Ma c’è un di più e un diverso: dopo il cosiddetto Datagate, come spesso accade, è più facile sia mettere a fuoco i contorni della vicenda di allora tra Usa e Russia, sia quella attuale con l’Unione Europea ma anche gli scenari possibili. Ciò che colpisce, infatti, è la reazione dei governi europei (Francia, Germania e Italia); reazione che fa trasparire, come fosse una vera filigrana in controluce, il disegno in atto. Che l’Europa si stesse costituendo in un polo imperialista era pure sufficientemente noto, in quest’ultima vicenda dello spionaggio americano, invece, la contraddizione si sposta palesemente sul piano strettamente politico; e la difesa della Merkel, come di Holland o di Letta, non riguarda la consueta sovranità nazionale ma, per l’appunto, l’Europa.
O meglio: la costruzione degli Stati Uniti d’Europa, di cui l’Unione è profeta.
A essere spiata, infatti, non è la Merkel in quanto Cancelliere della Germania, ma perché locomotiva della nuova costruzione politica. La balla del Superimpero è ancora una volta evidente, senza però escludere la maggiore sudditanza di alcuni piuttosto che altri; così come non esiste un indifferenziato impero, infatti, non c’è un’indifferenziata Unione Europea che reagisce allo stesso modo (più o meno servile).
Questo fotogramma della situazione attuale ci mostra i paesi egemoni in crisi di prospettive politiche (oltre che economiche). Mentre lo svolgimento intero del film ci fa capire come alla iniziale crisi di sovrapproduzione (databile sin dagli anni Settanta) occultata dalla leva finanziaria nel tentativo di contrastare la Caduta Tendenziale del Saggio Medio di Profitto è, infatti, subentrata la competizione internazionale sia nella veste direttamente economica sia in quella politica. Prima è stata la guerra monetaria tra Euro e Dollaro, oggi quella politica tra i Governi. Questi processi, adesso in corso nell’Unione Europea, sono iniziati negli anni ’80 ma poi si sono rapidamente intensificati nel decennio successivo alla fine dell’URSS, occupando lo spazio funzionale lasciato vuoto dal venir meno della contesa col blocco socialista. Ecco perché l’Unione Europea non è riformabile: perché, pur modificandosi le forme contingenti dell’agire politico, la sua funzione d’irreggimentazione è rimasta inalterata. Non è un caso, infatti, che la vecchia idea di unione europea rinasce negli anni Cinquanta, nel fuoco, cioè, dello scontro tra i blocchi contrapposti statunitense e socialista. Con il Mec (Cee) nel 1957 nasce un’Europa che aggregava le nazioni occidentali (in base cioè al concetto atlantico d’occidente) in virtù non solo della convenienza economica ma anche in contrapposizione (politica e ideologica) ad altri paesi europei (quelli del Comecon), sottintendendo un’identità ideologica e una comunanza strategica. Gli organismi sovranazionali costituiti allora, però, configuravano niente più che un’Europa dei governi, una sommatoria cioè. È questa costruzione puramente fittizia e svuotata di qualunque potere reale a essere stata per l’appunto mascherata attraverso l’elezione del Parlamento di Strasburgo (1979), dall’integrazione monetaria e del mercato del lavoro ma, soprattutto, dall’unificazione delle due germanie. Oggi, punto più avanzato di questa costruzione, è anche il momento di maggiore stridore delle contraddizioni che questo processo determina.
Il punto da capire è quindi – per noi – relativo all’evidente crisi di egemonia che apre sì spazi per la ricerca di un’alternativa economica d’area, ma all’interno di una proposta politica e – perché no – ideologica di visione del mondo. Tant’è che anche la percezione della crisi si è spostata dal piano strettamente economico a quello politico: allo Stato cioè inteso nelle sue funzioni più ampie.
Un processo italiano o europeo ma che riguarda anche, anzi molto, gli USA. Infatti quello che traspare in controluce è che alla competizione finanziaria, oggi l’euro surclassa nel cambio il dollaro, si aggiunge la competizione tecnologica che si manifesta sia sul versante della produzione civile avanzata che su quello della tecnologia militare. E’ evidente che se gli USA hanno potuto intercettare tutti i capi di stato, che usufruiscono ovviamente delle tecniche di sicurezza più sofisticate, lo hanno fatto perché possiedono tecnologie più avanzate di tutti gli altri competitori dell’est come dell’ovest; dunque un incremento del conflitto internazionale nei punti forti dello sviluppo capitalistico mondiale non sembra certo una ipotesi di fantapolitica.
Se siamo dunque dentro una crisi di egemonia, cioè della capacità del gruppo sociale dominante di riuscire a mantenere la propria capacità di orientamento e aggregazione degli altri gruppi sociali e di essere anche classe dirigente, cioè direzione politica, intellettuale e morale sul resto della società, in Europa questa crisi ha un carattere peculiare: la crisi degli Stati Nazionali, incluso quello della Germania. Non nel senso di un annichilimento della forma-stato, di per sé ineliminabile, quanto di questa forma statale che apre – potenzialmente – agli Stati Uniti d’Europa. Esito, questo, che può essere garantito solo dalla tenuta della lotta di classe dall’alto. In questo senso, ovvero nell’impedire la nascita di un nuovo imperialismo e dunque di un nuovo punto di conflitto mondiale, che va rotta l’Unione Europea, che va destrutturata una costruzione statuale che non può che peggiorare le prospettive dei popoli a questa subordinati.
Ecco perché appare decisivo riprendere la questione del blocco storico: non solo le forze tradizionalmente antagoniste hanno, infatti, oggettivamente da guadagnare dalla rottura di questa irreggimentazione costituita dall’Unione Europea ma anche ampi settori di quelle stesse classi borghesi che sino a poco tempo fa vedevano garantiti i propri margini di sfruttamento e dunque di profitto entro quest'ambito. Se la contraddizione si è, infatti, spostata sul piano politico, questo è la dimostrazione che nessun determinismo volgare può a lungo occultare la possibilità dell’inversione storica. È rimessa in campo tutta la sfera, per troppo tempo dimentica, dell’agire che è libero se si sa dotare di strumenti adeguati.
Fonte
Questa, come diverse altre analisi che mi è capitato di leggere e riproporre qui, a mio parere avvalla considerevolmente la tesi di una "rinascente" multipolarità globale, che fa il paio con gli assetti geopolitici del secolo scorso, quelli da cui s'innescarono i meccanismo che condussero al primo conflitto mondiale, ma anche alla prima vera emancipazione delle classi subalterne rispetto ai ceti socio-economici dominanti.
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