Il ministro Bianchi è ormai in carica solo per l’ordinaria amministrazione eppure sembra che non lo sappia, tanto da voler marcare con le sue iniziative aziendaliste i prossimi decenni della scuola italiana.
Anzitutto, l’accelerazione sull’istituzione e la nomina del presidente e del direttore dell’Alta Scuola di Formazione, il nuovo carrozzone di Bianchi che costerà, solo per la sua istituzione, 34.000.000 di euro più ciò che servirà annualmente per il suo funzionamento, superstipendi compresi per presidente e direttore (256.000 € l’anno) che saranno nominati nei prossimi giorni dal Consiglio dei ministri uscente ma che sta distribuendo incarichi a destra e a manca.
Di questa costosa quanto discutibile iniziativa abbiamo già riferito su Contropiano e passiamo quindi a occuparci della novità: l’invenzione del docente “esperto”.
Infatti, Bianchi è riuscito a infilare nel cosiddetto decreto Aiuti-bis del governo (quello che “aiuta” con 8 euro lordi al mese chi ne percepisce 600 totali) una paginetta con cui si istituisce la figura del docente “esperto”.
Come è noto, si diventa normalmente “esperto” nella propria professione dopo un certo numero di anni di lavoro, avendo lavorato in situazioni diverse e magari complicate e a seguito di scambi e contatti con i colleghi.
Per Bianchi non è così: il docente esperto sarà quello che frequenterà con successo tre corsi triennali della Scuola di Alta Formazione e farà richiesta di tale qualifica. In questo modo si instaura un singolare meccanismo di scatole cinesi.
Infatti il 40% di chi frequenterà un corso triennale avrà un premio una tantum compreso tra il 10% e il 20% dello stipendio, chi di corsi invece ne farà tre in sequenza (e si esclude in contemporanea) potrà accedere a un incremento stipendiale stabile di 5.650.000 euro lordi annui. Non si sa cosa succederà di quanto percepito nelle tappe intermedie.
L’idea del docente “esperto” ha già sollevato un coro di critiche. Anzitutto la lunghezza del percorso, equivalente a quasi due lauree magistrali e che tra l’altro scoraggerà dall’intraprenderlo i docenti veramente più esperti cioè quelli con maggiore anzianità di servizio, poiché potrebbe terminare in corrispondenza della pensione, ma anche chi, più giovane, non si sente di impegnarsi in un percorso formativo di una durata mai vista sinora in Italia.
Si deve considerare tra l’altro che, date le risorse economiche ridotte oppure destinate altrove del Ministero, solo 8000 insegnanti potranno, almeno inizialmente, fruire della qualifica di esperto e del compenso relativo.
Si tratta, fatti i conti con il numero totale dei docenti e delle scuole italiane, di un insegnante per istituto. Inoltre, restano aperte almeno altre due questioni. La prima riguarda il metodo della valutazione, che avverrà attraverso il comitato di valutazione dell’istituto.
C’è da chiedersi come i componenti di tale comitato potranno valutare la partecipazione a un corso che non hanno seguito. La seconda riguarda il compenso, poiché le prime nomine degli “esperti” avverranno nel 2033, quindi prevedere oggi un compenso preciso con i tempi incerti che viviamo appare quantomeno azzardato.
C’è infine da chiedersi cosa faranno di diverso, quanto al proprio servizio, i docenti esperti rispetto agli altri. Il Ministero, su questo, è chiaro: per ora nulla, ma torneremo più avanti sulla questione.
Insomma, il meccanismo ideato da Bianchi e dai suoi collaboratori è talmente cervellotico, insensato e per i suoi tempi biblici, anche un po’ ridicolo, da far pensare a un infausto effetto della torrida estate romana.
Tuttavia, se si considera il problema con più attenzione, ci si rende conto che la proposta fa parte del tentativo in atto da decenni di frammentare e gerarchizzare la categoria dei docenti. Infatti, nei suoi obiettivi la proposta del docente “esperto” ricalca, complicandola, la proposta del “concorsone” ideato da Luigi Berlinguer nel 1999 che aveva le medesime finalità e che provocò la cacciata dello stesso a furor di popolo.
Esiste quindi una coerenza di linea nelle proposte aziendaliste e competitive che si cerca d’imporre da oltre due decenni nella scuola, senza distinzione tra ministeri retti dalla destra oppure dal PD.
La linea della gerarchizzazione del corpo docente anche su base economica è peraltro proseguita negli ultimi anni seppure in altre forme. Ne è testimone la logica dei bonus ad personam elargiti dai dirigenti agli insegnanti in base alla 107/2015, la “buona scuola” di Renzi e Giannini, un’aberrazione per cui denaro pubblico viene elargito a dei privati senza alcuna trasparenza.
