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24/02/2014

Sanremo. Anche la "terra dei fuochi" finisce in melassa buonista

Prendi un tema attuale, scrivici su due versi, mettici un motivetto orecchiabile, fallo cantare da un giovanotto dal volto pulito e sorridente, forse pure un poco abbonatiello (come si direbbe a Napoli), ed è fatta. Nemmeno il tempo di capire che sta cantando in mondovisione che si ritrova a vincere la sezione Nuove Proposte del Festival di Sanremo, fra lacrime e abbracci a mezzo Teatro Ariston, foto ricordo con in mano la statuetta e cazziate del conduttore che prova a farti stare un attimo fermo.

Questo è quello che ha vissuto il giovane Rocco Pagliarulo, in arte Rocco Hunt, alla finale del concorso canoro per eccellenza, il 64° Festival della Canzone Italiana. Non provate a capire il significato del suo pseudonimo: non esiste. Si chiama “Hunt” perché da adolescente firmava così i suoi graffiti, senza un motivo, e se l’è tenuto anche per cantare. Un ragazzotto semplice, con grandi occhiali da vista, che mentre canta della mamma che fa le pulizie la cerca fra il pubblico e le manda i bacetti, da lei prontamente ricambiati con orgoglio e soddisfazione. Un giovane rapper che a differenza degli altri suoi colleghi di genere musicale non è incazzato con il mondo ma dispensa buonumore e pensieri positivi, quasi utopistici. Un giovane cantante che per la finale del più prestigioso concorso canoro per antonomasia indossa una giacca che forse gli era stata lasciata in dono da qualche reduce di guerra. Tutto questo a diciannove anni.

Ha vinto. E questo è quanto. Una marea di sms lo hanno incoronato vincitore e attualmente il suo brano è il più scaricato fra quelli in concorso. Il testo della canzone, scritto a sei mani da R. Pagliarulo, A. Merli e F. Clemente, parla della sua regione – la Campania – e dei vari problemi che purtroppo l’affliggono. Ne parla con allegria, con il sorriso di chi al di là della disoccupazione, al di là della spazzatura e al di là dei morti per il biocidio vede la gente spensierata, si scalda sotto i raggi del sole e si beve il caffè buonissimo che solo ‘a Napule ‘o sanno fa’ (cit.). Ne parla con ottimismo, immaginando una giornata in cui non esisterà più odio, violenza e povertà, in cui il lavoro si troverà tranquillamente e non si morirà più a quattro, cinque, dieci anni per un tumore. Immagina. Sogna. Perché solo questo può essere, per adesso, quello che canta. Un bel sogno che nulla cambierà dello stato attuale della sua Terra, quella che da un anno tutto il mondo conosce come la “Terra dei fuochi”. Ma lui non vuole sentirla chiamare così, la sua terra. Vuole che la si chiami “Terra del sole”. Forse ha dimenticato che ci aveva già pensato Bovio con la sua “'O Paese d'o sole” nel 1925. O forse manco lo sa, in fondo è piccolo. Ha poco meno di vent’anni, che vuoi che ne sappia di una canzone che quasi cent’anni fa già parlava della bellezza della nostra città? Nulla.

Il problema è proprio questo. Puoi anche scrivere una canzone ottimistica, ma ti prego non affermare che lo fai per dare voce a chi non ce l’ha, che canti per dare un esempio positivo ai giovani, che il Festival l’ha vinto il “popolo”… Ti prego, Rocco Hunt. Non dirlo.

Sorrido quando sento parlare di “messaggio positivo”, di “esempio da seguire”. Sorrido perché sarebbe tutto così bello se dalla tua canzone non nascessero dietrologie e insegnamenti di vita. Una canzoncina carina, sulla scia di quelle che siamo abituati ad ascoltare a Sanremo ogni anno. Tutto qua. Per me  non è altro che un brano studiato a tavolino, con un bel tema attuale e coinvolgente, che avrebbe di certo intenerito i cuori di chi avrebbe dovuto votare. Certo è facile cantare un mondo bello, senza preoccupazioni e dolori. La realtà però è ben diversa da quella canzoncina che poi finisci per fischiettare sotto la doccia. Purtroppo.

Di questo avviso era – durante la finale delle Nuove Proposte della kermesse canora – anche il trio milanese della Gialappa’s Band, incappato in una bufera mediatica che proprio non si aspettava. Dai microfoni della Radio Rtl 102.5 commentano in diretta tutte le serate del Festival di Sanremo con la loro abituale ironia, un po’ cinica, a volte graffiante, ma in genere simpatica. Questa volta, durante l’esibizione di Rocco Hunt, non si sono probabilmente spiegati bene e da lì al grido allo scandalo il passo è stato breve. I Social Network e i mass media hanno fatto il resto. I tre Gialappi non hanno apprezzato l’ottimismo con cui il giovane cantante liquida la questione “Terra dei Fuochi”, anche e soprattutto perché è grazie alla loro trasmissione (Le Iene, Italia 1), che la questione inquinamento e conseguenti problemi ambientali e sanitari in Campania è arrivata alla ribalta negli ultimi tempi. Non gli è piaciuta la superficialità con cui si parla dei tumori, quasi a voler nascondere un problema che invece non si può, non si deve nascondere. Ma si sa, a volte una frase cambia completamente il suo significato se decontestualizzata. E questo è quello che è avvenuto a loro. E a nulla sono valse le spiegazioni a mezzo Facebook, a nulla l’aver fornito le registrazioni ufficiali di ciò che hanno detto, ormai la macchina mediatica si è mossa e difficilmente si calmerà.

Perché se da un lato è vero che è stata pronunciata la frase “questa Terra dei Fuochi, ma chi se ne fotte”, dall’altro è pur vero, sacrosanto, che il concetto era “non ti interessa (a te Rocco Hunt) la questione Terra dei Fuochi, tanto che quasi quasi siamo noi delle Iene a sbagliare a venire a fare i servizi in cui diciamo che la Campania è avvelenata”. L’italiano non è un’opinione. Basta conoscerlo. Basta ascoltare l’insieme di un discorso e non estrapolarne ad arte solo una frase. Ed è vero che poi hanno fatto una battuta sul “rubare i portafogli” quando il cantante ha chiesto al pubblico di alzare le mani per partecipare, ma hanno anche lì abbondantemente spiegato che si trattava di una battuta senza razzismo, senza tendenzionsità. E io, dopo aver ascoltato tutta la registrazione, gli credo.

“Nu juorno buono”. Questo il titolo della canzone vincitrice nella sezione Giovani del 64°Festival di Sanremo. Nu juorno buono è quello che avremo qui in Campania quando invece di sentirci offesi a ogni costo e discriminati da tutto e tutti, forse finiremo di pensare che Napoli sia solo la città del mandolino e della mozzarella, della pizza e del babà. Nu juorno buono per adesso io non ce l’ho. Non ancora.

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