Se scrive sul manifesto che l’accusa di attentato e tradimento
mossa a Napolitano è giuridicamente «inconsistente», Azzariti sa di che
parla e ha di certo ragione. Io, però, che sono di parte, l’avvocato di
questo Presidente non lo farei e dirò di più: temo che la «consistenza»
non assicurerebbe esiti positivi all’accusa e penso che argomentazioni
giuridiche forti soffrano talora di una forte debolezza politica. Senza
contare le questioni etiche.
Su un punto, mi pare, conveniamo: la
china pericolosa, il processo degenerativo della politica, la
manomissione di principi e forma di governo, l’esproprio della funzione
legislativa. Per farla breve, sulla Costituzione forzata. Anche ora è
forzata, nel silenzio del Colle, solitamente più che ciarliero, da una
legge elettorale che nasce da intese tra il sindaco di Firenze e un
pregiudicato, su basi che fanno a pugni con la sentenza appena emessa
dalla Consulta.
Azzariti non nega il disastro; fa, però, di molte
erbe un fascio – Quirinale, Parlamento, governo, partiti – e diventa
fuorviante. Se è vero, infatti, che il sostanziale tradimento dello
Statuto è ormai un reato che ha assunto addirittura carattere
associativo, vero è anche che garante della Costituzione è anzitutto il
Quirinale. Napolitano, quindi, non si scagiona né in tutto, né in parte,
chiamando in causa le colpe di altri: è lì per impedirle. Il fatto è,
purtroppo, che il Presidente non solo non ha contrastato il degrado, ma
n’è stato spesso promotore. La guerra travestita da pace, i fondi
sottratti al sistema formativo statale, per finanziare quello privato,
non riguardano la Costituzione? Le leggi sull’immigrazione, col tragico
codicillo di campi di internamento e innumerevoli morti affogati nel
Mediterraneo, sono in linea con lo spirito della Costituzione? A quale
«legge uguale per tutti», pensavano, il Presidente e i suoi consulenti,
quando riabilitarono Craxi, dopo una condanna passata in giudicato, e
trovarono legale il lodo Alfano, risultato poi incostituzionale? Quale
Costituzione ha garantito Napolitano, quando ha conteso al Parlamento il
diritto di decidere sulle spese militari e sui cacciabombardieri, che
sono cibo tolto di bocca ai lavoratori ridotti alla fame e ai giovani
senza lavoro? Cosa c’è di costituzionale nei reiterati inviti rivolti al
Parlamento, perché approvi in tempi brevissimi leggi che richiedono
ponderate riflessioni? Quando e come Napolitano legge i decreti che
firma, se il governo li sforna all’ultimo momento e a stento i
vituperati Cinque Stelle ne scoprono talora le magagne? Non s’è accorto
il Quirinale che il pareggio di bilancio infilato nella Costituzione ha
ridotto la politica a miserabile ragioneria?
Il Parlamento, scrive
Azzariti, è «muto e umiliato». E’ vero purtroppo, ma si fa davvero
fatica a parlare di «deputati», dopo tre elezioni politiche svolte con
una legge palesemente incostituzionale. I «nominati», sono muti per loro
natura e, più che subire umiliazioni, umiliano l’Istituzione di cui
fanno parte senza mandato popolare. Qual è il Parlamento muto? Quello
che a stento conserva una legittimità «tecnico-giuridica», ma non ha più
quella etica e politica? La legge Calderoli, si potrebbe obiettare, fu
Ciampi a firmarla. Ed è vero. Vero è anche, però, che sono trascorsi
anni da quando Napolitano non sciolse le Camere e lasciò sopravvivere il
governo Prodi; aveva preso atto: con la legge Calderoli non si poteva
votare. Quando, però, Prodi non cambiò la legge elettorale, il
Presidente non si dimise.
All’origine del tradimento ci sono i
partiti? Ma i partiti non hanno l’obbligo di fare i garanti dello
Statuto. Questo è compito del Presidente della Repubblica. Glielo hanno
reso impossibile? Avrebbe dovuto, allora, denunciare al «popolo sovrano»
la situazione di crescente illegalità e dimettersi. Il popolo, invece,
Napolitano l’ha sempre ignorato. Non avrebbe mai dovuto accettare la
rielezione, perché gliela offrivano Camere elette di nuovo con un legge
che riteneva incostituzionale e partiti pronti a fare un governo che
avrebbe inevitabilmente tradito gli elettori. Il voto era stato chiaro:
non vogliamo destra e sinistra unite. Non avrebbe dovuto, perché è vero
che la Costituzione non mette limiti ai mandati presidenziali, ma è
verissimo che, ragionando così, se si può fare per due volte il
Presidente, si può farlo anche tre volte e – perché no? – anche quattro e
cinque volte.
Tutto ha un limite e noi l’abbiamo superato da tempo.
L’accusa dei Cinque Stelle sarà giuridicamente infondata, ma è fondata
politicamente e moralmente. Ricorda a tutti, partiti, Istituzioni,
giornalisti distratti e cittadini, che il Presidente della Repubblica ha
un compito soprattutto: garantire il rispetto della Costituzione.
Napolitano non solo non l’ha fatto, quali che ne siano state le
ragioni, ma ogni giorno, con insistenza che è di per sé autodenuncia,
chiede a un’accozzaglia di «nominati», giunti in Parlamento grazie a una
legge incostituzionale, di cambiare la Costituzione.
Ecco, questa richiesta, da sola, è un tradimento. Un oltraggioso tradimento.
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