Prima di tutto va sciolto un equivoco: Matteo Renzi non è un leader moderato, o un innovatore che guarda sia a destra che a “sinistra”, ma un cioccolataio. Ovvero qualcuno che, per esibirsi nella comunicazione politica, non esista, in pochi mesi, a cambiare proposte politiche sul lavoro in modo anche imbarazzante. L’ha notato anche il solitamente quieto sbilanciamoci.info che ricorda come il Renzi del 2011, quello del contratto di lavoro alla Ichino, aveva lasciato il passo al Renzi della flexicurity, un modello comunque molto diverso, appena una decina di mesi dopo. Troppo poco per un ripensamento reale abbastanza per capire che, in materia di lavoro e di contratti, Renzi procede scaricando le app disponibili nello store delle proposte, e delle cordate di potere, non per analisi politica. Estremo perché, essendosi proposto il Renzi come killer application della politica italiana, il cioccolataio in questione non nega soluzioni draconiane ottime per le apparizioni televisive: tracciabilità del contante praticamente fino agli spiccioli, creazione di una mega Equitalia (con altro nome s’intende...) e, udite udite, produrre lavoro precario con i soldi sottratti alle pensioni. Proposta nuova quanto la prima riforma delle pensioni (1995) e destinata, se mai vedesse la luce, a creare pensionati impoveriti, nuovi futuri disoccupati e un’altra voragine nei conti dello stato. Non manca il sottofondo di proposta di liquidazione degli asset pubblici, dall’Eni ai trasporti locali fino agli immobili, giusto per trasferire le risorse ai privati e all’estero. Ma anche nel centrosinistra ad uno così, non molti anni fa, al massimo avrebbero chiesto in quale ambulanza avrebbe preferito accomodarsi. Le renzinomics sono infatti il programma della liquidazione coatta delle risorse di un paese sotto il pretesto del rilancio, la resa ad ogni potere della finanza globale, e l’impoverimento supremo dell’Italia, sotto la retorica dell’innovazione.
Ma come siamo arrivati a questo punto? Il grosso dell’elettorato PD, per quanto in lenta contrazione, si affida a Renzi sentendo parole sulla scuola, sui servizi pubblici, sulla sanità che significano l’esatto contrario di quanto questo elettorato percepisce (Renzi parla di riqualificare i servizi tagliando la spesa pubblica. A questi livelli di crisi significa solo tagliare. Ma la disperazione fa sentire cose solo immaginate). Inoltre, soprattutto, l’elettorato del centrosinistra ha naturalizzato, dopo il terreno preparato da Veltroni, la necessità della leadership di matrice berlusconiana. Non a caso il Renzi della Leopolda di quest’anno è, scenograficamente, sempre più solo e sempre più al centro della scena. Siamo passati dal modello convention, compreso il simulacro di pensatoio, al Matteo Renzi show dove tutto è decorativo rispetto alla presenza del sindaco fiorentino. Accompagnato da un microfono da idolo delle folle anni ’50 che lo rende più vicino al modello berlusconiano, quello che procede dallo spettacolo alla politica, persino più del Lingotto veltroniano (che racchiudeva un’anima di destra accentuata). Siccome l’uomo, o meglio il cioccolataio estremo, guarda esplicitamente anche a destra non mancano accenti che, nel linguaggio della politica italiana, evocano lontane origini lessicali nel parlato della squadraccia La Disperata: “ve la toglieremo noi questa voglia di proporzionale”. D’altronde lo stratega sindaco pensa in grande: vuole un sistema bipolare quando ormai i due maggiori partiti stentano a raggiungere il 50 per cento assieme. Ci vorrà pure un atto di decisione che rimetta in piedi l’Italia, che diamine. Se poi la “riforma” elettorale del Renzi è persino peggio della legge attuale, trascinando il paese in una sorta di Cambogia della democrazia elettiva prima di Pol Pot, sarà colpa di chi “non ha voluto innovare”. Magari opponendosi allo smantellamento dei residui diritti. Prima costituzionali poi materiali.
Ci sarebbe da ridere, e per molti versi c’è da farlo, di fronte a questo vuoto nulla che parla come un cabarettista ingaggiato per intrattenere i passanti da uno store appena aperto in un grande centro commerciale. Che evoca la parola “primarie” e quella “riforma elettorale”, inutili procedure di voto che non risolveranno mai la sostanza della crisi italiana, come se fosse di fronte ad eventi benedetti dall’alto corso della storia. Solo che i tempi velano la bocca non appena questa accenna a ridere e, nella stampa europea che conta (Il Telegraph), circolano analisi dettagliate sulla spirale tagli-depressione economica-nuovi tagli che nel medio periodo sembra quasi irreversibile per la società italiana. Renzi se diventasse presidente del consiglio, se non fosse fermato in tempo, potrebbe dare il colpo di grazia a questo paese. Le renzinomics porterebbero capitali di rapina in Italia e la fuga di ricchezza all’estero. A suo modo, un capolavoro. Ma quello che rende Matteo Renzi inevitabilmente un minore della politica non è tanto il suo essere un’imitazione vernacolare di Tony Blair, clone di provincia con una visione politica che non arriva alla punta del naso. Quanto che l’8 dicembre, giorno delle primarie che dovrebbero incoronare Renzi, sarà piuttosto il trionfo finale di Silvio Berlusconi. Con una candidata (Marina) che suggella la soluzione dinastica nel futuro di Forza Italia e un segretario del Pd (Renzi) che è il prodotto più berlusconiano della storia del centrosinistra. Grande Matteo, cioccolataio estremo della politica il cui declino, si spera rapido, lo porterà ad aprire capitoli di storia del cabaret politico. Non molto per autoproclamatasi salvezza del centrosinistra e del paese.
redazione 28 ottobre 2013
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