di Carlo Musilli
La legge sarà
pure uguale per tutti, ma l’autodifesa non lo è di sicuro. In Italia, un
comune mortale che viene perseguito ha a disposizione tre gradi di
giudizio per discolparsi. Un Silvio Berlusconi, invece, può moltiplicare
quei gradi a suo piacimento, quantomeno negli occhi e nelle orecchie
della gente comune. Sorvoliamo sulla telenovela in giunta al Senato e
sui ricorsi vari ed eventuali alla Consulta, a Bruxelles, a Lussemburgo e
a Paperopoli. Lasciamo stare le sedi del potere ufficiale e accendiamo
la tv.
Da qualche tempo a questa parte le reti Mediaset ci
propongono con regolarità ipnotica diversi spot autoreferenziali. Nel
migliore dei casi si possono definire autocelebrativi - ai limiti
dell’agiografia -, ma la verità è che si tratta in primo luogo di
caroselli pensati per ripulire l’immagine dell'azienda e del Cavaliere,
lordata dalla condanna definitiva per frode fiscale al termine del
processo sulla compravendita dei diritti Mediaset. Una vicenda che,
dobbiamo ricordarlo, non riguarda direttamente il gruppo editoriale di
Cologno Monzese: il presidente Fedele Confalonieri è stato assolto e
l’azienda non è stata condannata. Per ricollegare quei filmati al
destino del Capo, tuttavia, non serve proprio Sherlock Holmes.
Ogni
elemento degli spot contribuisce a creare un’atmosfera di rassicurante
tepore domestico: i colori caldi, la voce suadente fuoricampo,
l’eleganza, la pacatezza e lo zelo degli impiegati al lavoro. E, com’è
ovvio, la retorica verbale studiata fin nel dettaglio più
insignificante.
Una delle opere recita così: “Qui non incassiamo
finanziamenti pubblici. Qui non siamo colossi americani. Qui contiamo
solo sulle nostre forze. E qui ogni mattina arrivano migliaia di persone
che cercano di fare il massimo per regalarti una televisione moderna,
vivace e completa. Undici reti gratuite e centinaia di programmi in onda
ogni giorno, anche su internet, che non ti costano niente. Niente.
Nemmeno un bollettino postale. Così, giusto per ricordarlo”.
Notevole
l’anafora iniziale, con la ripetizione epica dell’avverbio di luogo.
Parole fastidiose come “pagare” e “tasse” sono accuratamente evitate. Il
“Noi” a poco a poco abbraccia il “Tu”, ed è un po’ come addormentarsi
fra le braccia calde e sicure di Gerry Scotti. Quanto ai contenuti, fin
dalla prima esegesi emergono frecciate tutt’altro che sottili nei
confronti dei concorrenti: “Noi” non chiediamo un euro allo Stato, né a
chi ci guarda. Mica come la Rai e Sky (in realtà la concorrente
berlusconiana della tv satellitare sarebbe Mediaset Premium, che si paga
eccome, ma questo forse è meglio non ricordarlo).
L’Uomo-sul-divano
potrebbe obiettare: "Se Berlusconi froda il Fisco, forse sarebbe
preferibile che Mediaset incassasse finanziamenti pubblici (anche se non
le spettano), trattandosi di un’attività regolamentata ancorché
controversa". Ma le meningi del Biscione hanno pensato anche a questo.
Ed ecco che, come a leggere nel pensiero del malfidato divanoide, un
secondo spot ci suggerisce che i giudici del Tribunale di Milano, della
Corte d’Appello e della Cassazione devono essersi per forza sbagliati
nei confronti del Cavaliere.
Nell’attacco c’è il dramma
della Storia e l’orgoglio dell’Individuo: “Abbiamo iniziato da zero. Ora
siamo uno dei principali gruppi televisivi europei, 130 mila piccoli
azionisti credono in noi e noi giorno dopo giorno abbiamo ripagato la
loro fiducia con 4,9 miliardi di euro di dividendi”.
Buon
per gli azionisti. In effetti, il titolo Mediaset è uno dei più
speculativi a Piazza Affari e – chissà perché – in tempi di crisi
politica viene trattato dagli investitori come un termometro della
stabilità italiana. Nell’ultimo anno le azioni del Biscione hanno
guadagnato qualcosa come il 128,5%.
Ma andiamo avanti con lo
spot, perché le vere chicche arrivano solo nella seconda parte: “Anche
lo Stato ha tratto benefici dal nostro lavoro: in totale circa nove
miliardi di euro versati nelle casse pubbliche. E non abbiamo mai
spostato sedi all’estero. I nostri posti di lavoro sono in Italia e le
tasse le paghiamo tutte qui, in Italia”. Ancora una volta ce lo dicono
“così, giusto per ricordarlo”. Mica per insinuare qualcosa, sia chiaro.
L’Uomo-sul-divano
sa in fondo al cuore che quella voce fuori campo è sua amica. A
dimostrargli quanto il mondo del Biscione sia vicino al suo ci pensano i
protagonisti di un altro spot: camionista, cuoca, presunto stagista,
tecnico delle luci. Tutti lo guardano negli occhi e sentenziano
gaudenti: "Io lavoro in televisione". Prima che l'Uomo-sul-divano abbia
il tempo di replicare, arriva la solita, paterna voce fuoricampo: "Con
noi collaborano (non "per noi lavorano", ndr) più di 20mila
persone. E anche nei momenti difficili come questo, il lavoro si crea
solo con il lavoro. E noi vogliamo continuare a farlo. Così, giusto per
ricordarlo". Stavolta la chiosa è impreziosita financo dalla rima.
Insomma,
"the Italian dream" è a Cologno Monzese. Ma l'Uomo-sul-divano farà bene
a ricordare che - in caso di condanna penale - dovrà scontare la pena. E
agli occhi di tutti sarà solo un uomo colpevole.
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