È stato notato come fino al 26 settembre, il perno dell’economia UE si fondasse essenzialmente sull’industria tedesca e, sabotando il Nord Stream, gli USA abbiano mirato a distruggerla, del tutto in linea con le note parole del primo segretario generale della NATO, il generale Hastings Lionel Ismay, secondo cui l’obiettivo anglosassone consiste nel «tenere i russi fuori dall’Europa, gli americani in Europa e i tedeschi sotto il controllo dell’Europa».
Ora, può darsi che, in certa misura e in qualche modo, Washington riesca a «tenere i russi fuori dall’Europa». Ma, guardando anche solo ai risultati del recente vertice di Astana (il 6° vertice della Conferenza sulle misure di interazione e rafforzamento della fiducia in Asia – CICA – che riunisce 27 Paesi asiatici), cinque giorni fa, come non pensare che i russi, “fuori dal mondo” non ci sia proprio modo di tenerli?
E, per quanto riguarda il “tenerli fuori dall’Europa”, il politologo Sergej Markelov ricorda a Pravda.ru che Putin, a Astana, non ha detto sostanzialmente niente riguardo nuove situazioni e ha solo rafforzato alcune precedenti dichiarazioni.
A proposito dell’Unione Europea, ad esempio, ha detto che si sono fatti del male da soli. Se vogliono, una linea Nord Stream 2 è pronta; se non lo vogliono, affari loro.
A oriente, invece, tutto procede secondo i piani e Putin ha annunciato l’incremento dei gasdotti “Blue stream”, “Turkish Stream” e “Forza della Siberia”.
Al forum internazionale “Settimana energetica russa”, ha anche osservato che il volume di gas russo perso a causa del sabotaggio nel “Nord Stream” sarà trasferito nell’area del mar Nero, con la creazione di un centro di smistamento del gas in Turchia, che porterà il prodotto in Europa: «ovviamente, se lo vorranno i nostri partner».
Contando sull’intesa di principio russo-turca circa la realizzazione del hub meridionale del gas, Markelov la giudica molto importante, anche perché, in caso di sanzioni, esse coinvolgeranno non la sola Russia, ma anche la Turchia e «ciò mette già più al riparo il progetto».
Il capo di Gazprom, Aleksej Miller, proprio ieri ha ribadito che anche se il “Turkish Stream” ha una portata di “soli” 31,5 miliardi di mc di gas, tutto il potenziale del “South Stream” (63 miliardi di mc), abbandonato nel 2015, ovviamente per i ricatti USA sui partner europei del progetto, nell’area del ma Nero riamane intatto.
Anche per quanto riguarda il petrolio, il vice Primo ministro Aleksandr Novak ha dichiarato che l’export petrolifero russo nel 2022 registra una crescita del 8% rispetto al 2021.
Dopo un calo nelle estrazioni di circa il 10% a marzo, nel corso dell’estate è stato ristabilito il precedente volume di estrazione e ora la situazione è stabile. In ogni caso, ha dichiarato nettamente Vladimir Putin, Mosca non fornirà risorse energetiche ai Paesi che mettono un limite al prezzo delle risorse energetiche russe.
Cosa se ne pensa “fuori dell’Europa”?
Forbes Russia riporta una carrellata di opinioni di esperti russi a proposito dell’attuale situazione energetica e delle possibili scappatoie cui può ricorrere l’industria europea per non rimanere soffocata dalle proprie stesse sanzioni.
Ad esempio, ricorda Aleksandras Budrys, sono previste eccezioni per consentire ad alcuni paesi UE di continuare a importare greggio e derivati russi «in ragione di loro situazioni particolari o per cause indipendenti dalla volontà di quei paesi». E anche per garantire la sicurezza energetica di paesi terzi, si può essere esentati dal tetto massimo del prezzo.
Nello specifico della Russia, a proposito della decisione del OPEC+ adottata il 5 ottobre, il direttore dell’Istituto per l’Energia e la Finanza, Aleksej Gromov, dice che la riduzione «di 2 milioni di barili al giorno per i prossimi sei mesi, a rigor di termini, non cambia molto per la Russia. Anzi, la Russia può ancora aumentare la produzione: oggi, in ambito OPEC+, la Russia potrebbe produrre 11 milioni di barili al giorno, mentre si ferma a circa 10 milioni».
Potenzialmente, la Russia potrebbe addirittura aumentare la produzione di un altro mezzo milione di barili. Dello stesso parere Stanislav Mitrakhovič, del Fondo nazionale russo per la sicurezza energetica: se Mosca «annuncia un taglio alla produzione, sarà un taglio sulla carta».
A parere di Irina Kezik, analista dell’Unione dei produttori di petrolio e gas, i piani UE per un tetto al prezzo del petrolio somigliano più che altro ad un tacito allentamento delle sanzioni: «l’Europa cerca da un lato di attenuare le fluttuazioni del mercato e, dall’altro, difende le proprie società di trasporto di petrolio via mare».
Dopo la decisione del OPEC+ sul taglio della produzione, dice Kezik, non si può escludere che l’Europa voglia continuare ad acquistare petrolio dalla Russia via mare, visto lo sconto di 30 dollari al barile della qualità “Urals” rispetto al “Brent”.
L’analista di Veles Capital Elena Kožukhova osserva che i paesi Ue non stanno solo parlando di introdurre un tetto al prezzo del petrolio, ma ne stanno già definendo i limiti, prevedendo che non si applichi agli oleodotti russi e al petrolio del “Sakhalin-2”.
Ancora Aleksej Gromov nota che non c’è ancora una decisione definitiva per il semplice motivo che la UE attende i “chiarimenti americani sulle sanzioni” e il tetto dei prezzi: vale a dire, «gli europei hanno sostanzialmente preparato una piattaforma che, se necessario, può trasformarsi in vere restrizioni sulle forniture di petrolio russo».
Più diretto Mitrakhovič, secondo il quale varie aziende europee si stanno già attrezzando per continuare a lavorare con la Russia anche dopo il 5 dicembre: «cercheranno ogni scappatoia, presenteranno rapporti da cui non sarà possibile capire se abbiano violato il tetto di prezzo; potrebbero pompare meno petrolio nelle petroliere, con conseguente prezzo effettivo fasullo; potrebbero anche trasferire società europee in altre giurisdizioni».
L’entrata in vigore dell’embargo europeo, insieme al tetto massimo sui prezzi del petrolio, ovviamente, complicherà la consegna del petrolio russo a paesi terzi e la Russia perderà in una certa misura il mercato europeo, afferma Gromov.
Ma anche lui non esclude che possano rimanere “zone d’ombra”, su cui ci si muove già oggi. In ogni caso, dice, «a inizi 2023, la Russia dovrà affrontare una riduzione delle esportazioni di petrolio di circa il 20% rispetto al livello dell’anno in corso, che aveva raggiunto un massimo di 5,5 milioni di barili al giorno».
Secondo Mitrakhovič, almeno per ottobre, novembre e inizio dicembre, il petrolio russo continuerà a fluire verso l’Europa, «a meno che non ci sia una nuova escalation, un nono pacchetto di sanzioni, o la volontà russa di bloccare gli oleodotti. La carenza di petrolio in Europa, se ci sarà, si manifesterà più avanti. Ma il petrolio russo sarà ovviamente compensato dalle forniture dal Medio Oriente e dagli Stati Uniti».
Però, dopo la decisione OPEC+ sulla riduzione delle estrazioni, se le forniture di petrolio mediorientale all’Europa aumenteranno, significa che si libereranno spazi per le forniture russe in Asia.
Dello stesso parere Gromov: con il petrolio mediorientale dirottato verso l’Europa, il petrolio russo sarà richiesto in Asia e quindi «beneficiari di tutta questa storia delle sanzioni saranno Cina, India e un certo numero di altri paesi del sud-est asiatico».
E, aggiunge Elena Kožukhova, solo una parte delle forniture dirottate in Asia verranno utilizzate direttamente nella regione: probabilmente «parte del petrolio russo verrà lavorato e quindi da lì inviato anche a paesi europei, aggirando le sanzioni».
C’è di più: una clausola accessoria nell’ottavo pacchetto di sanzioni UE dal 5 dicembre 2022 al 5 giugno 2023 prevede un’eccezione per le forniture offshore al Giappone attraverso il “Sakhalin-2”.
Il fatto è che, ricorda Gromov, anche aziende giapponesi partecipano al “Sakhalin-2″: «Il Giappone è membro del G7 e molto probabilmente questo è il risultato di un accordo interno al G7, soprattutto perché il Giappone non ha mai nascosto che “Sakhalin-2” sia un elemento importante per garantire la propria sicurezza energetica».
Il progetto gas-petrolifero “Sakhalin-2” risponde infatti a un accordo del 1994 sulla condivisione del giacimento petrolifero Pil’tun-Astokhskoe e di gas di Lunskoe, sulla piattaforma dell’isola di Sakhalin.
Le riserve energetiche di questo giacimento sono stimate in 160 milioni di tonnellate di petrolio e 500 miliardi di mc di gas, con una produzione di circa 20 milioni di tonnellate l’anno di petrolio e 53 milioni di mc di gas.
Dal progetto si è ritirata la Shell, che deteneva una quota del 27,5%; le giapponesi Mitsui e Mitsubishi hanno mantenuto le loro quote, rispettivamente del 12,5 e del 10%, mentre Gazprom possiede un po’ più del 50%.
«Tenere i russi fuori dall’Europa», avete detto? E, “dentro l’Europa”, quali classi sociali pagano il costo delle sanzioni per armare una junta nazista, in una guerra pilotata da oltreoceano, che le classi popolari non vogliono?
Quanto ai liberal-euroatlantisti, com’è quella storia del PD che «si divide sulla manifestazione per la pace» (Corriere) e di quel vignettista ex sedicente m-l su «La sinistra che ha amato Stalin, ora ama Putin»? Certamente, la situazione dei lavoratori e delle masse popolari in generale rimane drammatica, finché non prendono nelle proprie mani l’iniziativa organizzata della riscossa.
Ma, voi guerrafondai-dem, come fate a non piangere di voi stessi?
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