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03/07/2025

USA - Trump minaccia di arrestare il candidato newyorkese Mamdani (e forse di revocargli la cittadinanza)

Il 1° luglio Zohran Mamdani ha ufficialmente vinto le primarie del Partito Democratico per correre alla carica di sindaco della Grande Mela. Il sistema di conteggio dei voti è piuttosto complesso e lungo, ma per chiunque era ormai scontato che il giovane, di origini ugandese e indiane, e di religione musulmana, avesse vinto su Andrew Cuomo, l’ex governatore dello stato di New York.

Quello stesso giorno, i toni della guerra civile che si sviluppa sempre meno sotto traccia negli USA si sono fatti ancora più infuocati, con la minaccia del presidente statunitense Donald Trump di arrestare Mamdani nel caso in cui, da sindaco di New York, si opponesse ai raid contro i migranti dell’agenzia federale Immigration and Customs Enforcement (ICE).

Il tycoon ha aggiunto il solito spauracchio rosso, dicendo: “non abbiamo bisogno di un comunista in questo paese”. Ha affermato pure che “molte persone dicono che sia qui illegalmente”, facendo eco alle parole del deputato repubblicano Andy Ogles del Tennessee, il quale ha sostenuto che Mamdani avrebbe nascosto il proprio sostegno a organizzazioni terroristiche durante il processo di naturalizzazione.

La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, sembra aver lasciato aperta la possibilità di un’indagine sulla cittadinanza di Mamdani. Il che ci parla di una società letteralmente a pezzi, in cui l’incapacità di esternalizzare le proprie contraddizioni con la guerra all’estero si riverbera in una guerra interna sempre più dura.

Mamdani non è un “comunista”, ma ha di certo un programma sociale capace di intercettare le gravi difficoltà vissute dalla maggioranza della popolazione della Grande Mela. A prescindere dal colore della pelle e dell’appartenenza etnica o religiosa. Le contraddizioni della società stelle-e-strisce sono esplose proprio lungo le linee di divisione ‘razziale’, come hanno mostrato i tumulti di Los Angeles.

Le fondamenta su cui gli Stati Uniti si sono basati per secoli, cioè sulla ‘messa a valore’ di chiunque arrivasse entro i propri confini – non senza che ci fossero pregiudizi e violenze razziste, certo, ma diventando così la patria di grandi scienziati, artisti, e così via – sono state minate definitivamente. La propaganda del melting pot si è infranta senza appello.

Bisogna però sottolineare anche un’altra dimensione, ancora più avanzata, della crisi materiale ed egemonica degli USA. Gli sfidanti di Mamdani saranno due. Uno è il repubblicano Curits Silwa, fondatore dei Guardian Angels, l’organizzazione no-profit formata da volontari che vogliono combattere il crimine, esprimendo una profonda cultura securitaria.

Ma l’altro è l’uscente Eric Adams, ex capitano della polizia di New York prima di diventarne il sindaco, che è stato protagonista degli atti repressivi che hanno segnato alcuni dei momenti più iconici delle proteste contro il sostegno al genocidio dei palestinesi, garantito dalle istituzioni statunitensi, a partire dallo sgombero della Hamilton Hall della Columbia University.

Mamdani è un giovane 33enne musulmano, unico tra i vari candidati che ha mostrato di non essere servile verso gli interessi della lobby sionista statunitense. In un’intervista, rispondendo alla domanda se difendesse i diritti di Israele in quanto stato ebraico, ha risposto che egli sostiene i diritti di stati in cui tutti hanno pari diritti, con un’evidente critica alla politica di apartheid perseguita da Tel Aviv.

Il movimento di solidarietà con la resistenza palestinese continua con forza da quasi due anni ormai; ha portato alla politicizzazione delle giovani generazioni, che si sono sentite sempre più distanti dalla classe dirigente del paese. Ciò è successo su temi completamente politici e di politica estera, che hanno a che vedere con il cuore della politica imperialista stelle-e-strisce.

Lo stesso è avvenuto anche in Europa, e in generale questo processo preoccupa i politici del finto bipolarismo, che – anche avessero risorse a disposizione – sanno che non c’è modo di mediare sul piano sociale una frattura che è tutta politica, e che non può essere riassorbita da un’egemonia culturale che si è sgretolata proprio col sostegno alla pulizia etnica dei palestinesi.

Un sostegno in cui vengono associati facilmente il colonialismo sionista e il razzismo delle politiche suprematiste di Trump. Per questo le elezioni che vedono protagonista Mamdani, pur non essendo un “comunista”, sono il segno di tempi che esprimono un passaggio epocale, con la corsa verso la totale disgregazione della società statunitense e la perdita della sua capacità di proiezione, militare ed egemonica, verso l’esterno.

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