di Michele Paris
Mentre la chiusura degli uffici governativi americani entra martedì
nella seconda settimana, a Washington non sembra essere in vista nessun
accordo tra democratici e repubblicani sull’approvazione del bilancio
federale che metta fine al cosiddetto “shutdown”. Anzi, l’impasse
attuale appare destinata sempre più a confluire in un’altra questione
controversa e ancora più delicata, cioè quella dell’innalzamento del
livello del debito pubblico che dovrà essere autorizzato poco dopo la
metà di ottobre per evitare il primo clamoroso default della storia
degli Stati Uniti.
A respingere ogni ipotesi di sbloccare la
situazione con un pacchetto di emergenza per finanziare il governo
almeno per alcune settimane è stato nel fine settimana lo speaker della
Camera dei Rappresentanti, John Boehner. Apparso domenica sulla ABC,
il leader repubblicano ha ribadito la posizione dell’ala più
conservatrice del suo partito, la quale è disponibile a dare il via
libera al bilancio 2013/2014 solo in cambio di consistenti concessioni
da parte democratica che limitino l’entrata in vigore della “riforma”
sanitaria di Obama.
La battaglia condotta dai deputati
repubblicani vicini ai Tea Party non è in realtà condivisa da tutto il
partito, all’interno del quale sono in molti a temere le ripercussioni
politiche causate dalle responsabilità per la paralisi del governo
iniziata ufficialmente alla mezzanotte di martedì scorso.
Non
pochi tra gli stessi repubblicani, infatti, vorrebbero che Boehner
mettesse in calendario un voto alla Camera per approvare il bilancio
licenziato dal Senato senza emendamenti relativi alla “riforma”
sanitaria, poiché certi che esista una maggioranza trasversale. Il
deputato di New York, Peter King, lo ha ad esempio confermato domenica
alla stampa USA, rivelando che i repubblicani disposti a rompere con i
compagni di partito più intransigenti sarebbero tra i 50 e i 75, se non
addirittura 150 in caso di voto segreto. Numeri simili, sommati ai
deputati democratici, consentirebbero il passaggio senza difficoltà del
nuovo bilancio secondo la versione già approvata dal Senato.
Boehner,
tuttavia, continua ad affermare il contrario e, in ogni caso, ha
ribadito di non volere portare in aula un provvedimento di questo
genere, rimanendo per ora sulla linea dei suoi colleghi conservatori,
verosimilmente per non danneggiare ulteriormente la sua leadership con
nuovi attacchi dalla destra del partito.
Mostrando
un ulteriore irrigidimento della propria posizione, Boehner ha inoltre
confermato che la Camera non approverà nemmeno l’innalzamento del tetto
del debito federale senza concessioni da parte della Casa Bianca e dei
democratici al Congresso. Con un cambiamento di strategia estremamente
significativo, lo speaker ha però lasciato intendere che l’obiettivo
repubblicano in questo caso non sarà tanto la “riforma” sanitaria, bensì
programmi pubblici come Medicare e Social Security.
Dal momento
che l’amministrazione Obama ha mostrato una totale chiusura sulla legge
del 2010 destinata a tagliare i costi, la quantità e la qualità dei
servizi sanitari negli Stati Uniti, i due partiti potrebbero così
accordarsi sulla riduzione della spesa pubblica, attorno alla quale i
democratici continuano a mostrare più di un’apertura.
La
necessità di intervenire per rendere “sostenibili” sia i programmi di
assistenza sanitaria destinati agli americani più anziani che l’insieme
di benefit di cui godono i pensionati, è stata perciò ripetuta da
Boehner nella giornata di domenica, quando contemporaneamente il
segretario al Tesoro, Jacob Lew, ha confermato la disponibilità del
presidente democratico a trattare con i repubblicani su questi temi.
Nel
linguaggio della politica di Washington, com’è ovvio, la garanzia della
“sostenibilità” di questi popolari programmi pubblici nel lungo periodo
si traduce in tagli sostanziali che ne alterino la natura stessa o nel
restringerne drasticamente l’accesso. Il tutto, come ha tenuto a
spiegare lo stesso Boehner, senza concedere in cambio alcun aumento del
carico fiscale per i redditi più elevati.
Ciò che i democratici
proporranno nelle trattative sul tetto del debito - il cui sforamento è
previsto per il 17 ottobre - sarà invece una sorta di riforma fiscale,
che dovrebbe concretizzarsi in una riduzione delle aliquote per i
redditi più elevati da compensare con la cancellazione di trascurabili
scappatoie legali che consentono alle corporation e ai più ricchi di
abbattere le tasse da pagare.
In
definitiva, lo stallo sul bilancio federale e sul livello di
indebitamento degli Stati Uniti viene nuovamente sfruttato ad arte dai
due partiti di Washington per creare il consueto clima di crisi come è
già stato fatto più volte negli ultimi tre anni, così da trasformare una
situazione apparentemente di scontro in un esito condiviso che spiani
la strada a nuovi attacchi a programmi pubblici essenziali da cui
dipende la sopravvivenza di decine di milioni di persone.
Non a
caso, infatti, nei corridoi di Washington comincia a circolare una nuova
ipotesi relativa al cosiddetto “grande accordo” bipartisan,
continuamente evocato nel recente passato e mai andato in porto. In uno
scenario sufficientemente drammatico, questa opzione potrebbe essere
presa finalmente in considerazione da entrambi gli schieramenti, in modo
da combinare in un unico pacchetto il nuovo bilancio federale,
l’innalzamento del tetto del debito, la “riforma” del fisco e,
soprattutto, i tagli alla spesa pubblica che ridimensionerebbero i
programmi destinati alle fasce più deboli della popolazione.
A
riproporre il “grand bargain”, secondo quanto riportato dalla testata
on-line Politico.com, sarebbe stato lo stesso John Boehner nel corso di
un incontro con Obama alla Casa Bianca. Se l’idea è stata accolta
con ironia dai presenti visto il fallimento nel raggiungere un accordo
di questo genere in passato, essa starebbe raccogliendo sempre maggiore
seguito sia tra i repubblicani che i democratici, entrambi intenzionati
ad uscire quanto prima dallo stallo in corso e a far segnare passi
avanti verso lo smantellamento di programmi pubblici che, dal loro punto
di vista, non rappresentano altro che uno spreco di risorse da
indirizzare piuttosto ai grandi interessi a cui fanno unicamente
riferimento.
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