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04/05/2025

Guerra in Ucraina - Tra questioni di principio e realtà

Sarebbero giorni decisivi per la guerra in Ucraina, ma molte prese di posizione delle parti in causa ripetono una narrazione del conflitto che fa prevalere questioni di principio sulla realtà. L’unico criterio che dovrebbe valere in questi casi è quello più banale, ossia che la pace si fa fra nemici e sul campo di battaglia, a prescindere dalle qualità morali di uno o di entrambi i contendenti, sottolinea il Corriere della Sera.

Briganti ed eroi a seconda dei luoghi di lettura

Quando Napoleone invase la Russia, era considerato un brigante per Tolstoj e un eroe per Victor Hugo. L’alternativa al negoziato è che uno dei contendenti sia sconfitto e si arrenda senza condizioni, come è stato il caso del Giappone e del Terzo Reich nella seconda guerra mondiale. Ma attualmente, questo non è il caso dell’Ucraina che resiste, nè tantomeno della Russia. Può essere suggestivo e nobile paragonare Zelensky a Churchill, quindi esaltare, ne «l’ora più buia», il rifiuto di qualsiasi concessione al nemico e l’eroica resistenza contro l’aggressore. Ne consegue che Putin sarebbe il nuovo Hitler e che la Russia vorrebbe estendersi alla Senna e al Tamigi, o quantomeno al Danubio.

Un’ora più chiara e realistica

In un’ «ora più chiara e realistica» – invoca Massimo Nava – la possibilità di aprire un negoziato con Mosca non dovrebbe essere appesa al giudizio morale sull’aggressore (la Russia) e all’ipotesi che non ci si possa fidare di Putin o che non debba essere «premiato» con quanto l’Armata russa ha conquistato sul campo. Dovrebbero contare un’analisi oggettiva della situazione del conflitto sul piano militare e una valutazione, altrettanto oggettiva, degli scenari futuri una volta raggiunta una tregua e, possibilmente, la pace.

Sconfitta moralmente deprecabile

Il fatto che sia moralmente deprecabile il riconoscimento della sconfitta dell’Ucraina, questa non può più essere più esclusa ed è quindi capitale cercare la via della pace nel modo più conveniente possibile. Donald Trump ha il merito di averlo capito per primo e di imporlo con la consapevolezza che il prolungamento della guerra comporterebbe soltanto ulteriori perdite e sacrifici per l’Ucraina. Tanto più che al di là delle parole e dei «vertici fra coraggiosi», l’Europa non è in grado di assicurare quel sostegno militare di cui Kiev ha disperatamente bisogno.

L’astrattezza a perdere

Invocare oggi il diritto internazionale e il ritorno alla situazione anteriore al 2014 significa soltanto prolungare la guerra. Considerazione non etica, ma logica. Altra cosa è invece costruire un negoziato che offra a entrambi i contendenti un’onorevole via d’uscita, considerando che anche Mosca vuole chiudere la partita prima possibile. Altra cosa è non fidarsi di Putin, costruendo uno schema di alleanze e di forze che scoraggino violazioni e aggressioni future.

Questione Crimea che non esiste

Quanto alle «concessioni territoriali» che l’Ucraina dovrebbe accettare, un primo passo sembra compiuto, separando la questione Donbass e delle province annesse militarmente dalla questione Crimea, occupata ormai dal lontano 2014. La cessazione delle ostilità riprodurrebbe alla lontana le situazioni già viste nella storia, con il Muro di Berlino e con le due Coree. Pretese giuridiche consegnate alla propaganda interna, stato di fatto, nessun riconoscimento ufficiale. Il presidente ucraino Zelensky chiede la restituzione della Crimea, ma a parte le vicende storiche della penisola un tempo territorio russo, proprio Trump si è chiesto perchè la Russia potè occupare la Crimea undici anni fa senza sparare un colpo e senza incontrare resistenza. Perché volerla indietro oggi?

