Dopo la censura proposta dall'università di Bergamo, anche “Coop adriatica”, azienda che gestisce centinaia di punti vendita (18 ipercoop e 158 supermercati) in Emilia-Romagna, Veneto, Marche e Abruzzo ha deciso di normare la vita privata dei propri dipendenti.
Il cartello che riportiamo nella foto è presente in tutti i punti vendita e, inutilmente, comunica che la diffamazione è perseguibile per legge, cosa che chiunque tiene presente nella sua vita quotidiana. Semmai il problema sta nelle numerose denunce sindacali per il trattamento che Coop riserva ai lavoratori, a partire dai facchini esternalizzati sino ad arrivare alle nuove forme contrattuali che convivono con quelle vecchie, rendendo normale che due lavoratori che ricoprono la stessa mansione e che svolgano a volte esattamente lo stesso tipo di lavoro abbiano uno il diritto alla pausa mentre l'altro non può abbandonare la postazione neanche un momento per l'intero turno.
Non male per una cooperativa con quella storia, anche se è comprensibile che un sistema, che vive promulgandosi solidale e attento ai bisogni della comunità, si preoccupi tanto dell'immagine. Grazie a questo lavoro di marketing, se nella pratica un lavoratore Coop è trattato come e peggio di un precario, tutto quello che rimane è il fumo gettato negli occhi di milioni di consumatori, che con l'acquisto nei punti vendita della Coop pensano di supportare un sistema etico affidandosi a spot e pubblicità più che ingannevoli.
D’altronde il job-act di Renzi è già realtà in alcuni luoghi di lavoro, e non va dimenticato che Coop è conproprietaria di Eataly e quindi complice di chi afferma che sono accettabili le perquisizioni ai lavoratori e che per vivere 800€ per 40 ore di lavoro sono più che sufficienti!
Sarebbe meglio che stessimo tutti in guardia davanti a questi episodi, perché qui si travalicano i diritti umani e di etica non se ne trova più traccia.
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