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24/10/2013

Israele, combattenti per la Siria

Tre giovani di Majdal Shams sulle Alture del Golan - territorio siriano che è stato annesso illegalmente da Israele nel 1981 - si sono uniti alle file dell'esercito ba'athista di Bashar al-Asad. Questo è quanto ha sostenuto ieri il quotidiano israeliano Ha'Aretz. Lo'i Mar'i, 24 anni, ha deciso di attraversare il confine un anno e mezzo fa. A fargli compagnia è stato il coetaneo Nadim Kadmani. I due, secondo testimoni che hanno preferito restare anonimi, hanno scelto di lasciare la loro cittadina a causa di alcuni reati compiuti ai danni della sicurezza dello stato ebraico.

A questi due nomi, un mese fa, si è aggiunto quello di Rafat Halabi, 28 anni. Gli abitanti di Majdal Shams raccontano che i giovani hanno raggiunto un luogo preciso del confine dove erano certi che non avrebbero avuto problemi con le mine e, dopo aver attraversato il confine, si sarebbero recati ad una postazione militare dell'Esercito siriano.

Per quanto ignari della loro decisione, i parenti dei tre ragazzi non sembrano essere rimasti molto sorpresi. I giovani erano tre noti ferventi sostenitori del Presidente Bashar al-Asad e più di una volta si erano scontrati con gli abitanti della cittadina solidali con i ribelli.

Ha'Aretz parla anche di una intervista che Lo'i Mar'i ha concesso alla televisione siriana in cui il palestinese racconta della violenza mentale subita quando era in prigione e del perché si sia recato in Siria: «come figli del Golan, io e il mio amico Nadim abbiamo scelto di unirci all'esercito arabo siriano e di prendere parte alla lotta per difendere la patria con la speranza che in futuro riusciremo a liberare il Golan».

I tre sarebbero stati sottoposti ad un interrogatorio da parte dell'Intelligence siriana prima di prendere parte alle operazioni militari. A Majdal Shams fonti rimaste anonime provano a minimizzare e parlano di casi isolati.

Il coinvolgimento dei palestinesi israeliani in Siria

Non è la prima volta che si parla del coinvolgimento nel conflitto siriano dei palestinesi con cittadinanza israeliana. Già il 31 Dicembre sempre Ha'Aretz raccontava di un trentenne di Kfar Kasem che era riuscito ad entrare in Siria da Majdal Shams.

Storia che presentò diversi lati oscuri. La moglie del presunto combattente, in una intervista rilasciata al quotidiano al-'Arab di Nazareth, raccontò di essere preoccupata per le sorti del marito che dal 2009, in seguito ad un grave incidente di lavoro, soffriva di gravi danni fisici e psichici.

Come un uomo con vistosi handicap fisici aveva potuto attraversare indisturbato il confine con la Siria dove l'Esercito israeliano ha rinforzato il muro di separazione per evitare casi di "infiltrati" sul suo territorio?

Sorte non meno chiara è quella di Mu'ayad Zaki Ighbariyeh di Wadi 'Ara zona a nord ovest della Linea Verde nel distretto di Haifa. Mu'ayad è stato presentato dalla stampa locale a fine Settembre come un ragazzo «strano» che voleva essere più «attivo» nei paesi limitrofi. Così ha preso la decisione di unirsi all'Opposizione del regime di Damasco. Ma non è stato il solo. A fargli compagnia, secondo alcune stime, sarebbero tra i 15 e i 20 connazionali. La maggior parte proviene dai villaggi "arabi" situati nel centro d'Israele e avrebbe scelto di combattere con il qa'edista Fronte al-Nusra.

L'internazionalismo del jihadismo

Il coinvolgimento di questi giovani nel conflitto siriano deve però essere inquadrato in una contesto più ampio che coinvolge i paesi arabi e molti stati occidentali. Non solo quindi come problema israeliano. Il quadro di riferimento è infatti quello del jihadismo globale che da più di due anni ha il nord della Siria come suo epicentro.

E' fatto ormai conclamato che migliaia di miliziani (legati soprattutto al Fronte Islamico di Iraq e del Levante) siano principalmente "stranieri": musulmani arabi e non. Contagio jihadista da cui non è rimasto immune nemmeno l'Occidente. Sono diversi i casi di occidentali convertiti all'Islam che si sono uniti alle file della nebulosa (e ambigua) galassia dei ribelli per combattere una battaglia che non ha niente a che vedere con le legittime proteste delle migliaia di manifestanti del Marzo del 2011 represse con brutalità da al-Asad.