Maldestra mediazione di Trump

Per quanto l’amministrazione americana e Donald Trump in persona abbiano dato l’impressione maldestra e arrogante di umiliare Zelensky (salvo la contromossa del colloquio in Vaticano) e di blandire Putin (magari con un occhio agli affari, anche personali, dei negoziatori), le premesse per il negoziato non impongono a priori concessioni territoriali definitive, casomai accordi economici in vista della ricostruzione del Paese. Altro elemento fondamentale è la sottile differenza fra garanzie di sicurezza per Kiev (magari con schieramento di truppe internazionali) ed eventuale appartenenza alla Nato, prospettiva al momento esclusa. Il che tranquillizza Mosca che ha attribuito alla politica della Nato le ragioni ultime del conflitto.

Russia sulle province occupate

D’altra parte, un’eventuale perseguimento del controllo russo – internazionalmente non riconosciuto – sulle province occupate, non costruirebbe un ostacolo alla collocazione internazionale dell’Ucraina. In pratica, si riprodurrebbero le complesse condizioni politiche antecedenti il conflitto. Un tragico gioco dell’oca, costato centinaia di migliaia di morti e immense distruzioni. D’altra parte, l’avvio di un negoziato non comporta affatto che le parti lo accettino nella sua interezza. Non siamo di fronte, come potrebbe essere in futuro, a una parte che detta le condizioni e a un’altra che le subisce perchè si arrende. Emendamenti e correzioni sarebbero sempre possibili, con il concorso dei negoziatori esterni, in primo luogo della Ue. In alternativa, c’è il rischio che gli americani si ritirino dalla partita e abbandonino Zelensky al suo destino.

Mosca da ascoltare

Per comprendere le intenzioni di Mosca, andrebbe valutata l’intervista (una rarità) che il portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov, ha recentemente concesso al settimanale francese Le Point. Peskov lascia infatti intendere che un’eventuale interruzione del processo negoziale possa portare a una nuova escalation militare. D’altra parte, è evidente l’interesse da parte della Russia di normalizzare prima possibile le relazioni con Washington, a prescindere dall’atteggiamento più intransigente di diverse capitali europee. «Tutti gli osservatori militari constatano che la dinamica del fronte è favorevole alla Russia, che ha l’iniziativa sul campo. Prima del febbraio 2022, quando Putin ha proposto i negoziati, si voleva risolvere la questione pacificamente... Oggi si parla di pace con gli americani, ma gli europei chiedono la guerra! Noi vogliamo raggiungere i nostri obiettivi. Pacificamente o militarmente, li raggiungeremo. La sicurezza di alcuni paesi non deve essere ottenuta a scapito della sicurezza di altri paesi. Se volete garantire la sicurezza dell’Ucraina e la attirate nella NATO, violate la sicurezza della Russia. È quindi necessario uno status neutrale per l’Ucraina».

Pressioni britanniche ed Europa

Quanto ai territori occupati, Peskov si è mostrato intransigente, ricordando che un accordo sui territori era ancora possibile poche settimane dopo l’invasione ma che gli ucraini lo rifiutarono su pressioni della Gran Bretagna. È del tutto evidente che il Cremlino punta sugli Usa per uscire dal conflitto, mentre considera l’Europa un fattore di destabilizzazione e di proseguimento della guerra. «Non c’è alcun punto su cui concordare, poiché l’Europa vuole la guerra, non i negoziati. È come se tutta l’Europa lavorasse ancora per l’amministrazione Biden! L’Europa non è sovrana, ha fatto ciò che le ha chiesto di fare l’amministrazione Biden. Finora è stata Washington a giocare il ruolo più importante. Ora stanno emergendo alcuni disaccordi e tutto è stato ribaltato: è Washington che parla di pace e sono gli europei, a cui spetta il compito di garantire la pace futura nel loro continente, a parlare solo di guerra.
L’Europa ha smesso di collaborare con noi dal punto di vista energetico contro i propri interessi. Le aziende europee si sono private di gran parte dei loro asset in Russia e hanno iniziato a perdere denaro. Questo non ha nulla a che vedere con una decisione economica, è una questione politica. Su ordine di Washington, l’Europa ha iniziato a segare il ramo su cui era seduta...»

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