Le due giornate romane si sono
chiuse in modo molto positivo, con tanta partecipazione nonostante le
difficoltà logistiche, il terrorismo mediatico e il tentativo di
Trenitalia di boicottare la manifestazione
Bisogna
essere sinceri. Prima della due giorni romana in molti, noi compresi,
erano convinti della necessità di misurarsi con la piazza ma allo stesso
tempo non erano ottimisti rispetto alla riuscita. C'era il rischio di
rappresentare questa due giorni con il solito sciopero generale, che è
generale solo formalmente, e di riproporre il solito corteo contro la
crisi che poi l'anno successivo si ritrova a Roma a misurarsi con una
crisi sempre più profonda senza aver determinato, nel frattempo, nemmeno
una piccola inversione di tendenza.
Il corteo del 18 Ottobre
Invece il bilancio dei due giorni di
cortei e di "accampate" (mentre scriviamo a Porta Pia è sempre in atto) è
positivo, anche nei numeri. O meglio, i 15.000 reali dello sciopero del
venerdì non sono tantissimi. La partecipazione ha probabilmente
risentito della crisi stessa, della rinuncia a una giornata di stipendio
e dei costi di spostamento anche se parzialmente coperti dai sindacati
stessi e forse anche della sensazione che fosse il solito sciopero da
venerdì romano. Così invece non è stato.
Il corteo che ha sfilato per le vie di
Roma ha portato in piazza le vertenze più importanti e delicate del
mondo del lavoro di questo paese (Ilva e Alitalia in testa) ed era
composto per metà dal sindacato Usb seguito poi da Cobas, Cub e Usi. Se
c'è stata scarsa partecipazione dei comparti del pubblico impiego e
della sanità, c'è però da sottolineare come si siano affacciate molte
altre vertenze in settori non tradizionalmente sindacalizzate, da molti
immigrati e non del comparto logistica, da varie delegazioni di
lavoratori coop e molti altri. Probabilmente anche questo è il segno dei
tempi che cambiano. Il sindacalismo di base, ripartendo da venerdì, si
sta interrogando sul proprio futuro dopo i famigerati accordi del 31
maggio firmati anche dalla Fiom e sa benissimo che questo dipende
soprattutto dalla capacità di essere presente sui territori.
Al di là dei numeri però è stata
vincente "l'accampata" piazza San Giovanni dove durante tutta la
giornata si sono susseguiti interventi e dibattiti e dove si è,
intelligentemente, dato un riferimento per tutti coloro che sarebbero
arrivati, nei più disparati modi, per la manifestazione del giorno
successivo. Fin dalla mattina si è visto che il corteo del sabato
sarebbe stato partecipato. E così è stato.
Il corteo del 19 Ottobre
Iniziamo da una constatazione
d'immagine: alla partenza da piazza San Giovanni, all'angolo con via
Merulana c'erano molti manifestanti fermi sul marciapiede ad attendere
il corteo per vederne la composizione, perché da subito si era avuta la
sensazione che fosse qualcosa di diverso dal solito. A nostro avviso si è
assistito a uno dei cortei più belli degli ultimi 10 anni. In passato
ce ne sono stati di più numerosi ma una larghissima fetta dei 50/60.000
reali che hanno sfilato erano il risultato di lotte vere, concrete e
quotidiane sui territori e il primo spezzone con oltre 10.000 persone
era la rappresentazione reale di una forza di intervento sulla crisi che
ha un suo peso e una sua efficacia. I movimenti di lotta per la casa
sparsi in tutto il paese, in particolare quello romano, hanno portato in
piazza una lotta reale, delle persone vere e delle soluzioni concrete
ad un'emergenza divenuta dramma, come quella della casa. Così come era
ben visibile uno spezzone legato a varie esperienze, pratiche ed analisi
sul reddito. Lo slogan, indovinato, L'UNICA GRANDE OPERA CHE VOGLIAMO:
CASA E REDDITO PER TUTTI, era quindi ben rappresentato. In fondo al
corteo invece vari partiti e soggetti politici con spezzoni più piccoli
ad indicare una difficoltà e una scarsa attrattività. I soggetti più
tradizionali scontano, a seconda dei casi, anni di eccessivi tatticismi o
di estrema autoreferenzialità e una difficoltà di analisi su temi
fondamentali di carattere macroeconomico e di visione della società.
Resta il fatto che qualcuno prima o poi dovrà colmare questo questo
buco, siano essi partiti, movimenti o qualcos'altro.
I media e la distorsione della realtà
Il corteo del sabato faceva paura al
potere da tempo. Non tanto per problemi di ordine pubblico ma per la sua
composizione sociale. Piano piano ed in modo progressivo una parte di
quei soggetti colpiti dalla crisi sta tirando fuori la testa e
auto rappresentandosi. Le istituzioni ormai non lasciano più spazio a
soluzioni e compromessi per cui sempre più persone abbandonano ogni
timore e emergono dalla zona grigia di chi ha sempre pensato che prima o
poi qualcuno avrebbe risolto la sua situazione.
Per capire la malafede di chi è pagato
per disinformare basta vedere che i media più diffusi hanno bollato
questa manifestazione come No Tav quando tutti sapevano che il tema del
corteo sarebbe stato principalmente quello del diritto all'abitare e del
reddito. I No Tav, come sempre, c'erano a portare la testimonianza
della loro lotta e la solidarietà al corteo, ma si è trattato di 50
persone venute con un pullman su 50.000 persone. I media di regime hanno
provato a spendere il loro nome sperando di scalfire la loro immagine e
la loro lotta in caso di flop o di violenze su cui marciare e invece
sono rimasti a bocca asciutta.
Naufragato il tentativo contro i No Tav,
allora, hanno cercato di ridurre un corteo durato più di 4 ore e
composto da 50.000 persone (numero uscito sulle loro testate che sta ad
indicare che non siamo davanti a cifre sparate a caso) ad una azione di
un pezzo di corteo davanti al ministero dell'economia. L'80% dei
commenti, degli articoli e delle foto di testate come Repubblica, ad
esempio, hanno riguardato quei 5 minuti. Come se in una finale di un
mondiale di calcio finita 4 a 0 il giornalista sportivo dedicasse 3
colonne su 4 ad un fallo laterale conteso. Basta questo per capire la
malafede di chi bramava e spingeva per un corteo con un copione da
guerriglia ed invece è rimasto male a vedere un corteo ben organizzato
con servizi d'ordine e una composizione di lotta, ma non quella da 3
minuti di gloria davanti alle telecamere ma quelle quotidiane fatte
insieme alla gente scarnata dalla crisi.
Quindi, per concludere, a noi non
interessano i sensazionalismi e i dibattiti sulla violenza. Noi partiamo
dal presupposto che stiamo dalla parte di chi ogni giorno lotta, dedica
il proprio tempo e prende le denunce per trovare soluzioni e invertire
la tendenza della crisi che colpisce le persone socialmente più deboli.
Il resto per noi è roba da talk show, sia chi cerca i riflettori una
volta l'anno sia chi fa della propria professione il modo per svendersi e
dire menzogne.
red. 20 ottobre 2013
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