Il progetto
S.E.N.T.I.E.R.I. è stato finanziato dal Ministero della Salute. Ha
analizzato la mortalità delle popolazioni residenti nei pressi dei Siti
di Interesse Nazionale per le bonifiche, tra gli altri, quelli di
Taranto e Trieste. Il periodo esaminato va dal 1995 al 2002, anni in
cui, spiegano i servolani, la situazione non aveva ancora raggiunto gli
attuali livelli di gravità. Confrontando i dati delle due città arrivano
le sorprese: a parità di popolazione, prendendo in considerazione le
morti connesse all’inquinamento degli impianti siderurgici, il numero
registrato a Trieste (1959 decessi) è doppio rispetto a quello di Taranto (1072).
Dati
allarmanti, legati a doppio filo a quelli sulla concentrazione di
inquinanti nell’aria. E qui una premessa va fatta: chi si aspetta che le
centraline di misurazione delle sostanze inquinanti siano pubbliche
rimarrà deluso. Quelle poste nelle vicinanze dello stabilimento sono
gestite, infatti, da Elettra Produzione S.r.l, società
privata che proprio dalla Ferriera ottiene i gas di cokeria con cui
produce energia (giovando inoltre della delibera sui CIP6 che le
permette di rivendere l’energia così prodotta ad un prezzo maggiorato):
un conflitto d’interessi a regola d’arte.
Fortunatamente
una centralina pubblica esiste. È collocata nel giardino di
un’abitazione privata, a pochi metri dall’impianto siderurgico. C’è, ma è
come se non ci fosse: la centralina non è stata, ad oggi, ancora mai
utilizzata dalle autorità competenti per prendere quei provvedimenti
risolutivi che le leggi in materia consentono. Su di essa, fino a
quest’estate, pendeva una diffida del gruppo Lucchini,
proprietario della Ferriera: nel 2009 la società intimò
all’amministrazione regionale di rimuoverla, contestandone l’ubicazione.
Non ottenendo riscontro dalla Regione la Lucchini decise di fare
ricorso al Tar, la cui sentenza è arrivata
quest’estate: il ricorso, dichiarato “inammissibile”, è stato rigettato,
poiché non si sono viste “quali illegittimità possano sussistere in una
scelta autonoma della regione o degli enti esponenziali della regione (Arpa)
di collocare una centralina in un centro abitato”, al cui interno
vivono persone con eguale diritto a respirare un’aria decorosa. Da
notare infatti che la centralina contestata è a 220 metri dalla cokeria
(fonte principale delle emissioni di benzo(a)pirene), da cui i primi
condomini distano invece appena 160 metri.
Leggendo
i valori misurati dalla centralina contestata si intuisce il perché
della diffida: rispetto a quelli riportati dalle altre sono
straordinariamente alti e superano ogni limite legale. Per le polveri sottili PM10,
associate a un aumento della mortalità respiratoria, il valore limite
giornaliero nei primi nove mesi del 2013 è già stato superato 70 volte
(a fronte dei 35 sforamenti tollerati annualmente); per quanto riguarda
il benzo(a)pirene, cancerogeno, la concentrazione
nell’aria nei primi otto mesi dell’anno – di 1,77 ng/m3 – è tale da
rendere impossibile il rispetto del limite annuale di 1 ng/m3. Nel 2012
non è andata meglio: gli sforamenti delle PM10 sono stati 99, mentre il
limite del benzo(a)pirene è stato superato di tre volte, avendo
registrato una media di 3,4 ng/m3.
Un approccio di
questo tipo, strettamente normativo, non può però descrivere fino in
fondo la drammatica situazione vissuta dai servolani, negli ultimi anni
decisamente peggiorata. La salute, che riguarda il benessere psicofisico
di una persona, non viene alterata solamente dalla presenza di una
particolare sostanza nell’aria. A questo inquinamento bisogna aggiungere
quello dei terreni e dell’acqua (la Ferriera si affaccia proprio sul
mare, a volte ricoperto da una sospetta schiuma bianca), il rumore delle
sirene anche nel pieno della notte, la puzza di zolfo, le polveri
presenti ovunque, la paura di scendere in strada. Lo stesso concetto è
stato espresso in molte lettera dell’Azienda sanitaria
agli enti locali. L’ennesima è stata inviata un anno fa all’assessore
all’ambiente del Comune di Trieste, dove si è fatto notare come abbiano
più volte evidenziato (a partire dal 2007) i “rischi per la salute
umana e l’ambiente conseguenti ad inquinanti quali benzene, polveri e
Ipa”. Osservando infine che “la presenza di un’esposizione a più
inquinanti, anche se alcuni valori sono prossimi ai limiti di legge,
rappresenta un fattore cumulativo di rischio portando ad un’aggressione
all’organismo da parte di più sostanze che possono contribuire
sinergicamente a determinare danni per la salute con effetti a lungo
termine”.
Per la Ferriera di Trieste questo è un
momento chiave: in seguito alla crisi economica della Lucchini (al
momento l’impianto è in regime di amministrazione straordinaria,
richiesto dall’azienda stessa in base alla Legge Marzano), l’ultima
possibilità per il proseguimento dell’attività siderurgica è data dal gruppo Arvedi,
che a giorni firmerà il contratto d’affitto dell’impianto per i
prossimi 8 mesi, a cui potrebbe seguire l’acquisto definitivo. Al tempo
stesso dovrà essere reso noto l’accordo di programma che chiarirà le
condizioni alle quali il “cavaliere dell’acciaio” subentrerà nella
gestione della Ferriera. Tra le altre, e voluta fortemente da Arvedi,
quella di affrontare le ingenti spese di bonifica dell’area attingendo a fondi pubblici. E mentre sindacati e operai si mobilitano per scongiurare i tagli all’organico già previsti dalla nuova gestione, si avvicina una data importante.
A febbraio scadrà infatti l’Autorizzazione integrata ambientale
concessa dalla Regione e senza la quale la Ferriera non potrà
continuare la produzione. Ma l’impressione a Trieste, nonostante le
generali condizioni e l’impatto ambientale, è che vogliano rinnovarla
senza troppi inciampi. La presidente del Friuli Venezia Giulia Debora
Serracchiani ci mette la faccia: “Stiamo facendo tutto il possibile per
il risanamento ambientale, senza se e senza ma”. Impegno ribadito dal
sindaco di Trieste, Roberto Cosolini, che sottolinea
come per il Comune “l’obiettivo è garantire la continuità industriale,
dentro un accordo di programma che preveda misure per il risanamento
ambientale del sito”. E se l’accordo con Arvedi saltasse? “La soluzione
sarebbe tutta quanta da trovare”. Insomma, nessun piano di riserva.
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