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23/10/2013

Onu, il gran rifiuto dei sauditi

Ieri, con una mossa a sorpresa, l'Arabia Saudita ha rinunciato ad una poltrona al tavolo del Consiglio di Sicurezza Onu, tra i cinque paesi in carica per due anni. Una decisione senza precedenti che ha causato non pochi mal di pancia tra la comunità internazionale.

Ufficialmente il "gran rifiuto" saudita è stato giustificato dal governo con l'incapacità delle Nazioni Unite - Consiglio di Sicurezza in testa - a venire a capo dei conflitti globali, in particolare di quelli che destabilizzano il Medio Oriente. Alla monarchia saudita, alleata di ferro e di lungo corso degli Stati Uniti, non è andata giù la rinuncia ad un intervento esterno contro la Siria, per il quale si era spesa per due anni e mezzo, brandendo la spada delle sanzioni e lanciando la Lega Araba contro Damasco. E non è andata giù neppure l'apertura storica all'Iran del nuovo corso moderato di Rowhani. Infine, il conflitto israelo-palestinese: Washington non sta facendo abbastanza.

"I metodi, i meccanismi di azione e i doppi standard che esistono in Consiglio di Sicurezza gli impediscono di svolgere i propri doveri e di assumersi la responsabilità di preservare la pace e la sicurezza internazionali - ha detto il Ministero degli Esteri saudita in un comunicato - Permettere al regime siriano di uccidere il suo popolo e di bruciarlo con le armi chimiche di fronte al mondo intero e senza alcun deterrente o punizione è la prova chiara dell'incapacità del Consiglio di Sicurezza ad assumersi le proprie responsabilità".

La giustificazione apportata potrebbe far sorridere - e ha fatto amaramente sorridere - soprattutto le organizzazioni internazionali per i diritti umani, che ben conoscono le politiche antidemocratiche, misogine e repressive del dissenso implementate da decenni dai sauditi. Un classico "doppio standard". Allo stesso modo, il dito puntato sulla questione palestinese apre la strada a domande e dubbi sul ruolo svolto da uno dei più grandi e potenti Paesi arabi nella soluzione del conflitto o, almeno, nel sostegno ad un popolo sotto occupazione.

Il rifiuto di ieri ha inoltre sorpreso perché da mesi il governo saudita era impegnato in una consistente campagna di lobby per accaparrarsi una poltrona che non è mero prestigio internazionale, ma anche potere di esprimere le proprie posizioni su risoluzione globali. Proprio quello che vuole Riad: da tempo ormai i sauditi sono impegnati nel tentativo di assumere la leadership mediorientale e per farlo si sono auto affidati il ruolo di cani da guardia dei regimi siriano e iraniano.

Ciò rende la decisione saudita parzialmente imperscrutabile: perché rinunciare ad una poltrona che gli permetterebbe di avere maggiore influenza su decisioni riguardanti i nemici Damasco e Teheran? Secondo alcuni osservatori, a far pendere l'ago della bilancia verso il no è stata la necessità di garantire le alleanze economiche e strategiche con gli Stati Uniti. È capitato molto spesso che in Assemblea Generale l'Arabia Saudita votasse contro risoluzioni o mozioni promosse da Washington. Sedere in Consiglio di Sicurezza e doversi schierare apertamente contro l'alleato potrebbe creare problemi ai rapporti tra i due Paesi. Non sempre gli interessi strategici dei due Paesi coincidono: l'Arabia Saudita teme che un aperto dissenso con gli Stati Uniti possa mettere a rischio non solo i rapporti economici ed energetici, ma anche (e soprattutto) l'immunità di cui gode nonostante le gravi violazioni dei diritti umani compiute nel Paese.

Per quanto riguarda il Consiglio di Sicurezza, non è ancora chiaro cosa accadrà: l'Assemblea Generale potrebbe non accettare il rifiuto saudita, nel qual caso il seggio resterebbe ad una Riad assente e a riunirsi sarebbero solo 14 membri. Oppure l'Assemblea potrebbe votare per la nomina di un altro Paese della regione.

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