Il Ministero da decenni persegue la linea della segmentazione e gerarchizzazione della categoria in spregio all’opposizione dei lavoratori, che nella loro grande maggioranza non l’accettano.
È peraltro chiaro che creare figure professionali diverse nell’ambito del corpo docente apre la porta a successive possibili strategie gerarchiche, per esempio la creazione di personale di direzione intermedia, il cosiddetto middle management tanto auspicato dall’Associazione Presidi e dagli uffici scuola delle associazioni padronali.
Peraltro, non è da escludere che impegni gestionali specifici possano essere richiesti, in futuro ai docenti “esperti”. Ci si avvia quindi, secondo i progetti ministeriali, a una segmentazione delle categoria che potrebbe portare a una visione competitiva e carrieristica della professione docente in totale contrasto con le caratteristiche di equilibrio e di serenità che le sono necessarie.
Peraltro, è noto che una scuola dove si gerarchizza il corpo docente e dove la logica vigente è la competizione, finisce con l’essere gerarchica, selettiva e discriminatoria anche per gli allievi. Questa è la parte ideologica e gestionale della vicenda, ma ne esiste anche una economica.
È infatti evidente che se per la guerra e per l’aumento delle spese militari imposto dalla NATO i fondi si trovano in poche ore, come è avvenuto a marzo, per aumentare i bassi salari dei lavoratori non si trovano mai.
Per questo, invece di occuparsi di facilitare il rinnovo del CCNL della scuola, scaduto da 4 anni, prevedendo aumenti consistenti per tutti i lavoratori, Bianchi sceglie di offrire un discutibile, futuribile e improbabile incentivo salariale a una piccola parte dei 750.000 dipendenti del Ministero, negando il diritto di tutti a paghe più adeguate al lavoro che svolgono.
Il discorso che si sente da più parti è chiaro: i lavoratori della scuola costituiscono il settore più numeroso tra i lavoratori italiani, quindi soldi per aumentare sensibilmente il salario di tutti non ci sono (o piuttosto, appunto, non si vogliono trovare) e di conseguenza si deve pensare a una selezione che premi i “migliori”.
Si tratta evidentemente di una motivazione truffaldina volta a introdurre, ancora una volta, un criterio “meritocratico” per dare poco ad alcuni e nulla a molti. Si sa che da anni la “valutazione” è diventata un’ossessione del Ministero e che la si vorrebbe imporre ai docenti.
Purtroppo di criteri “oggettivi” per la valutazione dei docenti non se ne trovano. La valutazione della professione docente è di per sé legata a troppe variabili, alla mutevolezza dei contesti e alle condizioni di lavoro tanto da rendere impossibili dei criteri oggettivi.
Inoltre, chi abbia vissuto nella scuola sa bene che soprattutto nella fascia dell’obbligo (ma non solo), dove l’aspetto educativo generale spesso prevale sull’acquisizione di abilità e contenuti i risultati dell’intervento dei docenti si possono verificare solo in tempi lunghi che a volte vanno anche oltre gli anni di frequenza di quel settore di scuola.
Impossibile quindi verificare nell’immediato la validità dell’intervento pedagogico concentrandosi sul singolo insegnante. È pur vero che nei sistemi scolastici di alcuni dei paesi europei vigono sistemi di valutazione degli insegnanti, ma è altrettanto vero che essi non sfuggono alla soggettività del giudizio dei funzionari preposti (ispettori, dirigenti ecc.), e quindi a criteri legati alle convinzioni pedagogiche (che sono sempre politiche) ed educative nonché ai rapporti personali e alla acquiescenza dei singoli al sistema.
Nulla di oggettivo, piuttosto una valutazione di sottomissione e di funzionalità alla riproduzione del sistema dell’operato del docente.
In effetti, il ministro Bianchi ha dichiarato che le nuove forme di stratificazione gerarchica dei docenti “ce le chiede l’Europa” e che se esse non si realizzeranno su base formativa, dovranno passare attraverso la valutazione dei singoli.
Ma come sempre in questi casi, si deve valutare se ciò che avviene in altri paesi sia meglio o peggio di quanto accade in Italia, al fine di non importare idee e metodi che si rivelano peggiorativi di quelli in vigore nel nostro paese.
Nel frattempo, a un mese dalla ripresa delle lezioni, si attendono indicazioni per un rientro in sicurezza che non avvenga ancora con l’uso delle mascherine e delle finestre aperte in pieno inverno. Ma su questo, permane il silenzio.
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