Prendi un tema attuale, scrivici su due versi, mettici un motivetto
orecchiabile, fallo cantare da un giovanotto dal volto pulito e
sorridente, forse pure un poco abbonatiello (come si direbbe a Napoli),
ed è fatta. Nemmeno il tempo di capire che sta cantando in mondovisione
che si ritrova a vincere la sezione Nuove Proposte del Festival di
Sanremo, fra lacrime e abbracci a mezzo Teatro Ariston, foto ricordo con
in mano la statuetta e cazziate del conduttore che prova a farti stare
un attimo fermo.
Questo è quello che ha vissuto il giovane Rocco
Pagliarulo, in arte Rocco Hunt, alla finale del concorso canoro per
eccellenza, il 64° Festival della Canzone Italiana. Non provate a capire
il significato del suo pseudonimo: non esiste. Si chiama “Hunt” perché
da adolescente firmava così i suoi graffiti, senza un motivo, e se l’è
tenuto anche per cantare. Un ragazzotto semplice, con grandi occhiali
da vista, che mentre canta della mamma che fa le pulizie la cerca fra il
pubblico e le manda i bacetti, da lei prontamente ricambiati con
orgoglio e soddisfazione. Un giovane rapper che a differenza degli altri
suoi colleghi di genere musicale non è incazzato con il mondo ma
dispensa buonumore e pensieri positivi, quasi utopistici. Un giovane
cantante che per la finale del più prestigioso concorso canoro per
antonomasia indossa una giacca che forse gli era stata lasciata in dono
da qualche reduce di guerra. Tutto questo a diciannove anni.
Ha
vinto. E questo è quanto. Una marea di sms lo hanno incoronato vincitore
e attualmente il suo brano è il più scaricato fra quelli in concorso.
Il testo della canzone, scritto a sei mani da R. Pagliarulo, A. Merli e
F. Clemente, parla della sua regione – la Campania – e dei vari problemi
che purtroppo l’affliggono. Ne parla con allegria, con il sorriso di
chi al di là della disoccupazione, al di là della spazzatura e al di là
dei morti per il biocidio vede la gente spensierata, si scalda sotto i
raggi del sole e si beve il caffè buonissimo che solo ‘a Napule ‘o sanno
fa’ (cit.). Ne parla con ottimismo, immaginando una giornata in cui non
esisterà più odio, violenza e povertà, in cui il lavoro si troverà
tranquillamente e non si morirà più a quattro, cinque, dieci anni per un
tumore. Immagina. Sogna. Perché solo questo può essere, per adesso,
quello che canta. Un bel sogno che nulla cambierà dello stato attuale
della sua Terra, quella che da un anno tutto il mondo conosce come la
“Terra dei fuochi”. Ma lui non vuole sentirla chiamare così, la sua
terra. Vuole che la si chiami “Terra del sole”. Forse ha dimenticato che
ci aveva già pensato Bovio con la sua “'O Paese d'o sole” nel 1925. O
forse manco lo sa, in fondo è piccolo. Ha poco meno di vent’anni, che
vuoi che ne sappia di una canzone che quasi cent’anni fa già parlava
della bellezza della nostra città? Nulla.
Il problema è proprio
questo. Puoi anche scrivere una canzone ottimistica, ma ti prego non
affermare che lo fai per dare voce a chi non ce l’ha, che canti per dare
un esempio positivo ai giovani, che il Festival l’ha vinto il “popolo”… Ti prego, Rocco Hunt. Non dirlo.
Sorrido
quando sento parlare di “messaggio positivo”, di “esempio da seguire”.
Sorrido perché sarebbe tutto così bello se dalla tua canzone non
nascessero dietrologie e insegnamenti di vita. Una canzoncina carina,
sulla scia di quelle che siamo abituati ad ascoltare a Sanremo ogni
anno. Tutto qua. Per me non è altro che un brano studiato a tavolino,
con un bel tema attuale e coinvolgente, che avrebbe di certo intenerito i
cuori di chi avrebbe dovuto votare. Certo è facile cantare un mondo
bello, senza preoccupazioni e dolori. La realtà però è ben diversa da
quella canzoncina che poi finisci per fischiettare sotto la doccia.
Purtroppo.
Di questo avviso era – durante la finale delle Nuove
Proposte della kermesse canora – anche il trio milanese della Gialappa’s
Band, incappato in una bufera mediatica che proprio non si aspettava.
Dai microfoni della Radio Rtl 102.5 commentano in diretta tutte le
serate del Festival di Sanremo con la loro abituale ironia, un po’
cinica, a volte graffiante, ma in genere simpatica. Questa volta,
durante l’esibizione di Rocco Hunt, non si sono probabilmente spiegati
bene e da lì al grido allo scandalo il passo è stato breve. I Social
Network e i mass media hanno fatto il resto. I tre Gialappi non hanno
apprezzato l’ottimismo con cui il giovane cantante liquida la questione
“Terra dei Fuochi”, anche e soprattutto perché è grazie alla loro
trasmissione (Le Iene, Italia 1), che la questione inquinamento e
conseguenti problemi ambientali e sanitari in Campania è arrivata alla
ribalta negli ultimi tempi. Non gli è piaciuta la superficialità con cui
si parla dei tumori, quasi a voler nascondere un problema che invece
non si può, non si deve nascondere. Ma si sa, a volte una frase cambia
completamente il suo significato se decontestualizzata. E questo è
quello che è avvenuto a loro. E a nulla sono valse le spiegazioni a mezzo Facebook,
a nulla l’aver fornito le registrazioni ufficiali di ciò che hanno
detto, ormai la macchina mediatica si è mossa e difficilmente si
calmerà.
Perché se da un lato è vero che è stata pronunciata la
frase “questa Terra dei Fuochi, ma chi se ne fotte”, dall’altro è pur
vero, sacrosanto, che il concetto era “non ti interessa (a te Rocco
Hunt) la questione Terra dei Fuochi, tanto che quasi quasi siamo noi
delle Iene a sbagliare a venire a fare i servizi in cui diciamo che la
Campania è avvelenata”. L’italiano non è un’opinione. Basta conoscerlo.
Basta ascoltare l’insieme di un discorso e non estrapolarne ad arte solo
una frase. Ed è vero che poi hanno fatto una battuta sul “rubare i
portafogli” quando il cantante ha chiesto al pubblico di alzare le mani
per partecipare, ma hanno anche lì abbondantemente spiegato che si
trattava di una battuta senza razzismo, senza tendenzionsità. E io, dopo
aver ascoltato tutta la registrazione, gli credo.
“Nu juorno
buono”. Questo il titolo della canzone vincitrice nella sezione Giovani
del 64°Festival di Sanremo. Nu juorno buono è quello che avremo qui in
Campania quando invece di sentirci offesi a ogni costo e discriminati da
tutto e tutti, forse finiremo di pensare che Napoli sia solo la città
del mandolino e della mozzarella, della pizza e del babà. Nu juorno
buono per adesso io non ce l’ho. Non ancora.
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