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20/02/2014

USA, operai senza sindacato

di Michele Paris

I lavoratori americani della fabbrica Volkswagen di Chattanooga, nel Tennessee, qualche giorno fa hanno inflitto un colpo pesantissimo al sindacato automobilistico UAW (United Automobile Workers) e alle sue ambizioni di allargare la propria presenza nel sud degli Stati Uniti per fronteggiare la continua emorragia di iscritti tra le proprie fila. Relativamente a sorpresa, nell’impianto della compagnia tedesca una netta maggioranza dei dipendenti ha infatti votato contro l’ingresso della UAW nella loro fabbrica.

Dopo tre giorni di consultazioni, quasi il 90 per cento dei dipendenti ha espresso il proprio parere sulla questione e, con una maggioranza di 712 a 626, il sindacato automobilistico americano è stato alla fine pesantemente sconfitto. L’esito del voto è apparso a molti sorprendente, dal momento che la UAW aveva investito ingenti risorse per accedere alla struttura di Chattanooga e, soprattutto, perché la dirigenza della Volkswagen aveva mantenuto un approccio neutrale se non, addirittura, espresso una tacita approvazione al processo di sindacalizzazione.

I vertici Volkswagen, in particolare, erano e sono tuttora impegnati a promuovere la creazione anche negli Stati Uniti di “consigli di fabbrica” sul modello tedesco. Per fare ciò, tuttavia, secondo la legge USA è necessario che i lavoratori di una determinata fabbrica siano rappresentati da un sindacato.

Secondo i commenti apparsi in questi giorni sui media ufficiali d’oltreoceano, il modello dei “consigli”, che la Volkswagen impiega praticamente in tutti i suoi più di 100 impianti nel mondo, avrebbe permesso di aumentare la produttività della compagnia attraverso la collaborazione con i lavoratori.

In realtà, questi organi, dove siedono assieme alla dirigenza aziendale i rappresentanti di operai e impiegati, servono fondamentalmente a reprimere qualsiasi forma di opposizione alle decisioni dei vertici delle compagnie dietro la facciata della cosiddetta “co-gestione” e in cambio di modeste concessioni.

Avendo già svolto questo ruolo nei confronti dei propri iscritti a Detroit, la UAW aveva convinto la Volkswagen ad appoggiare i propri sforzi per accedere alla fabbrica del Tennessee, così da mettere le mani su nuovi contributi da prelevare dagli stipendi dei lavoratori e aprire una breccia negli stati meridionali degli Stati Uniti, dove tradizionalmente prevale uno spirito anti-sindacale.

Per fare ciò, il presidente del sindacato automobilistico, Bob King, aveva anche cercato di aggirare la legge, sostenendo che la presenza della sua organizzazione non doveva essere certificata da un voto, visto che alcuni mesi fa la maggioranza dei dipendenti della fabbrica aveva espresso per iscritto il proprio favore alla presenza della UAW.

Dopo il voto, così, il numero uno della Volkswagen di Chattanooga, Frank Fischer, si è detto addolorato per i risultati, mentre lo stesso King ha annunciato di volere considerare un’azione legale contro coloro che avrebbero “avvelenato il clima e impedito un voto regolare”.

Il presidente della UAW ha fatto riferimento soprattutto ad alcuni politici repubblicani che nelle settimane precedenti la consultazione si erano impegnati in un’accesa campagna anti-sindacale. Il governatore dello stato, Bill Haslam, aveva ad esempio sostenuto che i possibili fornitori della fabbrica non avrebbero aperto impianti nell’area di Chattanooga se i lavoratori Volkswagen avessero votato per il sindacato.

Il senatore del Tennessee nonché ex sindaco di Chattanooga, Bob Corker, aveva invece rivelato come i vertici Volkswagen gli avessero confessato che, sempre in caso di voto a favore della UAW, l’apertura prevista di una nuova linea di produzione sarebbe stata dirottata verso un altro stabilimento, quasi certamente in Messico. Da parte sua, la Volkswagen aveva smentito il senatore repubblicano, affermando che “non esiste alcun legame tra la decisione dei nostri dipendenti di Chattanooga… e la costruzione di un nuovo prodotto per il mercato americano”.

