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15/05/2025

Ursula sull’orlo del baratro per il contratto con Pfizer

Le grandi crisi, quelle che investono grandi istituzioni, sfornano sempre anche piccole miserie individuali che, quando coinvolgono personaggi di primo piano, danno la cifra del degrado cui erano giunte le istituzioni.

Se poi stiamo parlando della presidente dell’Unione Europea – quel barocco edificio che ci era stato venduto come il toccasana per gli storici limiti della politica e dell’etica pubblica italiota – allora la dimensione dello scatafascio assume proporzioni catastrofiche.

Anche se parte da un fatterello apparentemente secondario.

Ieri il Tribunale dell’UE ha sentenziato che la Commissione europea ha sbagliato a rifiutare la diffusione alla stampa degli SMS scambiati tra Ursula von der Leyen e l’AD di Pfizer, Albert Bourla, durante il picco della pandemia di Covid-19.

Poca roba, si viene indotti a pensare. Ma è esattamente l’opposto.

L’esistenza dei messaggi – inizialmente non confermata dalla Commissione – è emersa in un’intervista concessa dalla stessa von der Leyen al New York Times nel 2021. Si era insomma chiamata in causa da sola...

Si era in piena stagione Covid e l’“Europa”, che si era affidata completamente al “libero mercato”, scopriva all’improvviso di non avere la capacità tecnologica di produrre le dosi di vaccino necessarie a contrastare una pandemia che stava già falciando la popolazione a decine di migliaia.

Serviva una decisione per porvi rimedio e “la politica”, ai massimi livelli, doveva intervenire. Ursula von der Leyen come presidente della Commissione, a maggio 2021, raggiunse un accordo con la società farmaceutica statunitense Pfizer-BioNTech, finalizzato all’acquisto di fino a 1,8 miliardi di dosi del vaccino da parte dell’UE. Era il contratto di gran lunga più grande tra tutti quelli firmati da Bruxelles.

Nessun dubbio che dei vaccini andassero acquistati, ci mancherebbe. E nessun problema anche per il fatto che le procedure, in quel caso dovessero essere necessariamente rapide, senza “gare d’appalto con regole europee”. Ma ogni contratto di quelle dimensioni deve essere – secondo le stesse “regole dell’Unione Europea” – assolutamente trasparente non solo nella stesura finale, ma anche in ogni passaggio preparatorio.

In sintesi: perché, in un panorama che offriva diverse soluzioni “di mercato”, fosse stato scelto proprio il prodotto di Pfizer anziché quelli di Moderna, AstraZeneca, magari la cubana Soberana e qualcun altro. Ma anche in che modo fosse stato stabilito il pezzo. E quali fossero le “condizioni a contorno” di un contratto talmente oneroso (quasi 20 miliardi di euro).

Grandi affari e gradi corruzioni vanno di solito a braccetto, del resto. Meglio essere assolutamente trasparenti... O no?

E qui cadde l’asino, o meglio von der Leyen e tutta la Commissione (il “governo” della UE). Quando una giornalista dello stesso New York Times chiese di poter accedere agli sms scambiati tra Ursula e l’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla, durante la contrattazione, la Commissione rispose che “non erano più a disposizione”. Cancellati o perduti, ma comunque non considerabili come “documenti da conservare”.

Il che getta più di qualche ombra su tutta la contrattazione. Va infatti considerato “documento” ogni messaggio scambiato tra le parti, e non soltanto i “testi ufficiali” (lettere contenenti proposte, indicazioni operative, ecc.). E sicuramente gli sms tra i due leader (della Ue e di Pfizer) dovevano contenere qualcosa relativo alla contrattazione, non soltanto – o anzi per nulla – “questioni private”.

Altrimenti sarebbe fin troppo facile per qualsiasi corrotto, a qualsiasi livello, invocare la privacy relativamente a telefonate, sms, mail, “pizzini” e quant’altro.

Tanto più che lo stesso Bourla, in un’altra intervista al New York Times, aveva descritto gli scambi con von der Leyen come fonte di “profonda fiducia” e “facilitatori della negoziazione” dell’accordo sui vaccini.

Ora la Commissione – cioè la diretta interessata, la presidente – dovrà spiegare perché ha ritenuto che quei messaggi fossero “ininfluenti” per arrivare alla firma del contratto miliardario. Oppure renderli noti.

Nel primo caso si renderebbe non più credibile come “garante della trasparenza” delle decisioni continentali. Nel secondo, con tutta probabilità, fornirebbe anche le prove provate della propria corruttibilità e/o incompetenza.

Siamo quindi all’inizio della fine della carriera di un personaggio improbabile, vanesio, guerrafondaio e “presenzialista” che fin dall’inizio – in Germania – aveva combinato disastri come ministro della difesa, sollevando in molti osservatori la domanda: ma da dove vien fuori questa aristocratica che fino all’età di 43 anni aveva fatto soltanto la madre casalinga (ben sette figli, ma aveva i mezzi per mantenerli nell’agiatezza...), nonché appassionata di equitazione, cooptata all’improvviso come parlamentare della Cdu in quanto figlia di Ernst Albrecht (uno dei pochi democristiani di spessore nel primo dopoguerra tedesco)?

Ma un’istituzione che seleziona i propri membri di spicco in base al dna familiare (con forti componenti del regime nazista anteguerra) è un’istituzione che vive guardando al passato. E che perciò non ha futuro. Non lo merita.

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