di Michele Paris
I lavoratori
americani della fabbrica Volkswagen di Chattanooga, nel Tennessee,
qualche giorno fa hanno inflitto un colpo pesantissimo al sindacato
automobilistico UAW (United Automobile Workers) e alle sue ambizioni di
allargare la propria presenza nel sud degli Stati Uniti per fronteggiare
la continua emorragia di iscritti tra le proprie fila. Relativamente a
sorpresa, nell’impianto della compagnia tedesca una netta maggioranza
dei dipendenti ha infatti votato contro l’ingresso della UAW nella loro
fabbrica.
Dopo tre giorni di consultazioni, quasi il 90 per cento
dei dipendenti ha espresso il proprio parere sulla questione e, con una
maggioranza di 712 a 626, il sindacato automobilistico americano è
stato alla fine pesantemente sconfitto. L’esito del voto è apparso a
molti sorprendente, dal momento che la UAW aveva investito ingenti
risorse per accedere alla struttura di Chattanooga e, soprattutto,
perché la dirigenza della Volkswagen aveva mantenuto un approccio
neutrale se non, addirittura, espresso una tacita approvazione al
processo di sindacalizzazione.
I vertici Volkswagen, in
particolare, erano e sono tuttora impegnati a promuovere la creazione
anche negli Stati Uniti di “consigli di fabbrica” sul modello tedesco.
Per fare ciò, tuttavia, secondo la legge USA è necessario che i
lavoratori di una determinata fabbrica siano rappresentati da un
sindacato.
Secondo i commenti apparsi in questi giorni sui media
ufficiali d’oltreoceano, il modello dei “consigli”, che la Volkswagen
impiega praticamente in tutti i suoi più di 100 impianti nel mondo,
avrebbe permesso di aumentare la produttività della compagnia attraverso
la collaborazione con i lavoratori.
In realtà, questi organi,
dove siedono assieme alla dirigenza aziendale i rappresentanti di operai
e impiegati, servono fondamentalmente a reprimere qualsiasi forma di
opposizione alle decisioni dei vertici delle compagnie dietro la
facciata della cosiddetta “co-gestione” e in cambio di modeste
concessioni.
Avendo già svolto questo ruolo nei confronti dei
propri iscritti a Detroit, la UAW aveva convinto la Volkswagen ad
appoggiare i propri sforzi per accedere alla fabbrica del Tennessee,
così da mettere le mani su nuovi contributi da prelevare dagli stipendi
dei lavoratori e aprire una breccia negli stati meridionali degli Stati
Uniti, dove tradizionalmente prevale uno spirito anti-sindacale.
Per
fare ciò, il presidente del sindacato automobilistico, Bob King, aveva
anche cercato di aggirare la legge, sostenendo che la presenza della sua
organizzazione non doveva essere certificata da un voto, visto che
alcuni mesi fa la maggioranza dei dipendenti della fabbrica aveva
espresso per iscritto il proprio favore alla presenza della UAW.
Dopo
il voto, così, il numero uno della Volkswagen di Chattanooga, Frank
Fischer, si è detto addolorato per i risultati, mentre lo stesso King ha
annunciato di volere considerare un’azione legale contro coloro che
avrebbero “avvelenato il clima e impedito un voto regolare”.
Il
presidente della UAW ha fatto riferimento soprattutto ad alcuni
politici repubblicani che nelle settimane precedenti la consultazione si
erano impegnati in un’accesa campagna anti-sindacale. Il governatore
dello stato, Bill Haslam, aveva ad esempio sostenuto che i possibili
fornitori della fabbrica non avrebbero aperto impianti nell’area di
Chattanooga se i lavoratori Volkswagen avessero votato per il sindacato.
Il
senatore del Tennessee nonché ex sindaco di Chattanooga, Bob Corker,
aveva invece rivelato come i vertici Volkswagen gli avessero confessato
che, sempre in caso di voto a favore della UAW, l’apertura prevista di
una nuova linea di produzione sarebbe stata dirottata verso un altro
stabilimento, quasi certamente in Messico. Da parte sua, la Volkswagen
aveva smentito il senatore repubblicano, affermando che “non esiste
alcun legame tra la decisione dei nostri dipendenti di Chattanooga… e la
costruzione di un nuovo prodotto per il mercato americano”.
