I ribelli siriani caduti nell’imboscata delle truppe governative, foto AP |
Ieri i militari siriani hanno teso una trappola a un folto gruppo di combattenti anti-Assad nei pressi di Utayba, a Ghouta Est, non lontano da Damasco. Il numero di ribelli e jihadisti uccisi varia tra 132 e 175. Altri 140 miliziani sono dispersi mentre una sessantina sarebbero riusciti a fuggire. Un esito che è stato esaltato dai media vicini al regime di Bashar Assad come una vittoria di enormi proporzioni, che avrà riflessi decisivi sulla battaglia in corso nella regione di Qalamoun dove le forze governative circondano la cittadina di Yabroud, ultima roccaforte dell’opposizione armata in una fascia di territorio tra Damasco, la frontiera con il Libano e la città costiera di Latakiya, considerata strategica per l’esito del conflitto.
Secondo le fonti governative, i miliziani uccisi erano in gran parte stranieri – sauditi, giordani e ceceni –, entrati poche ore prima dalla frontiera con la Giordania per unirsi ai ribelli proprio nella zona di Qalamoun. Le fonti dell’opposizione, come l’Osservatorio siriano per i Diritti Umani (Osdu), invece hanno comunicato che gran parte degli uccisi erano siriani. Ieri l’Osdu ha riferito anche che dall’inizio dell’anno circa 3.300 persone sono rimaste uccise nella faida tra forze qaediste nel nord della Siria, in combattimenti che vedono contrapposti in particolare lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil), che opera anche nel vicino Iraq come emanazione di Al Qaida, e altre formazioni islamiche, tra le quali il Fronte al Nusra, che la stessa Al Qaida ha riconosciuto come propria branca in Siria. Tra gli oltre 3 mila morti ci sono 281 civili, vittime di attentati compiuti con autobombe e di esecuzioni sommarie.
Hezbollah sta impegnando molti uomini nella battaglia di Yabroud, che ritiene decisiva anche per le vicende interne libanesi. L’intelligence del movimento guidato da Hassan Nasrallah afferma che gran parte delle autobombe usate nei recenti attentati kamikaze compiuti nei quartieri a maggioranza sciita a sud di Beirut, sarebbero state inviate proprio da questa cittadina siriana accanto alla frontiera e passate per Arsal, la roccaforte sunnita nella Valle della Bekaa.
Ieri dopo un silenzio durato 48 ore Hezbollah ha confermato che cacciabombardieri israeliani, lunedì sera, hanno colpito proprie postazioni lungo il confine tra Libano e Siria. Più di tutto ha avvertito che «sceglierà il momento e i luoghi giusti per fare una rappresaglia». L’attacco, è scritto nel comunicato diffuso da Hezbollah, «è un’aperta aggressione contro il Libano, la sua sovranità e non solo contro la Resistenza… non rimarrà senza una rappresaglia». Si intravedono nuovi scenari di guerra, che si aggiungono alla crisi siriana che già incombe sul Libano.
I raid israeliani, secondo alcuni giornali di Beirut, avrebbero preso di mira due automezzi pesanti provenienti dalla Siria, uno dei quali trasportava missili e l’altro piattaforme di lancio. La stampa parla anche di quattro guerriglieri uccisi, ma Hezbollah non conferma. Si tratta del primo attacco israeliano dentro il territorio libanese dall’inizio della guerra civile siriana. In precedenza l’aviazione di Tel Aviv aveva compiuto raid simili ma sempre in territorio siriano. Da parte sua Tel Aviv fa sapere, attraverso il quotidiano Haaretz, di essere già in possesso dei piani di ritorsione del movimento sciita che potrebbe tentare di colpire «figure israeliane di spicco».
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