La settimana appena trascorsa ha segnato
una tappa epocale non solo per la storia recente dell’Ucraina, ma forse
per l’intero progetto di costituzione del nuovo polo imperialista
europeo così come, già da tempo, lo stiamo definendo e man mano
tratteggiando. Ma la novità più rilevante (e che ha determinato l’esito
di questo sanguinoso braccio di ferro) è l’affollamento di attori
internazionali che hanno assunto giorno dopo giorno un peso specifico di
rilievo. Il problema, tuttavia, è stato quello di riuscire a
distinguere cosa stesse effettivamente accadendo; un problema che, come
già avvenuto in occasione delle rivolte libiche e siriane, ha
interessato la variegata galassia della sinistra (o pseudo tale),
impantanata in una atavica incapacità di leggere oltre le ricostruzioni
propinate dai media mainstream di casa nostra. Ancora una volta sembra
essere mancata un’analisi d’insieme che fosse in grado di scardinare la
metodica lettura binaria del bene/male e del buono/cattivo. Ancora una
volta, soprattutto, si è caduti nell’errore di simpatizzare
aprioristicamente per una forma di ribellione di piazza,
indipendentemente da quelli che poi si sono verificati essere i veri
coordinatori della protesta di piazza Maidan. Pregna della peggior
retorica sulla rivolta generazionale e schiacciata sul semplicismo di
non voler essere annessa all’influenza (prima di tutto commerciale)
della Russia, la rivolta ucraina è stata inquadrata nelle vesti più
comode di una cittadinanza vogliosa di decidere sul proprio futuro, da
disegnare secondo i canoni di democrazia e libertà del vicino Occidente
targato UE. Dipanare la coltre di fumo
gettata negli occhi dell’opinione pubblica mondiale non è certo compito
cui possiamo assolvere noi da soli, ci mancherebbe; crediamo però che,
in un momento così delicato per gli esiti di un confronto di portata
internazionale, sia utile poter mettere sul piatto della bilancia alcune
considerazioni che, almeno tra i canali di dibattito della sinistra di
classe, devono essere utili strumenti per arginare un cretinismo
opinionista che comincia ad espandersi in modo virale soprattutto a
partire dai social network.
Combattere l’autoritarismo?
Il primo punto da fissare è quello
relativo ai duellanti ucraini. L’opinione pubblica ha avuto gioco forza
una ragione in più per scegliere quale “squadra” tifare anche da come è
stato dipinto il conflitto nelle strade di Kiev. Inutile ricordare in
questa sede la disparità di giudizio con cui è stata dipinta l’offensiva
degli “insorti”, le loro eroiche barricate, la solidarietà di piazza
che ha animato le fredde nottate di picchetti e resistenza, dalla
reazione delle “truppe” di Yanukovich (non l’esercito, neanche fossero i
lanzichenecchi mercenari al soldo dell’ex Presidente), ree di sparare
sulla folla e di tarpare le ali alla rivolta di popolo. Badate bene, non
è un modo implicito per tifare a modo nostro; come già accadde
in occasione delle rivolte arabe menzionate in precedenza, ci preme
capire quale è (e perché) in questo momento la rotta direttrice
dell’informazione mainstream. La stessa informazione virale che,
tuttavia, non ha potuto scongiurare la diffusione di foto e video in cui
sono gli stessi “eroi di piazza” ad essere dotati di un equipaggiamento
degno di un vero esercito, alla faccia della disparità delle forze in
campo. Questo elemento però ci aiuta a capire meglio chi fossero coloro
che ieri combattevano l’autoritarismo di Yanukovich e chi sono coloro
che oggi lo hanno destituito. La natura delle componenti che coordinano
quella che oggi è la nuova maggioranza ucraina è variegata: formazioni
paramilitari fasciste e ultranazionaliste, da Patria a Svoboda, che
garantiscono ancora oggi una continuità storica (oltre che tangibile,
reale, nella presenza di alcuni fossili nazisti) con il
collaborazionismo degli anni ’40, fino ad una non meglio certificata
frangia di “integrazionisti”, quindi filo-europei, attratti dalla
possibilità di sperimentare l’apertura delle frontiere commerciali
ucraine alle politiche liberiste di Bruxelles. Una miscellanea che in
questi giorni di violenze ha volutamente alzato l’asticella del
conflitto, inasprendo lo scontro ad un livello tale da dover, obtorto collo,
spostare la questione ucraina su una dimensione di attenzione
internazionale – garantendo, cioè, l’incondizionato appoggio della UE e
degli USA alle istanze rivendicate dai seguaci della Tymoshenko.
Il peso dell’Ucraina.
Con la dissoluzione del blocco
sovietico, a est di Berlino si erano create le premesse per una
galvanizzante corso all’oro intrapresa con l’obiettivo di fidelizzare
sotto l’ombrello della NATO i territori dello spazio post sovietico.
L’affermazione di un nuovo protagonismo russo, sorto come contraltare ad
una tendenza fagocitante degli USA e della nascente Unione Europea, ha
di fatto trasformato la questione del controllo sulle ex-repubbliche
sovietiche in una partita di scacchi giocata a tre. Il primato della
Germania e della Merkel nella nuova definizione del polo imperialista
europeo ha avuto un ruolo di prim’ordine anche nella vicenda ucraina di
queste settimane. Non è infatti un caso che la prima mossa fatta dalla
Tymoshenko dopo la scarcerazione è stata quella di mettersi in contatto
con la Cancelliera tedesca e fissare un appuntamento per le prossime
settimane. Come veniva ricordato da Sergio Cararo in un articolo uscito
alcuni giorni fa su Contropiano, la Germania «punta a sussumere
tutti gli spazi vuoti dentro la propria area di influenza economica e
politica. La partita dell’adesione all’Unione Europea è lo schermo
dietro cui questa operazione continua a macinare l’integrazione
dell’Europa dell’Est direttamente o indirettamente nell’Eurozona e nel Deutsche Lebensraum.
Ma l’espansione a est della Germania è avvenuta – fino ad oggi – in
concertazione con la Russia e non in conflitto con essa. Gli accordi
economici sulle forniture energetiche sono stabili e rilevanti. Sul
piano politico poi la Germania ha dimostrato la sua speciale
relationship con la Russia “nel fuoco”, cioè in occasione del conflitto
in Georgia nel 2008, quando frustrò le richieste della Georgia e degli
Usa di invocare l’art.5 della Nato contro la Russia. Un episodio
rivelatore che ha mostrato le crescenti crepe della camera di
compensazione tra le potenze che è stata la Nato». A questa situazione,
specularmente, Stati Uniti e Russia rispondono con ingerenze altrettanto
forti. I primi timorosi che si possa saldare un sodalizio, seppur
strategico, tra UE e Russia; i secondi impensieriti dalla concorrenza
rappresentata dall’UE e dall’eurozona nelle politiche commerciali
bilaterali che Mosca ha stipulato con i paesi dell’ex blocco sovietico.
Ciò non ha comunque impedito agli Stati Uniti di accorciare subito le
distanze che li separavano da Kiev, garantendo la possibilità di versare
nelle casse ucraine (di comune accordo con il FMI) un congruo aiuto
economico a fronte dei circa 20 miliardi di dollari che erano stati
pattuiti da Yanukovich e i vertici russi e che difficilmente adesso
potranno essere incassati.
Dopo il golpe e la tregua: prospettive di classe.
È indicativo che nelle ultime 48 ore i media si siano ancorati nella narrazione del day after ucraino,
della commemorazione dei morti e delle reazioni delle comunità ucraine
nel mondo. Vale a dire, nessuna parola di rilievo sui termini della
millantata tregua, sulla nuova composizione fascista del governo
dell’integrazione europea e sulla ormai smascherata operazione di USA e
UE giocata sulla pelle della popolazione ucraina. Sorridevamo ieri nel
vedere la breve clip di Repubblica
dedicata alla marcia della comunità ucraina a Roma, scesa in piazza con
bandiere dell’UE e con quelle a stelle e strisce tra le prime file.
Qualcosa di più, volendo, si può però dire.
- In soli due mesi il “no” del governo
Yanukovich all’accordo di associazione e commercio tra Ucraina e Unione
Europea è diventato il grimaldello per l’inizio di un sabotaggio che ha
portato ad un commissariamento sanguinario del paese. Gli aiuti promessi
dal FMI, rinnovati in questa situazione di emergenza, sono stati
nuovamente dettati con l’asterisco della necessità di “riforme
economiche e politiche” che, alla faccia della nuova spinta nazionalista
ucraina, ridurrebbero il paese al guinzaglio di Bruxelles, come già
immaginato negli accordi di fine 2013.
- La costruzione di un polo imperialista
in Europa si costruisce con l’appoggio e la complicità (diretta e
indiretta) delle formazioni fasciste e ultranazionaliste, che cavalcano
la retorica anti-euro e antieuropeista per accreditarsi come alternativa
credibile in una popolazione sconquassata dagli effetti della crisi
politica ed economica – salvo poi fungere da maggiordomo quando si
tratta di spalancare le porte dello Stato alle politiche di austerity e
privatizzazione che tanto piacciono a Bruxelles.
- In molte regioni del paese,
soprattutto in Crimea, continuano invece le proteste (queste però
oscurate, perché poco funzionali al quadro europeo) contro il golpe
fascista che ha tramortito l’Ucraina. Dopo i pesanti attacchi alle molte
sedi dei comunisti e degli antifascisti ucraini, da ieri è iniziata una
contro-protesta che in alcune zone sta abbracciando anche l’annosa
questiona della tutela delle minoranze linguistiche – strette nella
morsa xenofoba della nuova maggioranza della Tymoshenko.
Il caso ucraino è la cartina di
tornasole di quanto proviamo da tempo a dire a proposito della
definizione di un nuovo sovra-Stato imperialista nello spazio europeo.
Il 25 maggio, in concomitanza con il voto europeo, si terranno le
elezioni in Ucraina, dopo che la nuova maggioranza ha fissato per quella
data la nuova consultazione elettorale. Immaginare la formazione di un
fronte d’opposizione al modello UE significa anche internazionalizzare
la lotta, con l’idea ben chiara (Ucraina a parte) che l’Unione Europea
non va riformata. Va abbattuta.
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