Il senatore statale, Bo Watson, aveva poi promesso che l’assemblea legislativa del Tennessee non avrebbe approvato ulteriori benefici fiscali per la Volkswagen se i lavoratori avessero accettato il sindacato in fabbrica, mettendo in dubbio i piani di investimento dell’azienda a Chattanooga.

Se la propaganda degli ambienti più reazionari del sud degli Stati Uniti per convincere i dipendenti della Volkswagen può avere avuto un qualche peso, è in primo luogo la storia recente della UAW ad averli convinti a lasciare questo sindacato fuori dai cancelli della loro fabbrica.

A riassumere lo stato d’animo dei lavoratori nel recarsi al voto è stato proprio uno di questi ultimi sentito dal New York Times, al quale ha affermato che la maggior parte dei suoi colleghi è convinta che la UAW abbia profondamente danneggiato i lavoratori del settore auto di Detroit. In altre parole, gli operai di Chattanooga sono perfettamente a conoscenza di come la UAW abbia favorito la chiusura di fabbriche e la scomparsa di migliaia di posti di lavoro nella metropoli del Michigan, così come la drastica riduzione dei livelli retributivi e la distruzione delle conquiste dei lavoratori.

La “ristrutturazione” di General Motors e Chrysler attraverso la bancarotta forzata voluta dall’amministrazione Obama nel 2009 è stata possibile solo grazie alla collaborazione del sindacato che si è tradotta, tra l’altro, nel dimezzamento degli stipendi per i neo-assunti e nella virtuale soppressione della giornata lavorativa di 8 ore.

Molti operai sentiti dai giornali durante le operazioni di voto a Chattanooga avevano fatto notare come la Volkswagen paghi attualmente in media 19,5 dollari l’ora, vale a dire circa 5 dollari in più rispetto ai dipendenti assunti negli ultimi anni nelle fabbriche di Detroit rappresentate dalla UAW. Il timore diffuso, perciò, è che l’ingresso in azienda di quest’ultima avrebbe potuto innescare nel prossimo futuro un processo di adeguamento verso il basso delle retribuzioni.

Nelle dichiarazioni precedenti il voto della settimana scorsa e nei documenti ufficiali, d’altra parte, i vertici della UAW avevano prospettato proprio un’evoluzione simile se richiesta dall’azienda, in linea con il ruolo svolto a Detroit. Negli accordi con la Volkswagen per la presenza sindacale a Chattanooga, tra l’altro, sarebbe stato previsto che la UAW si sarebbe impegnata a “mantenere e, dove possibile, a migliorare la competitività e il vantaggio relativo ai costi di produzione sui concorrenti negli Stati Uniti e in Nordamerica”.

In un’apparizione pubblica, Bob King aveva poi offerto i servizi della sua organizzazione al management Volkswagen in vista della creazione dei “consigli di fabbrica”. Il numero uno della UAW aveva cioè rassicurato circa la disponibilità a “lavorare assieme alla compagnia per ottenere il più alto livello qualitativo e la più alta produttività” attraverso “la cooperazione tra la forza lavoro e la dirigenza”.

Dopo il voto di venerdì, la Volkswagen ha fatto sapere di volere comunque continuare nel tentativo di creare un “consiglio di fabbrica” nell’impianto di Chattanooga, nonostante i paletti imposti dalla legislazione statunitense in assenza di un parere positivo dei lavoratori alla presenza di un’organizzazione sindacale.

Gli sforzi del colosso automobilistico tedesco per trapiantare negli USA un modello ormai regolarmente diffuso in patria sono legati anche agli affanni registrati recentemente sul mercato americano. Secondo i dati ufficiali, le vendite sono calate del 7 per cento nel 2013 a seguito delle difficoltà incontrate da una politica aziendale finora basata quasi unicamente sulle auto di medie dimensioni. Volkswagen, perciò, starebbe ora progettando di investire 7 miliardi di dollari per lanciare la già ricordata nuova linea di produzione, questa volta orientata verso il mercato nordamericano dei SUV.

Gli ostacoli incontrati finora e il nuovo piano di investimenti richiederanno verosimilmente una “razionalizzazione” negli impianti esistenti con conseguenze che si rifletteranno sulle condizioni di lavoro. Da qui la necessità di poter contare sulla collaborazione dei sindacati o, visto il loro crescente discredito, sui tanto celebrati “consigli di fabbrica” per far digerire ai lavoratori le imposizioni provenienti dall’alto.

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