E' evidente che ci troviamo di fronte a qualcosa di più di un aspro conflitto interno che vede allungarsi la conta dei morti e dei feriti, anche se la conta dei morti e dei feriti è un fattore che aiuta a capire che quanto accade non possa affatto essere liquidato come la “repressione di un governo autoritario” contro manifestanti pacifici.
Per molti aspetti l'Ucraina richiama alla mente lo “scenario libico” che trasse in inganno molti. A Kiev come a Tripoli tre anni fa, più che ad una rivolta popolare stiamo assistendo ai prodromi di una guerra civile ampiamente sostenuta da esplicite ingerenze esterne.
In questo conflitto, come ovvio, agiscono come innesco le contraddizioni interne ma pesano molto di più le ingerenze esterne e le ambizioni geopolitiche che accompagnano la crescente competizione globale tra poli imperialisti.
In qualche modo anche Immanuel Wallerstein, oggi su Il manifesto, squarcia questo velo con una analisi interessante ma a nostro avviso parzialmente fuori bersaglio.
Wallerstein, come noi, riconosce come non sia affatto scontato che un governo in mano agli “oppositori” ucraini sarebbe meno autoritario dell'attuale. La natura delle forze che animano l'opposizione è piuttosto inquietante. Un peso rilevante lo hanno i gruppi fascisti e ultranazionalisti con nostalgie niente affatto nascoste per i collaborazionisti ucraini del nazismo e poi ci sono settori che si dichiarano “integrazionisti” con l'Unione Europea, quindi ascrivibili a componenti “liberali e filo-occidentali”, come in Libia se ricordiamo bene. Ma nella vicenda Ucraina le responsabilità europee, anche ad occhio, paiono superiori a quelle statunitensi alle quali allude Wallerstein.
Ma l'Ucraina, a differenza della Libia, non può diventare una “terra di nessuno”, una no man's land da lasciare in mano a milizie armate che si spartiscono, controllano e trafficano le risorse naturali del paese direttamente con gli interlocutori stranieri.
L'Ucraina è piazzata esattamente in quella “terra di mezzo” che è passione, esaltazione e dannazione di tutti i geopolitici. E' al centro dell'espansione a Est delle potenze europee (Germania in testa), delle ambizioni della sfera di influenza storica della Russia e della “interferenza” statunitense sugli affari europei che Brzezinski pone come centrale nella sua opera omnia, “La Grande Scacchiera” del 1997. Un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro dunque.
In tale contesto di spinte contrapposte, appare difficile una composizione interna del conflitto politico tra governo e opposizione. Piuttosto si delinea una guerra civile che sempre più richiama alla memoria la disintegrazione pilotata – e sanguinosa - della Jugoslavia. In pratica un bagno di sangue e una secessione nei fatti tra le regioni occidentali e quelle russofone.
A questo punto però nessuno può sottrarsi ad un bilancio storico degli avvenimenti degli ultimi venti anni e alle loro conseguenze.
Le secessioni in Jugoslavia non avrebbero assunto il carattere di guerra civile senza il riconoscimento unilaterale della Germania – e del Vaticano – nel 1991 (quando riconobbe, da sola, l'indipendenza della Slovenia e della Croazia). L'aver finanziato, sostenuto politicamente e diplomaticamente le secessioni, mise in moto un meccanismo a catena che si è fermato solo dopo anni di massacri e con i bombardamenti della Nato su una capitale europea (Belgrado).
Uno dei risultati di quella escalation fu l'integrazione “obbligata” dei paesi dell'Europa dell'Est sia nella Nato che nell'Unione Europea (in tempi e modi diversi). Una operazione che non poteva non avere ripercussioni sulla Russia postsovietica che, dopo anni di servilismo (gli anni di Eltsin), era tornata a ritessere le fila di una sua area di influenza che in qualche modo era anche un fattore di sopravvivenza di fronte alla rapacità dell'imperialismo statunitense ed europeo.
Ma quella dinamica rese anche evidente l'escalation della competizione globale tra “partner”. Quando si apre una prateria, tutto corrono a spartirsene le spoglie sulla base di una divaricazione implacabile: quella tra gli Stati “disgreganti” e gli Stati “disgregati”.
