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18/10/2013

Kabul, gli USA verso l’uscita

di Michele Paris

I governi di Stati Uniti e Afghanistan sembrano avere fatto nei giorni scorsi un significativo passo avanti verso la stipula di un sofferto accordo militare bilaterale per mantenere un numero significativo di truppe americane sul territorio del paese centro-asiatico dopo il ritiro della maggior parte delle forze di occupazione NATO alla fine del 2014.

L’annuncio di una bozza preliminare di accordo è stato fatto nello scorso fine settimana, in seguito a due giorni di serrate discussioni tra il presidente afgano, Hamid Karzai, e il segretario di Stato americano, John Kerry. La stesura di un testo definitivo approvato da entrambe le parti appare però ancora relativamente lontana e dipenderà, in sostanza, dal grado in cui Washington e Kabul riusciranno a superare o a resistere la diffusa ostilità tra la popolazione locale per una presenza statunitense continuata in Afghanistan.

Secondo quanto riferito alla stampa dai diplomatici americani, il documento su cui Kerry e Karzai avrebbero raggiunto un’intesa di massima dovrà essere sottoposto ad un processo di revisione legale negli Stati Uniti, anche se l’amministrazione Obama vorrebbe mandare in porto l’accordo definitivo già entro la fine di ottobre.

Le maggiori preoccupazioni riguardano tuttavia l’approvazione dell’accordo da parte di un’assemblea tradizionale di leader tribali afgani (“Loya Jirga”) a cui Karzai intende rivolgersi per dare una qualche legittimità ad una misura tutt’altro che gradita alla popolazione e che perpetuerebbe per molti anni la presenza militare americana nel paese.

In particolare, uno dei punti più controversi risulta essere l’immunità legale da assicurare ai militari statunitensi dispiegati sul territorio afgano e su cui le autorità di Washington appaiono irremovibili. Lo stesso Kerry è stato infatti estremamente chiaro, affermando che, “se la questione della giurisdizione [immunità] non dovesse essere risolta, purtroppo non ci sarà alcun accordo bilaterale”.

Dal momento che un’occupazione come quella in corso da oltre un decennio in Afghanistan contro il volere della maggioranza della popolazione richiede il ricorso a metodi brutali - evidenziati dagli innumerevoli crimini commessi dai militari stranieri in questi anni - la richiesta di giudicare negli Stati Uniti coloro che violano le leggi locali è una condizione imprescindibile per qualsiasi accordo con Kabul.

Sulle trattative pesa anche il precedente dell’Iraq del 2011, quando la mancata intesa con il governo Maliki sulla stessa questione dell’immunità contribuì a far naufragare le trattative per la permanenza indefinita nel paese che fu di Saddam Hussein di un contingente militare americano dopo il ritiro previsto per la fine di quell’anno.

Un’altra disputa che sta complicando i negoziati tra Washington e Kabul è poi quella legata alle operazioni “anti-terrorismo” condotte dalle forze speciali americane e che si risolvono puntualmente in un motivo di imbarazzo per il governo afgano. Queste operazioni sono profondamente avversate dalla popolazione, visto che consistono spesso in assalti notturni ad abitazioni private con “danni collaterali” di civili tutt’altro che trascurabili.

Sulle operazioni delle forze speciali a stelle e strisce, le quali mettono in discussione anche la sovranità stessa dello stato afgano, Karzai ha spesso dovuto esprimere pubblicamente la propria condanna nei confronti degli Stati Uniti. La delicatezza della questione è apparsa evidente ancora una volta proprio nel fine settimana, quando gli americani hanno “catturato” in territorio afgano un leader dei Talebani pakistani - Latif Mehsud - mentre era sotto custodia proprio del governo di Kabul.

In definitiva, Karzai si ritrova a dover cercare a tutti i costi di finalizzare un accordo militare con gli Stati Uniti di fronte alle resistenze manifestate contro di esso dalla maggioranza degli afgani poiché dalla presenza a lungo termine delle forze di occupazione dipende la sua permanenza al potere e quella della sua cerchia familiare. Anche se non potrà ricandidarsi alle elezioni presidenziali del prossimo mese di aprile, Karzai ha comunque bisogno del sostegno e della presenza americana per garantire un passaggio di consegne indolore ad un futuro presidente di sua scelta.

La classe dirigente afgana, più in generale, vede con favore la prosecuzione dell’occupazione americana, non solo perché deve a Washington la propria posizione di privilegio ma soprattutto perché la situazione della sicurezza nel paese asiatico è tornata a deteriorarsi negli ultimi tempi. Le forze di sicurezza locali non sono infatti in grado di operare autonomamente e un eventuale abbandono dell’Afghanistan da parte del contingente NATO riporterebbe con ogni probabilità al potere i Talebani, con i quali oltretutto il complicato processo di pacificazione ha subito una nuova battuta d’arresto dopo l’ennesimo annuncio dell’apertura del dialogo qualche settimana fa.

Allo stesso tempo, Karzai è ben consapevole che la presenza di una forza occupante in Afghanistan contribuisce ad alimentare l’instabilità e le tensioni nel paese. Come ha spiegato in un’intervista al Wall Street Journal nel fine settimana Shahmahmood Miakhel, responsabile per l’Afghanistan del think tank di Washington U.S. Institute for Peace, Karzai perciò “vuole il trattato bilaterale sulla sicurezza ma non ne vuole la responsabilità”.

Anche per questa ragione, Karzai ha deciso di sottoporre la questione ad un’assemblea tribale che, però, non rappresenta tanto il volere della popolazione quanto i leader locali afgani, spesso fedeli allo stesso presidente e comunque esposti alle pressioni e alle promesse del governo centrale, soprattutto in vista delle elezioni della prossima primavera.

In ogni caso, questa sorta di prova di democrazia tribale per decidere il futuro dell’accordo bilaterale con Washington dovrebbe tenersi entro un mese e ad essa parteciperà qualche centinaia di persone, una parte delle quali hanno già approvato negli ultimi anni svariate iniziative del presidente Karzai, compresa la sua elezione alla guida del paese nel 2002.

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