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23/10/2013

Siria: terrorismo e negoziati

di Michele Paris

Mentre la diplomazia internazionale sta cercando di fissare una data definitiva per l’avvio di improbabili negoziati di pace che dovrebbero gettare le basi per il futuro della Siria, la violenza nel paese mediorientale continua ad essere alimentata da forze integraliste di matrice terroristica scatenate dalle politiche dei governi occidentali e dei loro alleati nel mondo arabo.

L’ennesimo episodio che conferma la vera faccia dell’opposizione più agguerrita nei confronti del regime di Bashar al-Assad, è stato registrato nella giornata di domenica, quando un attacco suicida con un’autobomba ha causato decine di morti, soprattutto civili, a Hama, città sotto il controllo governativo situata nella Siria centrale a poco meno di 200 km a nord di Damasco.

A riferire del sanguinoso attentato è stata non solo l’agenzia di stampa ufficiale, SANA, ma anche l’Osservatorio per i Diritti Umani in Siria, un’organizzazione con sede in Gran Bretagna che appoggia i “ribelli”. Secondo quest’ultimo, i morti causati dall’esplosione sarebbero stati 45, di cui 32 civili, e a condurre l’operazione il Fronte al-Nusra, uno dei gruppi armati affiliati ad Al-Qaeda che opera nel paese spesso a stretto contatto con le milizie “secolari” apertamente appoggiate dall’Occidente.

L’attentato di domenica era stato preceduto sabato da un’altra autobomba, esplosa nei pressi di un check-point delle forze di sicurezza nel quartiere Jaramana della capitale siriana, facendo svariate vittime e feriti.

Simili metodi sono da tempo utilizzati dalle brigate fondamentaliste che trovano molto più del tacito sostegno di paesi alleati dell’Occidente come Turchia o Arabia Saudita, i quali attraverso di esse avanzano i propri interessi strategici in Siria dissimulandoli dietro la retorica umanitaria.

Il prevalere delle formazioni terroriste tra la galassia dei “ribelli” in Siria getta dunque un’ombra sempre più cupa sul tavolo dei negoziati che dovrebbero aprirsi a Ginevra nelle prossime settimane. Infatti, i rappresentanti dell’opposizione promossi dall’Occidente riuniti nella cosiddetta Coalizione Nazionale Siriana che dovrebbero presentarsi nella località svizzera risultano sempre più screditati nel paese mediorientale e rappresentano un numero sempre più ristretto di gruppi armati operanti contro le forze di Assad.

Ciò è apparso ancora una volta evidente nei giorni scorsi, quando alcune milizie attive nel sud della Siria hanno annunciato il proprio sganciamento dalla Coalizione, così come avevano fatto in precedenza altre 13 formazioni armate, tra cui almeno tre considerate tra le meglio attrezzate sotto la diretta autorità del Consiglio Militare Supremo del Libero Esercito della Siria.

In questo nuovo scenario, perciò, se anche un qualche accordo dovesse essere partorito durante il summit battezzato “Ginevra II”, i leader della Coalizione non avrebbero praticamente nessuna autorità per farne rispettare i termini e per far cessare le violenze.

Ciononostante, dopo avere contribuito all’afflusso di decine di migliaia di guerriglieri integralisti in uno dei paesi più secolari del Medio Oriente, gli Stati Uniti e i loro alleati stanno ora cercando di dare una qualche apparenza di legittimità agli esponenti filo-occidentali dell’opposizione, nel tentativo di limitare l’influenza del fondamentalismo sunnita e promuovere una nuova e docile classe dirigente per il dopo Assad.

I colloqui da tenersi a Ginevra continuano però a rimanere in forte dubbio, nonostante nella giornata di domenica il numero uno della Lega Araba, Nabil el-Araby, abbia affermato durante un incontro con i giornalisti al Cairo che la conferenza si aprirà il 23 novembre prossimo.

La stessa data era stata indicata la settimana scorsa anche dal vice-primo ministro siriano, Qadri Jamil, nel corso di una visita a Mosca, a conferma della disponibilità del regime di Damasco ad aprire una qualche trattativa da una posizione di forza e con un’opposizione sempre più debole e frammentata.

Sia in quell’occasione che nel fine settimana, tuttavia, l’inviato speciale delle Nazioni Unite e della Lega Araba, il diplomatico algerino Lakhdar Brahimi, ha smorzato i relativi entusiasmi, chiarendo che nessuna data certa è stata finora decisa e che i colloqui rimarranno in dubbio fino a che non ci sarà “un’opposizione credibile” disposta a prendervi parte. Lo stesso Brahimi ha in programma questa settimana visite in Turchia e in Qatar, i cui governi sono tra i principali sostenitori dei “ribelli”.

L’apertura di “Ginevra II”, infatti, dipende in gran parte dalla disponibilità dei leader della Coalizione Nazionale Siriana che dovrebbero incontrarsi tra pochi giorni per decidere se partecipare ai colloqui di pace.

I ministri degli Esteri dell’Unione Europea, intanto, si sono riuniti lunedì in Lussemburgo per discutere dei negoziati sulla Siria, mentre martedì sarà la volta degli “Amici della Siria” - o gruppo degli “11 di Londra” - che nella capitale britannica cercheranno di convincere i membri della Coalizione a partecipare alla discussione con i rappresentanti del presidente Assad.

Quest’ultimo, da parte sua, ha da tempo fatto sapere di volere far seguire l’accordo con Russia e Stati Uniti sullo smantellamento del proprio arsenale chimico con la partecipazione a “Ginevra II”. Il fermo rifiuto del presidente a farsi da parte e la più che comprensibile indisponibilità a trattare con i gruppi terroristi continua però a dividere l’opposizione appoggiata dall’Occidente, all’interno della quale in molti avevano posto come condizione imprescindibile proprio le dimissioni di Bashar al-Assad.

Fonte

Roba da matti dopo due anni di diplomazia creativa l'occidente è riuscito soltanto nell'impresa di far passare Assad per un signore!

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