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20/02/2014

L’ONU, la Corea e l’arma dei diritti umani

di Mario Lombardo

Il rapporto delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Corea del Nord diffuso lunedì a Ginevra è stato accolto con il previsto clamore da parte della “comunità internazionale”, al cui interno gli Stati Uniti e i loro alleati hanno salutato la minaccia da parte della speciale commissione di inchiesta di raccomandare l’incriminazione del giovane leader di Pyongyang, Kim Jong-un, presso la Corte Penale Internazionale.

Come ampiamente riportato dai media di tutto il mondo, l’indagine coordinata dall’ex giudice australiano Michael Kirby ha elencato i consueti crimini attribuiti al regime stalinista, dalle torture sistematiche alle detenzioni nei campi di lavoro, dalle esecuzioni arbitrarie agli aborti forzati, dalle violenze sessuali alla privazione del cibo come forma di “controllo sulla popolazione”.

Lo stesso rapporto non ha poi risparmiato considerazioni molto dure sulla Corea del Nord, affermando ad esempio che “la gravità, le dimensioni e la natura delle violazioni [dei diritti umani] rivelano una situazione che non ha eguali nella storia contemporanea”. Kirby, da parte sua, ha paragonato i metodi impiegati dal regime di Pyongyang a quelli della Germania nazista, dichiarando apertamente che l’obiettivo del rapporto è quello di “sollecitare azioni da parte della comunità internazionale”.

L’azione intrapresa dall’ONU questa settimana nei confronti della Corea del Nord si inserisce infatti nel quadro della campagna condotta dagli Stati Uniti e dagli altri governi occidentali per destabilizzare il regime di Kim Jong-un e, ancor più, per fare pressioni sull’unico alleato di quest’ultimo, la Cina.

Pechino, d’altra parte, viene eccezionalmente nominata dal rapporto e criticata, tra l’altro, per avere rimpatriato rifugiati nordcoreani pur essendo a conoscenza della sorte a cui essi sarebbero andati incontro e, più in generale, per avere fornito collaborazione nella messa in atto di crimini contro l’umanità.

Vittima designata della giustizia selettiva delle Nazioni Unite con il beneplacito degli Stati Uniti, la Corea del Nord non appare certo un modello di democrazia e molti dei crimini enumerati nel rapporto presentato a Ginevra sono stati e continuano indubbiamente ad essere commessi.

Le intenzioni della commissione di inchiesta presieduta dal giudice Kirby sono però quasi interamente di natura politica, come confermano sia le modalità di raccolta delle informazioni riportate nel rapporto sia la parzialità della storia raccontata al mondo per dipingere la situazione dell’isolato e impoverito paese dell’Asia nord-orientale.

Il resoconto dei crimini commessi dal regime, per cominciare, si basa esclusivamente sulle testimonianze degli esuli nordcoreani, soprattutto di stanza nella Corea del Sud, dove questa comunità viene spesso influenzata o manipolata da ambienti anti-comunisti ultra-reazionari e del fondamentalismo cristiano, se non direttamente dai servizi segreti di Seoul. Il regime nordcoreano, infatti, non aveva concesso ai membri della commissione ONU di operare sul proprio territorio.

In merito ad alcune accuse specifiche, inoltre, l’ONU, pur indirizzando pesanti critiche alla Cina, esula gli Stati Uniti da ogni responsabilità. Ciò appare evidente soprattutto in relazione alla questione alimentare e alle violazioni del “diritto al cibo” dei cittadini nordcoreani.

Le numerose carestie che negli anni hanno fatto centinaia di migliaia di morti in questo paese sono da attribuire in primo luogo al blocco economico imposto proprio da Washington a partire dalla fine del conflitto del 1953 come arma per isolare e destabilizzare il regime stalinista.

Le sanzioni sono state poi costantemente inasprite in seguito al crollo dell’Unione Sovietica, nell’ambito della strategia statunitense di penetrazione in Asia orientale, quasi sempre facendo leva sulla questione dei diritti umani, sulle provocazioni di Pyongyang o sull’avanzamento del programma nucleare militare. Una situazione, quest’ultima, che ha alimentato il senso di assedio del regime e le conseguenti misure repressive adottate per conservare il potere.

Sul fronte delle accuse rivolte a Pechino per avere rimpatriato i profughi nordcoreani, poi, la Cina condivide il ricorso a politiche simili con molti altri governi anche occidentali o, ad esempio, con la stessa Australia del giudice Kirby, responsabile di rimpatri forzati verso Indonesia, Papua Nuova Guinea e altri paesi del sud-est asiatico.

Più in generale, la creazione della commissione di inchiesta ONU e il possibile rinvio di Kim Jong-un alla Corte Penale dell’Aia confermano l’attitudine di questi organi internazionali a perseguire una giustizia a senso unico, quasi sempre volta a favorire gli interessi imperialistici degli Stati Uniti o delle altre potenze loro alleate.

Nessuna commissione di inchiesta è stata infatti creata per individuare le responsabilità di crimini colossali come le aggressioni di Afghanistan o Iraq che hanno causato devastazione sociale e milioni di morti tra le popolazioni civili. Entrambe le avventure belliche degli USA – la seconda delle quali anche formalmente illegale dal punto di vista del diritto internazionale – rientrano oltretutto nella definizione di “guerra di aggressione”, condannata dai principi di Norimberga in seguito al processo per i crimini nazisti evocati a Ginevra dal giudice Kirby.

L’obiettivo del rapporto sulla Corea del Nord sembra essere dunque quello di preparare l’opinione pubblica internazionale ad una probabile prossima escalation di pressioni e provocazioni nei confronti del regime di Kim Jong-un, con una strategia consolidata che fa puntualmente riferimento ai principi umanitari, come accadde, ad esempio, alla vigilia del bombardamento NATO della Serbia nel 1999 e della stessa invasione dell’Iraq nel 2003, anticipati da campagne di demonizzazione contro Slobodan Milosevic e Saddam Hussein.

Tramite la condanna della Corea del Nord, in questo caso, l’attenzione viene dirottata in particolare sulla Cina, al centro della “svolta” strategica statunitense in Estremo Oriente. Non a caso, d’altra parte, proprio alla vigilia della presentazione del rapporto ONU, il segretario di Stato americano John Kerry, nel corso di una visita a Pechino aveva nuovamente invitato i leader cinesi a esercitare tutte le pressioni possibili per costringere il loro vicino nord-orientale ad abbandonare il proprio programma nucleare.

Ben consapevole dello scenario in cui si colloca il rapporto ONU, nella giornata di martedì il governo cinese ha definito “critiche ingiuste” quelle mossegli contro dalla commissione d’inchiesta sulla Nord Corea. Una portavoce del ministero degli Esteri di Pechino ha poi affermato che “la politicizzazione della questione dei diritti umani non fa nulla” per migliorare la condizione di questi ultimi in un determinato paese.

La Cina, infine, non ha confermato la propria volontà di esercitare il potere di veto nel caso il rapporto ONU dovesse approdare al Consiglio di Sicurezza per un eventuale voto su ulteriori sanzioni ai danni di Pyongyang. È sensazione comune degli osservatori, tuttavia, che Pechino bloccherà ogni azione motivata politicamente che possa danneggiare l’alleato nordcoreano e determinare un arretramento nei confronti degli Stati Uniti su una questione cruciale per la propria sicurezza nazionale.

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