di Michele Paris
Mentre la diplomazia internazionale sta cercando di fissare una data
definitiva per l’avvio di improbabili negoziati di pace che dovrebbero
gettare le basi per il futuro della Siria, la violenza nel paese
mediorientale continua ad essere alimentata da forze integraliste di
matrice terroristica scatenate dalle politiche dei governi occidentali e
dei loro alleati nel mondo arabo.
L’ennesimo episodio che
conferma la vera faccia dell’opposizione più agguerrita nei confronti
del regime di Bashar al-Assad, è stato registrato nella giornata di
domenica, quando un attacco suicida con un’autobomba ha causato decine
di morti, soprattutto civili, a Hama, città sotto il controllo
governativo situata nella Siria centrale a poco meno di 200 km a nord di
Damasco.
A riferire del sanguinoso attentato è stata non solo l’agenzia di stampa ufficiale, SANA,
ma anche l’Osservatorio per i Diritti Umani in Siria,
un’organizzazione con sede in Gran Bretagna che appoggia i “ribelli”.
Secondo quest’ultimo, i morti causati dall’esplosione sarebbero stati
45, di cui 32 civili, e a condurre l’operazione il Fronte al-Nusra, uno
dei gruppi armati affiliati ad Al-Qaeda che opera nel paese spesso a
stretto contatto con le milizie “secolari” apertamente appoggiate
dall’Occidente.
L’attentato di domenica era stato preceduto
sabato da un’altra autobomba, esplosa nei pressi di un check-point delle
forze di sicurezza nel quartiere Jaramana della capitale siriana,
facendo svariate vittime e feriti.
Simili metodi sono da tempo
utilizzati dalle brigate fondamentaliste che trovano molto più del
tacito sostegno di paesi alleati dell’Occidente come Turchia o Arabia
Saudita, i quali attraverso di esse avanzano i propri interessi
strategici in Siria dissimulandoli dietro la retorica umanitaria.
Il
prevalere delle formazioni terroriste tra la galassia dei “ribelli” in
Siria getta dunque un’ombra sempre più cupa sul tavolo dei negoziati che
dovrebbero aprirsi a Ginevra nelle prossime settimane. Infatti, i
rappresentanti dell’opposizione promossi dall’Occidente riuniti nella
cosiddetta Coalizione Nazionale Siriana che dovrebbero presentarsi nella
località svizzera risultano sempre più screditati nel paese
mediorientale e rappresentano un numero sempre più ristretto di gruppi
armati operanti contro le forze di Assad.
Ciò è apparso ancora
una volta evidente nei giorni scorsi, quando alcune milizie attive nel
sud della Siria hanno annunciato il proprio sganciamento dalla
Coalizione, così come avevano fatto in precedenza altre 13 formazioni
armate, tra cui almeno tre considerate tra le meglio attrezzate sotto la
diretta autorità del Consiglio Militare Supremo del Libero Esercito
della Siria.
In questo nuovo scenario, perciò, se anche un
qualche accordo dovesse essere partorito durante il summit battezzato
“Ginevra II”, i leader della Coalizione non avrebbero praticamente
nessuna autorità per farne rispettare i termini e per far cessare le
violenze.
Ciononostante, dopo avere contribuito all’afflusso di
decine di migliaia di guerriglieri integralisti in uno dei paesi più
secolari del Medio Oriente, gli Stati Uniti e i loro alleati stanno ora
cercando di dare una qualche apparenza di legittimità agli esponenti
filo-occidentali dell’opposizione, nel tentativo di limitare l’influenza
del fondamentalismo sunnita e promuovere una nuova e docile classe
dirigente per il dopo Assad.
I colloqui da tenersi a Ginevra
continuano però a rimanere in forte dubbio, nonostante nella giornata di
domenica il numero uno della Lega Araba, Nabil el-Araby, abbia
affermato durante un incontro con i giornalisti al Cairo che la
conferenza si aprirà il 23 novembre prossimo.
La stessa data era
stata indicata la settimana scorsa anche dal vice-primo ministro siriano,
Qadri Jamil, nel corso di una visita a Mosca, a conferma della
disponibilità del regime di Damasco ad aprire una qualche trattativa da
una posizione di forza e con un’opposizione sempre più debole e
frammentata.
Sia
in quell’occasione che nel fine settimana, tuttavia, l’inviato speciale
delle Nazioni Unite e della Lega Araba, il diplomatico algerino Lakhdar
Brahimi, ha smorzato i relativi entusiasmi, chiarendo che nessuna data
certa è stata finora decisa e che i colloqui rimarranno in dubbio fino a
che non ci sarà “un’opposizione credibile” disposta a prendervi parte.
Lo stesso Brahimi ha in programma questa settimana visite in Turchia e
in Qatar, i cui governi sono tra i principali sostenitori dei “ribelli”.
L’apertura
di “Ginevra II”, infatti, dipende in gran parte dalla disponibilità dei
leader della Coalizione Nazionale Siriana che dovrebbero incontrarsi
tra pochi giorni per decidere se partecipare ai colloqui di pace.
I
ministri degli Esteri dell’Unione Europea, intanto, si sono riuniti
lunedì in Lussemburgo per discutere dei negoziati sulla Siria, mentre
martedì sarà la volta degli “Amici della Siria” - o gruppo degli “11 di
Londra” - che nella capitale britannica cercheranno di convincere i
membri della Coalizione a partecipare alla discussione con i
rappresentanti del presidente Assad.
Quest’ultimo, da parte sua,
ha da tempo fatto sapere di volere far seguire l’accordo con Russia e
Stati Uniti sullo smantellamento del proprio arsenale chimico con la
partecipazione a “Ginevra II”. Il fermo rifiuto del presidente a farsi
da parte e la più che comprensibile indisponibilità a trattare con i
gruppi terroristi continua però a dividere l’opposizione appoggiata
dall’Occidente, all’interno della quale in molti avevano posto come
condizione imprescindibile proprio le dimissioni di Bashar al-Assad.
Fonte
Roba da matti dopo due anni di diplomazia creativa l'occidente è riuscito soltanto nell'impresa di far passare Assad per un signore!
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