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18/10/2013

Televisione e assoluzione

di Carlo Musilli

La legge sarà pure uguale per tutti, ma l’autodifesa non lo è di sicuro. In Italia, un comune mortale che viene perseguito ha a disposizione tre gradi di giudizio per discolparsi. Un Silvio Berlusconi, invece, può moltiplicare quei gradi a suo piacimento, quantomeno negli occhi e nelle orecchie della gente comune. Sorvoliamo sulla telenovela in giunta al Senato e sui ricorsi vari ed eventuali alla Consulta, a Bruxelles, a Lussemburgo e a Paperopoli. Lasciamo stare le sedi del potere ufficiale e accendiamo la tv.

Da qualche tempo a questa parte le reti Mediaset ci propongono con regolarità ipnotica diversi spot autoreferenziali. Nel migliore dei casi si possono definire autocelebrativi - ai limiti dell’agiografia -, ma la verità è che si tratta in primo luogo di caroselli pensati per ripulire l’immagine dell'azienda e del Cavaliere, lordata dalla condanna definitiva per frode fiscale al termine del processo sulla compravendita dei diritti Mediaset. Una vicenda che, dobbiamo ricordarlo, non riguarda direttamente il gruppo editoriale di Cologno Monzese: il presidente Fedele Confalonieri è stato assolto e l’azienda non è stata condannata. Per ricollegare quei filmati al destino del Capo, tuttavia, non serve proprio Sherlock Holmes.

Ogni elemento degli spot contribuisce a creare un’atmosfera di rassicurante tepore domestico: i colori caldi, la voce suadente fuoricampo, l’eleganza, la pacatezza e lo zelo degli impiegati al lavoro. E, com’è ovvio, la retorica verbale studiata fin nel dettaglio più insignificante.

Una delle opere recita così: “Qui non incassiamo finanziamenti pubblici. Qui non siamo colossi americani. Qui contiamo solo sulle nostre forze. E qui ogni mattina arrivano migliaia di persone che cercano di fare il massimo per regalarti una televisione moderna, vivace e completa. Undici reti gratuite e centinaia di programmi in onda ogni giorno, anche su internet, che non ti costano niente. Niente. Nemmeno un bollettino postale. Così, giusto per ricordarlo”. 

Notevole l’anafora iniziale, con la ripetizione epica dell’avverbio di luogo. Parole fastidiose come “pagare” e “tasse” sono accuratamente evitate. Il “Noi” a poco a poco abbraccia il “Tu”, ed è un po’ come addormentarsi fra le braccia calde e sicure di Gerry Scotti. Quanto ai contenuti, fin dalla prima esegesi emergono frecciate tutt’altro che sottili nei confronti dei concorrenti: “Noi” non chiediamo un euro allo Stato, né a chi ci guarda. Mica come la Rai e Sky (in realtà la concorrente berlusconiana della tv satellitare sarebbe Mediaset Premium, che si paga eccome, ma questo forse è meglio non ricordarlo).

L’Uomo-sul-divano potrebbe obiettare: "Se Berlusconi froda il Fisco, forse sarebbe preferibile che Mediaset incassasse finanziamenti pubblici (anche se non le spettano), trattandosi di un’attività regolamentata ancorché controversa". Ma le meningi del Biscione hanno pensato anche a questo. Ed ecco che, come a leggere nel pensiero del malfidato divanoide, un secondo spot ci suggerisce che i giudici del Tribunale di Milano, della Corte d’Appello e della Cassazione devono essersi per forza sbagliati nei confronti del Cavaliere.       

Nell’attacco c’è il dramma della Storia e l’orgoglio dell’Individuo: “Abbiamo iniziato da zero. Ora siamo uno dei principali gruppi televisivi europei, 130 mila piccoli azionisti credono in noi e noi giorno dopo giorno abbiamo ripagato la loro fiducia con 4,9 miliardi di euro di dividendi”.

Buon per gli azionisti. In effetti, il titolo Mediaset è uno dei più speculativi a Piazza Affari e – chissà perché – in tempi di crisi politica viene trattato dagli investitori come un termometro della stabilità italiana. Nell’ultimo anno le azioni del Biscione hanno guadagnato qualcosa come il 128,5%.

Ma andiamo avanti con lo spot, perché le vere chicche arrivano solo nella seconda parte: “Anche lo Stato ha tratto benefici dal nostro lavoro: in totale circa nove miliardi di euro versati nelle casse pubbliche. E non abbiamo mai spostato sedi all’estero. I nostri posti di lavoro sono in Italia e le tasse le paghiamo tutte qui, in Italia”. Ancora una volta ce lo dicono “così, giusto per ricordarlo”. Mica per insinuare qualcosa, sia chiaro.

L’Uomo-sul-divano sa in fondo al cuore che quella voce fuori campo è sua amica. A dimostrargli quanto il mondo del Biscione sia vicino al suo ci pensano i protagonisti di un altro spot: camionista, cuoca, presunto stagista, tecnico delle luci. Tutti lo guardano negli occhi e sentenziano gaudenti: "Io lavoro in televisione". Prima che l'Uomo-sul-divano abbia il tempo di replicare, arriva la solita, paterna voce fuoricampo: "Con noi collaborano (non "per noi lavorano", ndr) più di 20mila persone. E anche nei momenti difficili come questo, il lavoro si crea solo con il lavoro. E noi vogliamo continuare a farlo. Così, giusto per ricordarlo". Stavolta la chiosa è impreziosita financo dalla rima.

Insomma, "the Italian dream" è a Cologno Monzese. Ma l'Uomo-sul-divano farà bene a ricordare che - in caso di condanna penale - dovrà scontare la pena. E agli occhi di tutti sarà solo un uomo colpevole.

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