riproposti nella nostra contemporaneità visto che proprio il film di Snyder ha rappresentato una rilettura mitopoietica, di costruzione delle origini della frattura storica tra Occidente e Oriente a partire dallo scontro tra le città ateniesi e l’impero di Serse attorno al 480 a.c.

Il film, a suo tempo, fu stroncato brutalmente dal Guardian che lo definì una qualcosa di buono solo “per l’agenda dei neoconservatori” mentre, all’uscita del sequel, nel 2014, non mancarono letture critiche che lo ritennero adatto per rappresentare il bisogno politico di una nuova frattura culturale fondando mitologicamente l’allora nascente scontro tra Occidente e Russia. Il punto che, qui, lega mitologia popolare digitale di Snyder e miti storici sulla città guerriera ateniese è quindi di serio interesse: si tratta della costruzione di narrazioni sull’unicità di Sparta, in termini di efficienza militare e di rispetto della democrazia, nei racconti fondativi dell’antichità come nell’uso di Snyder che, con forza, rielabora questi racconti a fondazione di un primato antropologico non rovesciabile dell’Occidente verso l’Oriente.

Se la storiografia da tempo ha fortemente ridimensionato l’unicità di Sparta, nella Grecia antica, come entità guerriera siamo ancora lontani dal ridimensionare questa unicità sul piano militare odierno nei rapporti tra Oriente e Occidente. Prima di tutto perché gli Usa, militarmente parlando, vivono in una dimensione non paragonabile ad altri paesi poi perché l’Occidente si immagina, nelle mitopoiesi alla Snyder, che gli altri, in questo caso i russi, quando provano a imitarlo sono destinati a mostrare la loro disastrosa minorità.

La guerra lampo, nella mitopoiesi e nella ricostruzione storica occidentali, è qualcosa che appartiene all’Occidente per fondazione. Fatta di tecnologia, comunicazione, acciaio e velocità la guerra lampo ha presto traslocato dal campo originario, quello tedesco, per arrivare a essere l’esempio della volontà di potenza occidentale dominante militarmente anche nel XXI secolo. Se andiamo a vedere Schock and Awe di Ulman e Wade, del 1996, l’arma di “difesa” delle democrazie occidentali per il nuovo secolo è una guerra lampo che, confidando sulla superiorità tecnologica occidentale, è in grado di sconfiggere il nemico in poco tempo ripristinando, in breve, le condizioni di riproduzione del mondo neoliberale interrotte dalla presenza di entità ostili.

Dai libri alla prova della realtà il passo però è stato breve: l’operazione denominata proprio Schock and Awe, per l’occupazione americana dell’Iraq nel 2003, ha dimostrato che, nella guerra, il lampo può essere seguito non dalla vittoria ma, piuttosto, da un lungo e disastroso impantanamento su territori niente affatto resi docili dall’impatto di un attacco tecnologico, violento e coordinato da parte dell’Occidente. Allo stesso tempo però, proprio per le caratteristiche di primato tecnologico sulle quali è costruita, la guerra lampo è comunque proprietà dell’Occidente, elemento materiale della sua unicità quindi del suo primato antropologico.

Il fallimento russo nella guerra lampo, prodotto dai media in queste settimane, è stato prima di tutto un riflesso antropologico condizionato delle nostre società. Quello secondo cui la Russia, quando si muove a imitazione del campo occidentale, sia destinata al disastro. Certo, la comunicazione di guerra occidentale, a sostegno dei movimenti del governo ucraino, non poteva che negare i progressi russi sul campo evidenziando solo quelli ucraini. Ma questo modo di comunicare, sui media ufficiali e sui social, si è sviluppato secondo un preciso schema narrativo: quello del “fallimento della guerra lampo russa” utile a confermare la mitopoiesi dell’unicità occidentale che vuole che chi ci imita, come fanno i russi, finisce nel pantano. Questo oltre il piano tattico, che per i media occidentali coincide con le esigenze del governo ucraino (su altri piani è differente), che serve a dare fiato a Zelensky visto che “i russi non hanno sfondato”.

