La questione curda, negli ultimi mesi, è salita agli onori della cronaca
internazionale grazie al processo di "pacificazione" in atto in Turchia
e al ruolo dei curdi di Rojava (Kurdistan occidentale-Siria
settentrionale) nella guerra civile siriana. In entrambi i casi, risulta
centrale l'alternativa rappresentata dal popolo curdo. Un popolo che
vorrebbe, dopo anni di lotte intestine e di silenzio internazionale,
assumere un ruolo di interlocutore politico per le entità statuali
locali e per la comunità internazionale.
In questo contesto sembra doveroso ricordare che la popolazione curda ha
una presenza significativa anche in altri due Paesi centrali per le
dinamiche mediorientali: Iraq ed Iran. Se in Iraq i curdi hanno un governo regionale con ampi margini di autonomia rispetto
allo Stato centrale, la condizione della minoranza curda in Iran si
avvicina più a quella dei curdi turchi e siriani che non a quella dei
vicini iracheni.
Minoranza etnica e religiosa, negli anni, hanno subito numerose ondate
repressive da parte del governo e si è assistito alla nascita di
numerosi movimenti di protesta e di gruppi armati come il PJAK (Partito per la vita libera in Kurdistan), partito gemello del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) turco, nato nel 2004. Ad oggi la situazione non può considerarsi migliorata.
Le notizie di arresti come quello di Wafa Qaderi, attivista curdo di un movimento per i diritti dei lavoratori,
condannato a 5 anni (insieme ad altre quattro persone, condannate in
contumacia) per aver tentato di organizzare illegalmente i lavoratori
"attentando all'integrità dello stato islamico" o degli ottanta
manifestanti Yarsan (religione mistica tradizionale curda) che
chiedevano il riconoscimento del loro diritto di culto, sono all'ordine
del giorno.
A questo si aggiunga la repressione sistematica del movimento armato in quanto considerato illegale e terrorista. Il controllo dell'attività del PJAK
d'altra parte, è una questione che va ben oltre i confini della
sicurezza nazionale. Intenso è lo scambio di informative tra Teheran e
Baghdad a tal proposito e, in alcuni casi, si è assistito ad azioni
congiunte per limitare l'ingresso di militanti curdi all'interno dei
confini iraniani.
Parallelamente, negli ultimi anni, si sono sviluppati significativi
rapporti tra il governo iraniano e il governo regionale curdo iracheno
(KRG). Da questo punto di vista la scelta iraniana ricalca l'azione turca per limitare l'azione del PKK attraverso maggiori legami economici con il KRG.
Nel caso iraniano la relazione ha, però, basi più solide. Il rapporto
tra curdi iracheni e Iran inizia già durante la guerra Iran-Iraq. In
quel frangente, Il PUK (unione patriottica del Kurdistan) di Jalal Talabani trovò nell'Iran un buon alleato nella sua lotta interna contro il nemico comune Saddam Hussein
e oggi la collaborazione investe sia l'ambito economico sia il più
consistente settore della sicurezza. Se per il mese prossimo è prevista
la visita di una delegazione del KRG nella provincia iraniana del
nord-Khorasan per la stipula di accordi economici e commerciali, al
governo di Teheran è stato chiesto un impegno nella politica interna
della regione curda irachena a seguito della debacle del PUK alle
elezioni del mese scorso. Sostanzialmente l'Iran dovrebbe porsi a garanzia della sicurezza interna alla regione cercando di mitigare i contrasti tra i diversi partiti di governo di modo da impedire la recrudescenza di dissidi interni.
Il contesto in cui si muovono i curdi iraniani è, dunque, particolarmente difficoltoso. In tutta l'area il "federalismo democratico" proposto da Abdullah Ocalan,
anche se mai accolto ufficialmente dagli Stati di appartenenza, sta
prendendo forma attraverso le trattative in Turchia e le armi in Siria. I
curdi iracheni hanno una loro autonomia di movimento che, nonostante
sia riconosciuta ma non accettata dal governo centrale iracheno,
permette loro di intraprendere una politica interna e internazionale
indipendente. La comunità iraniana, invece, continua a confrontarsi con uno Stato forte, ostile al compromesso
con minoranze che potrebbero minare l'integrità etnica e religiosa del
Paese e capace di stringere legami internazionali tali da garantire la
sicurezza dei propri confini.
Le mobilitazioni pacifiche hanno
poco spazio d'azione e i gruppi armati scontano la mancanza di
significativi supporti internazionali. In una fase di mutamento del
contesto d'area in senso ampio e della situazione curda in particolar
modo, i curdi iraniani sembrano rimanere isolati e privi di possibilità di cambiamento nel breve periodo.
In
questo senso l'opzione curda irachena sembra totalmente impercorribile
in quanto frutto di un'azione esterna (no-fly-zone statunitense imposta
sull'area durante la guerra in Iraq), l'alternativa curda siriana si
inserisce in un contesto bellico che rende centrale il controllo
territoriale, mentre la via curda turca nasce da un contesto nel quale
il livello del conflitto raggiunto negli anni passati porta a
configurare la transizione attuale al pari di una trattativa di pace tra
entità statuali. Solo un percorso calibrato sulla realtà iraniana
potrebbe, quindi, permettere ai curdi locali di inserirsi nel processo
di mutamento, ma questo è, ad oggi, molto difficile da immaginare.
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