Cambio al comando dell’Esercito siriano libero (Esl): il consiglio
militare ha giudicato “inefficace” la strategia di Salim Idriss,
nominato a dicembre del 2012, e domenica scorsa lo ha sostituito con il
generale di brigata Abdelilah al-Bashir che ha disertato le Forze armate
governative due anni fa.
Una decisione, ha spiegato il colonello Qassem Saadeddine, presa per uscire
dalla “paralisi” che da mesi segna i vertici di comando dei ribelli,
stretti tra l’offensiva delle truppe fedeli al presidente siriano Bashar
al Assad e i gruppi jihadisti che compongono la variegata galassia
dell’opposizione e non riconoscono la leadership del Consiglio
nazionale siriano (Cns), cappello sotto cui si radunano gli oppositori
sostenuti dall’Occidente. Ma dietro il congedo forzato di Idriss ci
sarebbero ragioni politiche, secondo Aron Lund, direttore del sito Carnegie Endowment’s Syria in Crisis,
legate al fatto che non era gradito all’Arabia Saudita, fornitrice di
armi all’opposizione sunnita al regime di Assad, che invece è alleato ed
è sostenuto dallo sciita Iran, nemico giurato di Riad.
I sauditi lo scorso luglio hanno messo un loro uomo, Ahmad Assi Jarba,
a capo della Coalizione nazionale siriana, che riunisce le forze di
opposizione al presidente siriano tra cui diversi membri del Cns, in
precedenza dominata dal Qatar, e ha dato vita a fine novembre al Fronte
islamico che raggruppa alcune fazioni armate che combattono in Siria. Ne
sono rimasti fuori i qaedisti del Fronte al Nusra e Lo Stato islamico
dell’Iraq e della Siria.
La crescente debolezza dell’Esl (considerato il gruppo moderato), che
all’inizio della rivolta, a marzo del 2011, era la formazione armata
più forte e guidava la battaglia contro Assad, lascia spazio alle
fazioni di stampo jihadista o legate ad al Qaeda. Sul campo di
battaglia, l’Esl ha subito una battuta d’arresto e ha dovuto
spesso scontrarsi con gruppi islamisti radicali, mentre i combattimenti
in Siria infuriano e gli uomini di Assad preparano un’offensiva contro
Yabrud, l’ultima roccaforte ribelle nella regione strategica di Qalamun,
vicino al confine con il Libano e sulla strada che collega Damasco a
Homs, città martoriata da un lungo assedio. Negli ultimi giorni sono
stati intensificati i bombardamenti governativi con le micidiali bombe
barile nell’area, dove combattono anche i miliziani del movimento sciita
libanese Hezbollah, alleato di Damasco.
La guerra finora ha fatto oltre 140mila morti e milioni di sfollati e non se ne vede la fine. Il
secondo round della conferenza di Ginevra 2 si è appena chiuso senza un
accordo e, secondo gli analisti, la battaglia in Siria si farà più
dura: sia il governo di Damasco sia i ribelli intensificheranno
i combattimenti. L’esercito governativo ieri ha ripreso il controllo di
un villaggio alawita (Assad è un alawita) nella provincia di Hama, dove
Damasco ha denunciato il massacro degli abitanti all’inizio di
febbraio. Notizie di bombardamenti e stragi si susseguono. Ieri
ribelli ed esercito sono arrivati a un accordo per una tregua nella
cittadina di Babbila, alla periferia della capitale, per consentire
soccorsi e rifornimenti alla popolazione stremata. È soltanto
una delle tregue concordate dai belligeranti che da oltre un anno
combattono intorno a Damasco: la battaglia è in una fase di stallo, con
nessuna delle parti che riesce ad avere la meglio. Altre sospensione dei
combattimenti sono state concordate per altre cittadine: Qudsaya,
Moadamiyet al-Sham, Barzeh, Beit Sahem, Yalda e il campo profughi
palestinese di Yarmouk dove diversi abitati sono morti di inedia negli
ultimi mesi.
Intanto, prosegue lo scambio di accuse per il fallimento dei negoziati sulla Siria tra la Casa Bianca e il Cremlino. Il segretario Usa John Kerry ha accusato Mosca di avere impedito l’accordo continuando a rifornire di armi Assad
che, forte dei successi bellici non è certo interessato a lasciare il
potere come chiesto dall’opposizione sostenuta da Washington. Ma per
Sergei Lavrov, ministro degli Esteri russo, gli Stati Uniti non sono
stati in grado di portare a Ginevra una delegazione dell’opposizione
siriana realmente rappresentativa dei ribelli.
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