Altro che negoziato israelo-palestinese. È stato l'Iran e il suo
programma nucleare a dominare l'incontro, di sette ore, di ieri a Roma
tra il segretario di stato Usa John Kerry e il premier israeliano Netanyahu.
Che nell'incontro con la stampa, prima di quello a Villa Taverna, ha
ribadito che il programma nucleare iraniano deve essere smantellato.
«L'Iran non deve avere capacità di costruire armi nucleari, che vuol
dire che non dovrebbe avere centrifughe per l'arricchimento, non
dovrebbe avere un impianto ad acqua pesante per il plutonio, che è usato
solo per armi nucleari» - ha detto Netanyahu - dovrebbero liberarsi del
loro materiale fissile e non dovrebbero avere impianti nucleari
sottoterra, che si trovano sottoterra per una sola ragione: scopi
militari».
È la versione israeliana delle intenzioni iraniane e Netanyahu,
peraltro, evita di parlare dell'unico arsenale atomico esistente in
Medio Oriente: quello israeliano.
Kerry ha riaffermato la
disponibilità americana a tentare l'iniziativa diplomatica con Teheran,
rilanciata a Ginevra grazie alle aperture del presidente iraniano Hassan
Rowhani, che tanto irrita israeliani (e sauditi). Ma con «gli occhi ben
aperti». «Avremo bisogno di sapere che verranno adottate azioni che
renderanno chiaro e limpido, assolutamente certo, intrinsecamente sicuro
a tutto il mondo che qualsiasi programma venga portato avanti è davvero
un programma pacifico», ha aggiunto Kerry. Che ha rassicurato
Netanyahu: Washington non allegerirà, per ora, le sanzioni all'Iran.
Subito dopo, riferiva online il quotidiano Haaretz, Kerry avrebbe fatto
diverse domande a Netanyahu su questioni riguardanti un eventuale
accordo con i palestinesi, prima fra tutte quella dei confini del futuro
Stato di Palestina. Non si conosce la risposta di Netanyahu. Ma più di
tante parole parlano le azioni. Dall'inizio dell'anno l'espansione delle
colonie israeliane nei territori del futuro Stato palestinese è stata
del 70%.
Una commissione ministeriale inoltre ha approvato la proposta di legge del deputato Ya'akov Litzman
per la quale il governo potrà negoziare sullo status di Gerusalemme
solo se avrà il sostegno di almeno 80 parlamentari sui 120 della
Knesset. «Netanyahu ha promesso di non negoziare su Gerusalemme. La
legge nasce per mantenere questa promessa e conservare Gerusalemme unita
(sotto il controllo di Israele, ndr)», ha spiegato Litzman.
Kerry recita il suo ruolo, sostiene che il negoziato israelo-palestinese
ripreso a luglio procede nella giusta direzione. In verità la
trattativa è paralizzata. Lo conferma anche l'allarme lanciato da Tzipi Livni, la ministra della giustizia responsabile delle trattative con i palestinesi.
«Uno stallo può portare a uno Stato palestinese che sarebbe imposto e
non sarebbe il risultato di negoziati in cui sono rappresentati gli
interessi di Israele - ha detto Livni al Congresso ebraico mondiale in
corso a Gerusalemme - credo nel processo di pace non come a un favore
all'Ue o agli Usa, è nel nostro stesso interesse». Parole evidentemente
indirizzate a Netanyahu.
Allarme che due giorni fa ha lanciato anche il presidente palestinese Abu Mazen,
per il quale è inacettabile la proposta che vuole confini dello Stato
palestinese sotto controllo militare d'Israele, con l'accusa esplicita:
un fallimento dei colloqui sarebbe da imputare solo a Israele. Ieri Abu
Mazen ha usato toni più morbidi e si è detto pronto a incontrare in ogni
momento Netanyahu. «Non possiamo permetterci il lusso di fallire, ci
sarebbero gravi conseguenze sull'avvenire della pace e della stabilità
della regione» ha detto dopo l'incontro con il presidente dell'Ue,
Herman Van Rompuy.
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