di Mario Lombardo
Il rapporto delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in
Corea del Nord diffuso lunedì a Ginevra è stato accolto con il previsto
clamore da parte della “comunità internazionale”, al cui interno gli
Stati Uniti e i loro alleati hanno salutato la minaccia da parte della
speciale commissione di inchiesta di raccomandare l’incriminazione del
giovane leader di Pyongyang, Kim Jong-un, presso la Corte Penale
Internazionale.
Come ampiamente riportato dai media di tutto il
mondo, l’indagine coordinata dall’ex giudice australiano Michael Kirby
ha elencato i consueti crimini attribuiti al regime stalinista, dalle
torture sistematiche alle detenzioni nei campi di lavoro, dalle
esecuzioni arbitrarie agli aborti forzati, dalle violenze sessuali alla
privazione del cibo come forma di “controllo sulla popolazione”.
Lo
stesso rapporto non ha poi risparmiato considerazioni molto dure sulla
Corea del Nord, affermando ad esempio che “la gravità, le dimensioni e
la natura delle violazioni [dei diritti umani] rivelano una situazione
che non ha eguali nella storia contemporanea”. Kirby, da parte sua, ha
paragonato i metodi impiegati dal regime di Pyongyang a quelli della
Germania nazista, dichiarando apertamente che l’obiettivo del rapporto è
quello di “sollecitare azioni da parte della comunità internazionale”.
L’azione
intrapresa dall’ONU questa settimana nei confronti della Corea del Nord
si inserisce infatti nel quadro della campagna condotta dagli Stati
Uniti e dagli altri governi occidentali per destabilizzare il regime di
Kim Jong-un e, ancor più, per fare pressioni sull’unico alleato di
quest’ultimo, la Cina.
Pechino, d’altra parte, viene
eccezionalmente nominata dal rapporto e criticata, tra l’altro, per
avere rimpatriato rifugiati nordcoreani pur essendo a conoscenza della
sorte a cui essi sarebbero andati incontro e, più in generale, per avere
fornito collaborazione nella messa in atto di crimini contro l’umanità.
Vittima
designata della giustizia selettiva delle Nazioni Unite con il
beneplacito degli Stati Uniti, la Corea del Nord non appare certo un
modello di democrazia e molti dei crimini enumerati nel rapporto
presentato a Ginevra sono stati e continuano indubbiamente ad essere
commessi.
Le intenzioni della commissione di inchiesta presieduta
dal giudice Kirby sono però quasi interamente di natura politica, come
confermano sia le modalità di raccolta delle informazioni riportate nel
rapporto sia la parzialità della storia raccontata al mondo per
dipingere la situazione dell’isolato e impoverito paese dell’Asia
nord-orientale.
Il resoconto dei crimini commessi dal regime, per
cominciare, si basa esclusivamente sulle testimonianze degli esuli
nordcoreani, soprattutto di stanza nella Corea del Sud, dove questa
comunità viene spesso influenzata o manipolata da ambienti
anti-comunisti ultra-reazionari e del fondamentalismo cristiano, se non
direttamente dai servizi segreti di Seoul. Il regime nordcoreano,
infatti, non aveva concesso ai membri della commissione ONU di operare
sul proprio territorio.
In merito ad alcune accuse specifiche,
inoltre, l’ONU, pur indirizzando pesanti critiche alla Cina, esula gli
Stati Uniti da ogni responsabilità. Ciò appare evidente soprattutto in
relazione alla questione alimentare e alle violazioni del “diritto al
cibo” dei cittadini nordcoreani.
Le numerose carestie che negli
anni hanno fatto centinaia di migliaia di morti in questo paese sono da
attribuire in primo luogo al blocco economico imposto proprio da
Washington a partire dalla fine del conflitto del 1953 come arma per
isolare e destabilizzare il regime stalinista.
Le sanzioni sono
state poi costantemente inasprite in seguito al crollo dell’Unione
Sovietica, nell’ambito della strategia statunitense di penetrazione in
Asia orientale, quasi sempre facendo leva sulla questione dei diritti
umani, sulle provocazioni di Pyongyang o sull’avanzamento del programma
nucleare militare. Una situazione, quest’ultima, che ha alimentato il
senso di assedio del regime e le conseguenti misure repressive adottate
per conservare il potere.
Sul fronte delle accuse rivolte a
Pechino per avere rimpatriato i profughi nordcoreani, poi, la Cina
condivide il ricorso a politiche simili con molti altri governi anche
occidentali o, ad esempio, con la stessa Australia del giudice Kirby,
responsabile di rimpatri forzati verso Indonesia, Papua Nuova Guinea e
altri paesi del sud-est asiatico.
Più in generale, la creazione
della commissione di inchiesta ONU e il possibile rinvio di Kim Jong-un
alla Corte Penale dell’Aia confermano l’attitudine di questi organi
internazionali a perseguire una giustizia a senso unico, quasi sempre
volta a favorire gli interessi imperialistici degli Stati Uniti o delle
altre potenze loro alleate.
Nessuna commissione di inchiesta è
stata infatti creata per individuare le responsabilità di crimini
colossali come le aggressioni di Afghanistan o Iraq che hanno causato
devastazione sociale e milioni di morti tra le popolazioni civili.
Entrambe le avventure belliche degli USA – la seconda delle quali anche
formalmente illegale dal punto di vista del diritto internazionale –
rientrano oltretutto nella definizione di “guerra di aggressione”,
condannata dai principi di Norimberga in seguito al processo per i
crimini nazisti evocati a Ginevra dal giudice Kirby.
L’obiettivo
del rapporto sulla Corea del Nord sembra essere dunque quello di
preparare l’opinione pubblica internazionale ad una probabile prossima
escalation di pressioni e provocazioni nei confronti del regime di Kim
Jong-un, con una strategia consolidata che fa puntualmente riferimento
ai principi umanitari, come accadde, ad esempio, alla vigilia del
bombardamento NATO della Serbia nel 1999 e della stessa invasione
dell’Iraq nel 2003, anticipati da campagne di demonizzazione contro
Slobodan Milosevic e Saddam Hussein.
Tramite
la condanna della Corea del Nord, in questo caso, l’attenzione viene
dirottata in particolare sulla Cina, al centro della “svolta” strategica
statunitense in Estremo Oriente. Non a caso, d’altra parte, proprio
alla vigilia della presentazione del rapporto ONU, il segretario di
Stato americano John Kerry, nel corso di una visita a Pechino aveva
nuovamente invitato i leader cinesi a esercitare tutte le pressioni
possibili per costringere il loro vicino nord-orientale ad abbandonare
il proprio programma nucleare.
Ben consapevole dello scenario in
cui si colloca il rapporto ONU, nella giornata di martedì il governo
cinese ha definito “critiche ingiuste” quelle mossegli contro dalla
commissione d’inchiesta sulla Nord Corea. Una portavoce del ministero
degli Esteri di Pechino ha poi affermato che “la politicizzazione della
questione dei diritti umani non fa nulla” per migliorare la condizione
di questi ultimi in un determinato paese.
La Cina, infine, non ha
confermato la propria volontà di esercitare il potere di veto nel caso
il rapporto ONU dovesse approdare al Consiglio di Sicurezza per un
eventuale voto su ulteriori sanzioni ai danni di Pyongyang. È sensazione
comune degli osservatori, tuttavia, che Pechino bloccherà ogni azione
motivata politicamente che possa danneggiare l’alleato nordcoreano e
determinare un arretramento nei confronti degli Stati Uniti su una
questione cruciale per la propria sicurezza nazionale.
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