Ogni tanto ci sono degli avvenimenti che ricordano come – nonostante la filiera euroatlantica sia fermamente unita sotto l’ombrello della NATO, necessario per la guerra da muovere all’emergente mondo multipolare – dal lato prettamente economico Stati Uniti e UE siano in competizione serrata.
Lo ricordano continuamente politici e documenti di Bruxelles, che accanto alla Cina citano sempre l’alleato d'oltreoceano tra i soggetti contro cui bisogna sviluppare competitività e autonomia tecnologica e di risorse. E ci sono poi, appunto, anche eventi che lo mostrano in maniera netta.
La Corte di giustizia UE ha confermato da pochi giorni le decisioni prese dalla Commissione Europea alcuni anni fa, inferendo un duro colpo a due delle cinque grandi compagnie Big Tech a-stelle-e-strisce, Apple e Google.
Quest’ultima aveva fatto ricorso contro la multa di 2,4 miliardi comminata per aver abusato della posizione dominante nello Spazio economico europeo nel comparto delle ricerche generiche sul web. Google aveva presentato i risultati di ricerca del suo comparatore di prodotti in prima posizione.
Un primo ricorso era già stato respinto nel novembre 2021, e ora la decisione è stata confermata. Da Google hanno fatto sapere che sono delusi da come si sia conclusa la vicenda, considerato che hanno inoltre apportato modifiche per conformarsi alle indicazioni della Commissione Europea.
Per quanto riguarda Apple, alcune società appartenenti al suo gruppo nel 2016 erano finite sotto accusa per aver beneficiato, tra il 1991 e il 2014, di una serie di vantaggi fiscali in Irlanda, poi caratterizzati come un illecito aiuto di Stato da parte della Corte.
Nel 2020 il Tribunale dell’Unione Europea aveva annullato tale decisione, ritenendo non fosse stata adeguatamente dimostrata l’esistenza di un reale vantaggio per queste società. Ma a Margrethe Vestager, Commissaria UE alla Concorrenza, questa sentenza non era andata giù.
Il ricorso presentato dalla rappresentante di Bruxelles è arrivato infine a una conclusione: la Corte ha annullato la decisione del Tribunale e ha invece confermato quella della Commissione. L’Irlanda deve dunque recuperare 13 miliardi di tasse non versate da Apple.
In una nota della compagnia fondata da Steve Jobs si legge: “questo caso non ha mai riguardato la quantità di tasse che paghiamo, ma il governo a cui siamo tenuti a pagarle. Paghiamo sempre tutte le tasse che dobbiamo ovunque operiamo e non c’è mai stato un accordo speciale”.
Il testo continua con un attacco diretto a Bruxelles: “la Commissione Europea sta cercando di cambiare retroattivamente le regole ignorando che, come previsto dal diritto tributario internazionale, il nostro reddito era già soggetto a imposte negli Stati Uniti”.
Alla fine del marzo 2024, la Commissione Europea ha avviato anche altre indagini di non conformità alle norme sulla concorrenza nei confronti di Alphabet – la società madre di Google – Apple e Meta, ai sensi del Digital Markets Act (DMA).
In altre occasioni, la Commissione (che esprime l’orizzonte di una UE che vuole fare un salto di qualità nella competizione globale) ha dovuto cedere di fronte al tentativo di assestare un colpo alle Big Tech statunitensi. Senza considerare che, ad ogni modo, aziende del genere non esistono in Europa.
Alla fine del 2023 il Lussemburgo ha vinto un caso su tasse non pagate con la Commissione, relativo al rapporto del paese con Amazon. Per quello così come per altri procedimenti simili la Corte ha contestato – ed è interessante sottolinearlo – il metodo e i criteri adottati dalla Commissione.
Bruxelles ha infatti connesso in modo disordinato i nodi della concorrenza e del fisco per contestare un ipotetico aiuto di Stato illegittimo e costringere le multinazionali a pagare i tributi.
Come affermato dalla Corte riguardo a un processo che coinvolgeva Fiat Chrysler, per contestare l’alterazione delle regole di mercato mediante la leva fiscale, l’Antitrust deve dimostrare che un paese ha adottate misure in contrasto con la “sua propria legislazione fiscale”.
Insomma, la Vestager si è appellata spesso a un inesistente diritto fiscale dalle forme armonizzate in UE. Cosa che non esiste anche perché la sua mancanza è stata la fortuna di molte multinazionali continentali, che anche in virtù del dumping fiscale hanno avuto la possibilità di assumere un peso maggiore a livello internazionale.
Queste asimmetrie su cui è stato costruito il polo europeo non sempre fanno comodo a un organo politico che ora si pone il tema di diventare un soggetto che si muove in maniera meglio organizzata e coerente in uno scenario globale segnato da guerra e feroce competizione.
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