Il
senatore statale, Bo Watson, aveva poi promesso che l’assemblea
legislativa del Tennessee non avrebbe approvato ulteriori benefici
fiscali per la Volkswagen se i lavoratori avessero accettato il
sindacato in fabbrica, mettendo in dubbio i piani di investimento
dell’azienda a Chattanooga.
Se la propaganda degli ambienti più
reazionari del sud degli Stati Uniti per convincere i dipendenti della
Volkswagen può avere avuto un qualche peso, è in primo luogo la storia
recente della UAW ad averli convinti a lasciare questo sindacato fuori
dai cancelli della loro fabbrica.
A riassumere lo stato d’animo
dei lavoratori nel recarsi al voto è stato proprio uno di questi ultimi
sentito dal New York Times, al quale ha affermato che la maggior parte
dei suoi colleghi è convinta che la UAW abbia profondamente danneggiato i
lavoratori del settore auto di Detroit. In altre parole, gli operai di
Chattanooga sono perfettamente a conoscenza di come la UAW abbia
favorito la chiusura di fabbriche e la scomparsa di migliaia di posti di
lavoro nella metropoli del Michigan, così come la drastica riduzione
dei livelli retributivi e la distruzione delle conquiste dei lavoratori.
La
“ristrutturazione” di General Motors e Chrysler attraverso la
bancarotta forzata voluta dall’amministrazione Obama nel 2009 è stata
possibile solo grazie alla collaborazione del sindacato che si è
tradotta, tra l’altro, nel dimezzamento degli stipendi per i neo-assunti
e nella virtuale soppressione della giornata lavorativa di 8 ore.
Molti
operai sentiti dai giornali durante le operazioni di voto a Chattanooga
avevano fatto notare come la Volkswagen paghi attualmente in media 19,5
dollari l’ora, vale a dire circa 5 dollari in più rispetto ai
dipendenti assunti negli ultimi anni nelle fabbriche di Detroit
rappresentate dalla UAW. Il timore diffuso, perciò, è che l’ingresso in
azienda di quest’ultima avrebbe potuto innescare nel prossimo futuro un
processo di adeguamento verso il basso delle retribuzioni.
Nelle
dichiarazioni precedenti il voto della settimana scorsa e nei documenti
ufficiali, d’altra parte, i vertici della UAW avevano prospettato
proprio un’evoluzione simile se richiesta dall’azienda, in linea con il
ruolo svolto a Detroit. Negli accordi con la Volkswagen per la presenza
sindacale a Chattanooga, tra l’altro, sarebbe stato previsto che la UAW
si sarebbe impegnata a “mantenere e, dove possibile, a migliorare la
competitività e il vantaggio relativo ai costi di produzione sui
concorrenti negli Stati Uniti e in Nordamerica”.
In
un’apparizione pubblica, Bob King aveva poi offerto i servizi della sua
organizzazione al management Volkswagen in vista della creazione dei
“consigli di fabbrica”. Il numero uno della UAW aveva cioè rassicurato
circa la disponibilità a “lavorare assieme alla compagnia per ottenere
il più alto livello qualitativo e la più alta produttività” attraverso
“la cooperazione tra la forza lavoro e la dirigenza”.
Dopo il
voto di venerdì, la Volkswagen ha fatto sapere di volere comunque
continuare nel tentativo di creare un “consiglio di fabbrica”
nell’impianto di Chattanooga, nonostante i paletti imposti dalla
legislazione statunitense in assenza di un parere positivo dei
lavoratori alla presenza di un’organizzazione sindacale.
Gli
sforzi del colosso automobilistico tedesco per trapiantare negli USA un
modello ormai regolarmente diffuso in patria sono legati anche agli
affanni registrati recentemente sul mercato americano. Secondo i dati
ufficiali, le vendite sono calate del 7 per cento nel 2013 a seguito
delle difficoltà incontrate da una politica aziendale finora basata
quasi unicamente sulle auto di medie dimensioni. Volkswagen, perciò,
starebbe ora progettando di investire 7 miliardi di dollari per lanciare
la già ricordata nuova linea di produzione, questa volta orientata
verso il mercato nordamericano dei SUV.
Gli ostacoli incontrati
finora e il nuovo piano di investimenti richiederanno verosimilmente una
“razionalizzazione” negli impianti esistenti con conseguenze che si
rifletteranno sulle condizioni di lavoro. Da qui la necessità di poter
contare sulla collaborazione dei sindacati o, visto il loro crescente
discredito, sui tanto celebrati “consigli di fabbrica” per far digerire
ai lavoratori le imposizioni provenienti dall’alto.
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