Dopo quella di giugno, è arrivata la seconda ondata di rivelazioni di
Edward Snowden, l'ex collaboratore della National Security Agency (NSA)
rifugiatosi in Russia. Le reazioni alla notizia dell'intercettazione
delle comunicazioni di decine di capi di Stato e di Governo non sono
andate oltre un'ipocrisia di comodo e le minacce - solo annunciate - di
bloccare o rallentare l'accordo di libero scambio attualmente in
discussione tra Europa e Usa. Più che far finta di scandalizzarsi per il
lavoro dell'intelligence americana e di altri paesi, che da sempre
svolgono il proprio ruolo con le tecnologie a disposizione, e indignarsi
(ma non troppo) per le "violazioni della libertà e della democrazia" varrebbe la pena cercare di capire un po' di più i motivi di questa enorme raccolta di dati ad opera degli Usa ma non solo.
Che scopo ha raccogliere i dati delle comunicazioni di decine di
milioni di persone? Certamente il controllo, mediante dei software
dedicati alla ricerca di parole chiave che possono evocare gli intenti
del cosiddetto "terrorismo internazionale". Ma vista la quantità di dati
che vengono classificati e analizzati non pare essere la sola
spiegazione. Il generale Keith Alexander, capo della NSA e del United
States Cyber Command, un paio di anni fa fece la seguente dichiarazione:
"E' nel cyberspazio che dobbiamo usare la nostra visione strategica per
dominare l'ambiente delle informazioni". E per informazioni non
intendeva solo quelle militari e politiche. Si riferiva ad ogni tipo di
informazioni economiche, industriali, commerciali e sociali. In altri
termini, con le tecnologie attuali non è più un problema la raccolta, la
"processazione" e l'archiviazione di miliardi di dati. Il messaggio che
veniva lanciato era: per comprendere il mondo bisogna innanzitutto quantificarlo.
Altri prima di lui hanno avuto la stessa idea e non è un caso che
successivamente abbiano stabilito relazioni reciproche abbastanza
strette. E' il caso di Google, Microsoft, Facebook, Twitter, Apple,
Yahoo che hanno accesso, secondo la rivista Wired, a più dell'80% delle informazioni che viaggiano su internet e in altri circuiti informatici.
L'uso di carte di credito, bancomat, tessere sanitarie,
cellulari, tablet, sistemi Gps, badge, tessere magnetiche di negozi,
centri commerciali, catene di supermercati alimentari, i siti web
visitati, le mail, le chat, gli acquisti online, i "mi piace" cliccati
su Facebook lasciano una traccia che permette di scannerizzare una
quantità enorme di comportamenti, scelte, propensioni. Secondo Mayer-Schonberger e Cukier, autori di Big Data,
stiamo uscendo dall'epoca in cui predominava la logica del
campionamento di quantità modeste di dati per approdare in quella della
correlazione di miliardi di dati. Non ci si chiede più quale effetto può produrre una certa causa, si va alla ricerca delle correlazioni,
di qualsiasi genere e natura, tra un'infinità di dati. In sintesi, una
correlazione quantifica la relazione statistica tra i valori di due dati
o pacchetti di dati. Una correlazione elevata si registra quando al
variare di uno dei valori, tende a variare anche l'altro. Non importa il
motivo delle variazioni, delle coincidenze, degli scostamenti.
L'importante è la tempestività nel rilevare i fenomeni e le strategie
messe in opera per monitorarli e possibilmente indirizzarli e
condizionarli.
Google, quattro anni fa, ha fatto da battistrada a queste modalità
di trattamento dei dati combinando alcuni miliardi di ricerche sul
proprio sito con 450 milioni di modelli matematici, che analizzavano
alcune frasi chiave, per giungere a prevedere in quali zone degli Usa ci
sarebbe stata una maggiore diffusione dell'influenza invernale. In quel
caso l'obiettivo era anche nobile, sta di fatto però che questo ha
aperto delle possibilità inimmaginabili nell'uso dei dati. Si
possono fare correlazioni tra merci acquistate e stili di vita, tra siti
web visitati e orientamenti politici, sessuali, religiosi; tra il tipo,
la quantità, la localizzazione delle comunicazioni in certe zone,
quartieri e città. Da qui la "fame" di dati delle grandi
Internet Company e delle Intelligence più potenti. Va da sé che si è
sviluppato un grande business di dati e sono nate innumerevoli società
di raccolta e vendita. I dati sono una merce, hanno un valore e possono essere usati più volte per diverse correlazioni.
Siamo probabilmente alla vigilia di un salto di paradigma nell'uso dei grandi dataset pur senza prefigurare esiti alla Minority Report,
il film di qualche anno fa in cui venivano arrestati coloro che
probabilmente stavano per commettere un reato. I software Tempora
dell'intelligence britannica e Prism di quella americana hanno obiettivi
meno fantascientifici, sono pensati per il monitoraggio su vasta scala
dei comportamenti collettivi che, a maggior ragione, in un periodo di
crisi hanno una maggiore imprevedibilità. In uno scenario del genere le
leggi attualmente in vigore per la protezione della privacy sono a dir
poco inutili, possono essere bypassate con facilità, a meno di non usare
più telefoni, computer, carte di credito, bancomat ecc.
Di certo non ci salveranno nemmeno le rivelazioni di Edward Snowden o
di Wikileaks perché pur avendo messo in tensione i cosiddetti "sistemi
di sicurezza e controllo" veicolano - per citare "Nell'acquario di
facebook" del collettivo Ippolita - un'immagine di cavalieri senza
macchia e senza paura, di sacerdoti-custodi di tecnologie e di
informazioni liberatrici, appartenenti a organizzazioni semi-segrete
dalle gerarchie opache, pronti a sfidare il sistema a costo della
propria libertà. I percorsi collettivi, aggiungiamo noi, sono
più difficili e tortuosi ma probabilmente i soli in grado di scardinare
le tecniche di controllo che producono l'assoggettamento al sistema dominante.
Fonte
Trovo tutto questo estremamente inquietante, mi piacerebbe giusto che i Voivod ci scrivessero sopra un disco...
Nessun commento:
Posta un commento