Scrivevamo nel 1999:
“In quella parte dell'Europa che comincia a Est della "frontiera di Gorizia", nel 1989 vi erano 10 Stati (di cui la metà era appartenente al Patto di Varsavia e al Comecon). Dieci anni dopo questi Stati sono diventati 28 ma solo 11 di essi hanno una popolazione superiore ai dieci milioni di abitanti. Si tratta dunque in gran parte di piccoli Stati che hanno dato vita a secessioni dai vecchi stati-nazioni (soprattutto socialisti), in alcuni casi la secessione è stata "consensuale" in altri pesantemente conflittuale. In questo secondo caso l'ingerenza esterna (soprattutto della Germania nella fase iniziale) è stata determinante e non solo nel caso della Federazione Jugoslava. Nella dissoluzione della ex URSS il peso e le responsabilità degli Stati Uniti sono state notevoli e niente affatto casuali.Quella che quindici anni fa appariva come una tendenza, oggi è una realtà confermata dai fatti. Hic Rhodus Hic Salta dunque. L'Ucraina è solo l'ultima macelleria per “giocare in periferia” e definire dentro questa fase storica i nuovi rapporti di forza mondiali tra vecchi e nuovi poli imperialisti.
La disgregazione di tutti gli Stati non appartenenti ai tre "poli forti" dell'imperialismo moderno (USA,UE e Giappone) è un processo che sta marciando con forza dietro la tesi quasi religiosa della inevitabilità della globalizzazione che renderebbe superflui gli Stati-Nazione. In realtà, come abbiamo più volte sottolineato, questa tesi è falsa in quanto esistono Stati "disgreganti" e Stati "disgregati". I Balcani e l'Eurasia (così come l'Africa e buona parte dell'Asia) appartengono a questa seconda categoria” (1)
A Kiev si gioca una partita a tre: Unione Europea, Russia e Stati Uniti.
La prima, sopratutto attraverso la Germania, punta a sussumere tutti gli spazi vuoti dentro la propria area di influenza economica e politica. La partita dell'adesione all'Unione Europea è lo schermo dietro cui questa operazione continua a macinare l'integrazione dell'Europa dell'Est direttamente o indirettamente nell'Eurozona e nel Deutsche Lebensraum. Ma l'espansione a est della Germania è avvenuta - fino ad oggi - in concertazione con la Russia e non in conflitto con essa. Gli accordi economici sulle forniture energetiche sono stabili e rilevanti. Sul piano politico poi la Germania ha dimostrato la sua speciale relationship con la Russia “nel fuoco”, cioè in occasione del conflitto in Georgia nel 2008, quando frustrò le richieste della Georgia e degli Usa di invocare l'art.5 della Nato contro la Russia. Un episodio rivelatore che ha mostrato le crescenti crepe della camera di compensazione tra le potenze che è stata la Nato.
Oggi la relazione speciale tra Germania/Ue e Russia potrebbe entrare in sollecitazione nella crisi in Ucraina ma, paradossalmente, mantenersi intatta attraverso una rottura apparente. A Berlino si accenna alle sanzioni contro il governo ucraino, una scelta di questo tipo sarebbe un boomerang perché consegnerebbe mani e piedi l'Ucraina alle relazioni economiche con la Russia. Una rottura sul piano formale e come esito un compromesso sul piano sostanziale.
Ma una tale sistemazione dell'affaire ucraino non sarebbe gradito a Washington, che contrasta da anni (sui corridoi energetici) e teme come la peste, la saldatura tra Unione Europea e Russia, una ipotesi questa che esalta tutti i pensatori euroasiatici tra i quali abbondano sia seguaci della primazia della geopolitica che reazionari di ogni risma. L'antiamericanismo ha cessato da tempo di essere una garanzia di antimperialismo.
La Russia accusa sia gli Usa che l'Unione Europea di ingerenza sulla crisi interna ucraina agendo però in modo esattamente speculare.
Il “Clash”, lo scontro tra potenze appare dunque in pieno svolgimento sullo sfondo di una crisi non solo economica ma di sistema e della stessa civiltà capitalista. (2).
L'Ucraina, come l'Africa, è ormai uno dei terreni sul quale questo scontro sta prendendo le misure e agisce concretamente. L'Unione Europea ne è parte integrante. Prendere parte per uno dei poli imperialisti in competizione sarebbe sciagurato come votare i crediti di guerra nel 1914. Partiamo da questa affermazione di principio. Il resto viene dopo.
Note:
1) “Il Grande Gioco nei Balcani”, Sergio Cararo, 1999
2) “Clash. Scontro tra potenze” Petras, Casadio, Vasapollo, 2003
Fonte
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