In quello che è chiamato il Pacchetto di Primavera del Semestre Europeo vengono analizzate le principali tendenze economiche dei membri UE, e vengono date anche delle Raccomandazioni sugli orientamenti che ogni paese dovrebbe tenere rispetto agli obiettivi e alle regole poste da Bruxelles. Sulla carta non sono vincolanti, ma di fatto sono il preludio ad altre misure.
La pagella della Commissione era molto attesa dall’Italia, così come da tutti i governi che sono finiti sotto procedura di infrazione per disavanzo eccessivo. Questa volta, il nostro paese, insieme a Francia, Ungheria, Malta, Polonia e Slovacchia, ha ricevuto l’approvazione di Palazzo Berlaymont, mentre Belgio e soprattutto Romania devono avviarsi su di un nuovo percorso correttivo.
È interessante però vedere cosa abbia portato alle note positive della Commissione. Innanzitutto, i tipici complimenti per l’austerità: “la crescita della spesa netta è destinata a essere marginalmente al di sotto del tasso di crescita massimo raccomandato”. I conti italiani sono però ancora in squilibrio, a causa dell’alto debito e della bassa produttività del lavoro.
Poi l’inaspettata raccomandazione che sembra essere vicina alle esigenze dei settori popolari. Bruxelles, infatti, invita a promuovere salari adeguati, a ridurre la precarietà e le barriere all’accesso al lavoro, in particolare per donne e giovani. Per farlo, si chiede di rafforzare le politiche attive e i servizi per l’infanzia e la cura di lungo termine.
Lasciamo da parte il discorso articolato sul perché le politiche attive non sono la soluzione alla disoccupazione e al basso tasso di occupati italiani. Il discorso della Commissione ha una contraddizione di fondo: non si può elogiare la compressione della spesa pubblica per poi chiedere che ci sia un maggiore impegno nelle spese sociali... soprattutto se queste spese stesse vengono stigmatizzate.
Il nostro paese è chiamato, ad esempio, a “mitigare gli effetti dell’invecchiamento sulla crescita potenziale e sulla sostenibilità fiscale […] limitando l’uso dei regimi di prepensionamento”. In un paese in cui già l’età pensionabile si avvicina sempre più ai 68 anni, accanirsi sui pochi strumenti che permettono di accorciare la vita lavorativa è una logica da massacro sociale.
Bruxelles chiede poi di “affrontare le restrizioni rimanenti alla concorrenza, comprese quelle nei servizi pubblici locali, nei servizi alle imprese e nelle ferrovie”. In pratica, la UE spinge per un’ulteriore ondata di privatizzazioni. Una soluzione che non solo ha fatto uscire i soldi pubblici per altre vie – ad esempio attraverso sussidi alle imprese – ma che peggiorerà nettamente il servizio.
Per ciò che riguarda ancora la concorrenza, si vuole un mondo della formazione sempre più sottomesso al profitto. Per la Commissione bisogna “sostenere l’innovazione rafforzando ulteriormente i legami tra imprese e università, gli appalti innovativi, il capitale di rischio aziendale e le opportunità per i talenti”, oltre a “migliorare il ruolo delle università nella commercializzazione dei risultati della ricerca”.
Infine, la contraddizione principale deriva dal fatto che poi, in concreto, i vertici europei invitano a investire i margini dei bilanci pubblici in difesa. L’Italia viene infatti chiamata a “rafforzare la spesa complessiva per la difesa e la prontezza operativa”, in linea con le conclusioni del Consiglio europeo del marzo scorso.
La Commissione ha sottolineato che la spesa monitorata dal Patto di stabilità nel conteggio 2024-2025 dovrebbe essere circa lo 0,4% in meno rispetto a quanto chiesto all’Italia per il Piano strutturale di bilancio. Si tratta di una cifra che si aggira intorno ai 4 miliardi: non un ammontare di fondi risolutivo, ma di certo potrebbe dare una mano a voci compresse del bilancio.
E allora bisognerebbe far sì che la pressione popolare imponga al governo che questi soldi vengano messi in spese sociali. Ma stando a quel che ha chiesto Bruxelles, appunto, finiranno nel riarmo e nella difesa europea. È questa la contraddizione, quella tra le esigenze strategiche della UE e l’interesse generale, che allora va denunciato.
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