Se la mitopoiesi è uno strumento di coesione collettiva, specie in guerra quando il pensiero critico ha particolari difficoltà a farsi notare, l’analisi sul campo serve per capire che consistenza abbia la narrazione ufficiale che viene raccontata su differenti piattaforme digitali. E dal campo, come è accaduto per AnalisiDifesa.it, tra l’altro una testata filo-occidentale, le risposte sono state ben diverse rispetto a quanto immaginato dal mainstream. Vediamo brevemente alcuni aspetti.

1. I russi non è che non ci sanno imitare: combattono diversamente da noi. Non hanno quindi sviluppato una strategia di guerra lampo da applicare in Ucraina. Piuttosto una di Hybrid Warfare che, secondo lo stesso dipartimento di difesa USA, è “una fusione di diversi approcci piuttosto che l’esaltazione di una singola tattica”. E che i russi abbiano sviluppato una strategia ibrida piuttosto che di guerra lampo lo testimonia anche il fatto che già dai primi anni 2000 le loro massime espressioni di teoria della guerra erano sulla hybrid warfare.

2. La guerra lampo presuppone condizioni climatiche estive o primaverili (come durante la seconda guerra mondiale o in Iraq nel 2003) tali da garantire una veloce penetrazione sul campo. La guerra in Ucraina nel 2022 è partita su un altro tipo di terreno, neve e fango, secondo criteri di lenta penetrazione. C’è da chiedersi quindi che tipo di guerra ibrida sia – più concentrata sulla distruzione delle infrastrutture fisiche, poco cibernetica, finora ben posizionata sul piano del financial warfare – piuttosto che concentrarsi sul piano di una guerra lampo che non c’è mai stata.

3. Il numero dei soldati impiegati nel primo attacco all’Ucraina è nettamente inferiore a quello necessario per una guerra lampo sempre stando alle stime (occidentali) disponibili: 100 mila poi 150 mila addirittura inferiore persino allo stesso complesso delle forze ucraine (attorno ai 200 mila). Un numero di soldati simile, rispetto all’avversario che è difensore e quindi con punti strategici di vantaggio, serve solo per una strategia di Hybrid Warfare che, per i russi, si dispiega attraverso un impiego sincronizzato di truppe, carri, missili, aviazione per poi disporsi sugli altri piani di guerra (comunicativo, finanziario etc.). Poi, chi vinca o meno è altra questione.

Il campo, come per il lavoro etnografico, ci dimostra quando, e come, la mitopoiesi, come quella di Snyder, si dispone in questa guerra: come caldo strumento di legittimazione per la costruzione di un racconto mediale, il fallimento della guerra lampo russa ovvero di qualcosa che non è mai esistito. Ma, nonostante non sia esistita la guerra lampo russa, ed esista piuttosto il prodotto narrativo costruito sul suo mito, questa alimenta un potente campo di forza che crea coesione collettiva nel campo occidentale, alimenta le tattiche d’interdizione verso il nemico “orientale”, guadagna tempo per i tentativi di costruzione di una alleanza in grado di sconfiggere la Russia. Allo stesso tempo, in questo modo, quello che dice che i russi non possono imitarci nel campo di eccellenza della guerra, viene mantenuto vivo il mito dell’unicità militare e democratica dell’Occidente proprio come lo manteneva Sparta, quella vera, con strumenti narrativi propri.

A prescindere dall’evoluzione sul campo della guerra in corso, dalle specifiche responsabilità di tutte le parti in causa per questo sconsiderato disastro ucraino, il campo di forza dei miti e della comunicazione continuerà a produrre consenso, della coesione sociale e adesione allo sforzo bellico. Inoltre, altri caldi, e mortiferi, miti continueranno a volteggiare sul campo di battaglia, e sul piano della comunicazione, dando forza al carro alato di Marte, divinità della guerra, fino a quando questi lo riterrà opportuno. O, almeno, fino a quando non sarà chiaro che miti e comunicazione esistono anche sul piano dello scontro politico e che, ai loro disastri, si può porre rimedio.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento