Il 6 settembre si è concluso il nono Forum sulla Cooperazione Cina-Africa (FOCAC), incontro che si svolge ogni tre anni ormai dal 2000. Pechino ha ospitato 51 capi di stato e di governo e 2 inviati presidenziali africani: l’unico dei 54 paesi del continente assente era la piccolissima monarchia dello Swatini (un tempo Swaziland), che ancora mantiene rapporti con Taiwan.
Xi Jinping ha aperto i lavori con un discorso molto duro nei confronti della filiera euroatlantica, affermando che la modernizzazione “è un diritto inalienabile di tutti i Paesi. Ma l’approccio dell’Occidente ha inflitto immense sofferenze ai Paesi in via di sviluppo”, ricordando il passato coloniale e la continuazione dello sfruttamento ancora oggi.
La diplomazia del Dragone ha definito l’incontro come “il più importante dell’anno”, e ciò è stato confermato anche dall’annuncio dei programmi di intervento cinesi.
Si tratta di quasi 51 miliardi di dollari nei prossimi tre anni, al cui interno vi sono 30 miliardi di linee di credito, 10 miliardi di effettivi investimenti di imprese cinesi e un ampio ventaglio di altri aiuti (anche per la formazione militare e di sicurezza).
Una parte di questi fondi verrà utilizzata per realizzare 30 progetti infrastrutturali, che dovrebbero creare un milione di posti di lavoro. Tra questi, la rivitalizzazione della ferrovia Tanzania-Zambia, progetto che risale addirittura ai tempi del sostegno internazionale promosso da Mao.
Accanto a questi, saranno finanziati anche un migliaio di progetti definiti “piccoli e belli”, cioè certamente strategici, ma meno impegnativi e rischiosi. L’obiettivo è permettere un maggiore sviluppo delle tecnologie e dell’energia verdi, del digitale, delle reti satellitari, ma anche della capacità di assorbire i prodotti cinesi.
Da parte occidentale vi è una crescente guerra commerciale contro Pechino (l’ultimo caso è quello dei dazi canadesi sulle vetture elettriche cinesi), rinnegando tutta la propaganda dei tempi della globalizzazione e del potere emancipatorio del libero mercato. La Cina cerca quindi nuovi mercati di sbocco per auto elettriche, pannelli solari e turbine eoliche.
Ovviamente, nel consueto rapporto win-win proposto dalla Cina, in cui i paesi africani otterranno tecnologie e prodotti all’avanguardia, e anche investimenti per l’estrazione di importanti materie prime.
Rimane comunque la volontà di ridurre il deficit commerciale col Dragone: al summit di Dakar del 2021 la Cina aveva promesso di importare 300 miliardi di dollari di beni all’anno, obiettivo non raggiunto e che i delegati africani vogliono riportare al centro della discussione.
Xi Jinping ha dunque menzionato il programma “tariffe zero” per 33 dei paesi meno sviluppati del continente, con lo scopo di aumentare le importazioni di prodotti agricoli.
Ad ogni modo, siamo ben lontani dalla narrazione che classi politiche e media fanno del rapporto tra Pechino e i paesi africani, parlando di una sorta di “nuovo colonialismo” perseguito con la trappola del debito.
Al di là del fatto che questa trappola è stata smontata da diversi studi, parlarne dopo le proteste che hanno attraversato il Kenya un paio di mesi fa, a causa dei programmi del FMI, è a dir poco paradossale.
Basta ricordare che a gennaio scorso, al vertice Italia-Africa, il presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki Mahamat, criticò Roma perché, disse, “sul Piano Mattei avremmo auspicato essere consultati”. A dimostrazione del trattamento da colonia ancora riservato alle realtà africane, senza dare alcuna legittimazione agli indirizzi di sviluppo che autonomamente esse possono voler perseguire.
I ministri degli Esteri cinesi dedicano invece larga attenzione ai paesi africani, che sono sempre i primi luoghi visitati all’inizio del loro mandato.
Leggiamo del resto alcuni commenti di presidenti africani a margine del Forum con la Cina, di natura opposta quello di Mahamat. Quello della Tanzania ha detto: “La Cina è stata un vero partner nella nostra lotta contro la povertà e nella ricerca della prosperità”.
Il presidente della Nigeria – peraltro membro dell’Opec – è andato persino oltre, affermando: “Il nostro rapporto ha superato i continenti e le sfide ed è diventato una vera e propria testimonianza del potere del rispetto reciproco e della cooperazione. Ciò che è iniziato come sostegno della Cina all’indipendenza delle nazioni africane si è evoluto in una partnership ricca e sfaccettata, che abbraccia il commercio, gli investimenti e la diplomazia”.
“La relazione bilaterale è ora al punto più alto della sua storia”, ha ribadito Xi Jinping, annunciando la prossima “costruzione di una comunità Cina-Africa per tutte le stagioni con un futuro condiviso nella nuova era”.
L’era del multipolarismo, della fine dell’egemonia occidentale e della possibilità per i popoli del mondo di poter seguire strade alternative a quelle imposte dal capitale finanziario euroatlantico.
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