Gli israeliani esistono? Secondo la Corte Suprema no. Ad esistere è solo il popolo ebraico.
Mercoledì i giudici dell'Alta Corte hanno rigettato la richiesta mossa
da un gruppo di cittadini israeliani che chiedevano di cambiare la
dicitura nelle loro carte di identità: non più "ebreo", ma "israeliano".
Ma, secondo la Corte, presieduta da Asher Grunis, non ci sono prove
dell'esistenza del popolo "israeliano". Ovvero non esiste un gruppo
etnico definibile come "israeliano". Nelle carte di identità rilasciate
ai cittadini dello Stato, infatti, la persona è categorizzata come
"ebrea" o "araba".
A muovere la richiesta alla Corte era stato il professor Uzzi Ornan, un
linguista da tempo impegnato in una lunga battaglia per la separazione
tra Stato e religione. Quando emigrò in Israele, sotto il mandato
britannico, fu riconosciuto come ebreo, seppur avesse da subito
affermato di essere ateo e di non voler accettare una tale definizione.
Già 13 anni fa, nel 2000, il professor Ornan aveva presentato la sua
prima petizione al Ministero degli Interni, senza ottenere nulla. Ne
presentò una seconda nel 2007 insieme ad altri accademici (i
professori Uri Avnery, Shulamit Aloni, Itamar Even-Zohar, Yosef Agassi) e
gli artisti Olearchik e Sobol. Di nuovo, un buco nell'acqua.
Secondo il gruppo, da una simile decisione dipenderebbe la natura democratica dello Stato di Israele: negare
l'esistenza del popolo israeliano significa rigettare l'idea di uno
Stato democratico. "Questa sentenza ignora totalmente gli obblighi
previsti dalla Dichiarazione di Indipendenza - ha commentato Ornan -
che prevede l'uguaglianza completa tra tutti i cittadini dello Stato,
senza distinzioni di religione, razza o sesso. Tale previsione permette
alla maggioranza ebraica di avere il pieno controllo del Paese e di
operare non a favore dei cittadini israeliani, ma a favore dell'attuale
maggioranza politica, gli ebrei".
Dalla fine dell'Ottocento, il progetto sionista prevede la creazione di uno Stato ebraico. Da allora, attraverso
la nascita dello Stato di Israele nel 1948 e le successive politiche
assunte dai governi di ogni appartenenza politica, l'obiettivo di Tel
Aviv è stato quello di fondare il Paese su basi esclusivamente etniche. Politiche
che si riflettono quotidianamente sulla vita della minoranza araba,
discriminata da leggi dello Stato e pratiche giudiziarie. Non solo a
Gerusalemme (dove la popolazione palestinese non gode dei diritti di
cittadinanza, ma solo di quelli di residenza), ma anche nel resto del
Paese dove i principali centri palestinesi sono lasciati fuori da piani
regolatori e progetti di sviluppo economico e infrastrutturale.
Secondo l'associazione Adalah, centro per la tutela della minoranza araba in Israele, sono
oltre 50 le leggi che hanno come target solo una delle etnie presenti
nello Stato di Israele: normative che impediscono un uguale accesso alla
proprietà, all'educazione, alla partecipazione politica, al mondo del
lavoro. Come la legge sui ricongiungimenti familiari che impedisce a
palestinesi israeliani sposati con palestinesi di Gaza o della
Cisgiordania di vivere sotto lo stesso tetto con il coniuge. O come la
legge che vieta le commemorazioni della Nakba nelle scuole e
negli istituti palestinesi, con l'obiettivo di cancellare la storia del
popolo palestinese. O ancora, la normativa sulla confisca di proprietà
immobili a favore dello Stato, da oltre 50 anni applicata alle solo
proprietà palestinesi.
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