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20/02/2014

Iraq - La strage continua


Ieri l’Iraq è stato scosso da una raffica di attentati che hanno fatto decine di morti, almeno 50, nella capitale Bagdad e nell’area meridionale di Hilla, soprattutto nei quartieri sciiti. Nel mese di gennaio sono morte almeno mille persone. Intanto, si continua a combattere nelle provincie di Anbar e Salah ad Din, occupate da dicembre dai qaedisti dello Stato islamico dell’Iraq e della Siria che hanno assunto il controllo di interi quartieri di Ramadi e Fallujah. Decine di migliaia di residenti sono fuggiti e ieri 13 soldati iracheni hanno perso la vita nei combattimenti.

Ieri una serie di attentati dinamitardi ha colpito i quartieri sciiti di Bagdad uccidendo almeno 15 persone. Le macchine imbottite di esplosivo sono state parcheggiate vicino a zone commerciali e stazioni di autobus. Lunedì altre 23 persone erano morte in altri attentati. A Hilla, invece, ieri si è consumata una strage: sette autobombe hanno fatto 35 morti in poche ore. Alla fine di gennaio un commando armato ha attaccato la sede del ministero  Trasporti, a Nord di Baghdad, prendendo in ostaggio alcuni civili. Nel blitz dell’esercito per liberare gli ostaggi son morte sei persone, tra cui quattro miliziani, secondo Bagdad.

Il Paese è teatro di settarismi che stanno scatenando una guerra civile, combattuta con le autobombe e gli attentati kamikaze, mentre il governo sciita del premier Nuri al Maliki risponde con la repressione, la marginalizzazione politica dei sunniti, al potere ai tempi di Saddam Hussein, e le leggi antiterrorismo e le condanne a morte di decine di “terroristi”. Secondo l’associazione Human Rights Watch, le autorità hanno condannato a morte per impiccagione almeno 151 persone nel 2013, 129 nel 2012 e 68 nel 2011.

Da ormai due anni la “rappresaglia” sunnita contro gli sciiti si è intensificata e al Qaeda ha firmato molti degli attentati che quotidianamente insanguinano l’Iraq. Dopo l’invasione statunitense iniziata nel 2003 e terminata nel 2011, gli sciiti hanno iniziato a dominare la vita politica del Paese, dove le violenze in realtà non si sono mai fermate del tutto. L’Iraq non è mai diventato lo Stato stabile che Washington diceva di volere lasciare agli iracheni. Al contrario, il conflitto tra sciiti e sunniti è peggiorato e il primo ministro, Nuri al Maliki, al potere dal 2006, è accusato di alimentare le violenze per emarginare gli avversari. Ha chiesto e ha ottenuto armi, persino elicotteri da combattimento Apache, dagli Stari Uniti per combattere i “terroristi”. In vista delle elezioni, il premier, al dialogo per marginalizzare i gruppi jihadisti, più volte suggerito anche dalla cosiddetta comunità internazionale, preferisce mostrare i muscoli.

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