Un internazionalismo del Jihad che non ha risparmiato nemmeno l'Italia che contava pochi mesi fa una cinquantina di combattenti in Siria. Lo scorso Aprile un rapporto pubblicato dal Centro Internazionale per gli studi sulla radicalizzazione (Icsr) del King's College di Londra aveva stimato i combattenti in arrivo dall'UE in un numero che oscilla dai 135 ai 590, pari a circa il 7-11% degli stranieri presenti sul posto. A registrare il maggior numero di oppositori al regime siriano vi era l'Olanda, seguita dalla Gran Bretagna, Belgio e Francia. Ma ad unirsi ai ribelli sono stati anche cittadini musulmani australiani e canadesi, paesi geograficamente e politicamente lontani dal Medio Oriente ma confinanti quando il Jihad chiama alle armi.

Controllare le fonti

Ma se la presenza di fondamentalisti è massiccia ed innegabile, tuttavia bisogna essere sempre attenti a controllare le fonti. Emblematico a tal riguardo è il presunto Sex Jihad (in arabo Jihad al-Nikah) di decine di tunisine partite in Siria per appagare i desideri erotici di più combattenti qa'edisti, alcune delle quali tornate in patria incinte.

Vicenda credibile (che forze controrivoluzionarie facciano utilizzo dei corpi delle donne a loro piacimento è la storia ad insegnarcelo) ma che sembra trasformarsi in una "grossa arma di distrazione di massa" quando chi se n'è fatto promotore (il Ministro degli Interni tunisino Lufti Ben Jeddu) esita, tace, cambia i numeri non portando nessuna prova concreta. Forse perché l'invenzione del jihad sessuale serve più a distogliere le critiche internazionali che piovono sul suo partito e sul suo governo in crisi che diversi analisti ritengono sia coinvolto nell'uccisione dei due politici d'opposizione Bel'id e Brahmi. Quale migliore modo se non quello di una storia anti-islamica, raccontata in termini orientalistici come piace alla gran parte dell'opinione pubblica internazionale che vede nell'Islam tutto ciò che è "barbaro" e "primitivo"?

Anche la storia di Mu'ayad presenta un esito quanto mai discutibile dove i confini tra realtà e menzogna sono effimeri. Se ormai è inconfutabile che il giovane abbia combattuto con il Fronte al-Nusra, dubbia resta ancora la sorte capitatagli. A fine Settembre Ha'Aretz riportava la notizia che era morto negli scontri con le truppe del regime. La foto di un cadavere di un giovane ribelle era arrivata alla famiglia di Mu'ayad che aveva riconosciuto in quel corpo senza vita il proprio figlio.

Ma poi, pochi giorni fa, la clamorosa smentita del padre che sosteneva di aver parlato con lui a telefono accertandosi delle sua identità grazie alle risposte ricevute.

"Disattenzioni" israeliane?

Ad ogni modo qui è irrilevante chiedersi cosa sia veramente accaduto a Mu'ayad. Né è importante, considerato il bagno di sangue che si registra in Siria ogni giorno, indagare cosa sia realmente accaduto ai suoi connazionali Hikmet Masarwa (29 anni) e Abd al-Qader (27) di Taybe e Mohammed Yasin (26) di Tamra. Sarebbe del resto complicato farlo. La ventina di palestinesi israeliani andati a combattere in Siria se da un lato prova come il richiamo al Jihadismo abbia coinvolto anche lo stato ebraico (aspetto da non sottovalutare) ci pone di fronte ad un interrogativo più inquietante.

Come è possibile che in uno stato come quello israeliano iper militarizzato, iper sorvegliato, iper repressivo, dove i suoi "cittadini arabi" sono costantemente controllati, soprattutto se militanti, attivisti di al-Qa'eda si siano potuti recare senza grosse difficoltà in Turchia o in Giordania e da lì procedere verso la Siria a combattere la "guerra santa"? E' difficile credere alla "negligenza" di Tel Aviv per non aver monitorato con la dovuta attenzione gli spostamenti di questi "suoi cittadini" imbevuti di qa'edismo e che pubblicamente sostenevano la costituzione di un califfato islamico.

Chissà cosa penserà di queste "disattenzioni" israeliane il giovane Razi Nabulsi, detenuto per alcuni giorni per «istigazione alla violenza» per un suo status su Facebook. Aveva scritto: "un giorno questo incubo sarà finito".

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