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25/02/2014

Raid israeliano in Libano?


Arei da guerra israeliani avrebbero condotto un raid aereo nell’area della Valle della Bekaa al confine tra la Siria e il Libano ieri notte. A riportarlo è l’agenzia di stampa nazionale libanese. Ma al momento non è ancora possibile affermare con certezza se l’attacco sia realmente avvenuto e se abbia colpito effettivamente il territorio libanese. Tel Aviv e Damasco per il momento non commentano. Due giorni fa l’esercito israeliano ha minacciato “azioni” per fermare il trasferimento di armi che avrebbe “alterato l’equilibrio di forza” nella regione.

Secondo alcune fonti libanesi, Israele avrebbe colpito nei pressi delle cittadine di Jenta e al-Nabi Sheet nel nord della Bekaa, ma fonti militari locali, raggiunti dal quotidiano al-Akhbar, smentiscono la notizia. Se attacco c’è stato, al momento non è possibile comprendere quale sia stato l’obiettivo del raid israeliano. La televisione al-Manar vicina ad Hezbollah ha negato l’attacco segnalando solo “la forte presenza di aerei del nemico nell’area nord della Bekaa”. Diversa la versione israeliana. Fonti della sicurezza dello stato ebraico hanno confermato alla Reuters che c’è stata “un’intensa attività della Forza aerea al nord”, dove per “nord” si intende il Libano. Un attacco che, se confermato, non sarebbe il primo. Israele ha colpito la Siria tre volte lo scorso anno senza contare le numerose violazioni dello spazio aereo libanese. La motivazione che Tel Aviv ha sempre fornito per giustificare i raid è stato l’“inaccettabile” trasferimento di armi dalla Siria ad Hezbollah.

Il (presunto) bombardamento nella Bekaa ha luogo mentre infuriano duri scontri dell’esercito siriano con le milizie ribelli nell’adiacente zona delle montagne del Qalamoun al confine con il Libano. Che la situazione siriana si stia facendo sempre più preoccupante per Israele è confermato dal dispiegamento di una nuova divisione di soldati israeliani nel Golan. Domenica il Jerusalem Post ha descritto l’invio della 210ª divisione un “significativo sostegno alla sicurezza e alla stabilità al confine”.

Citando fonti dell’Intelligence, il quotidiano israeliano sostiene che lo schieramento è stato pianificato diversi mesi fa a causa degli “imprevedibili eventi” che stanno avendo luogo in Siria. Tel Aviv teme “l’assenza di sovranità siriana nella zona meridionale delle Alture del Golan, e il rafforzamento delle forze jihadiste in quelle aree”. Le autorità militari di Tel Aviv credono che la Siria non ritornerà alla piena sovranità in tempi brevi e descrivono il conflitto come un “cambio strategico che sarà studiato in futuro nei libri di storia del Medio Oriente”. “E’ impossibile – ha scritto il Jerusalem Post – sapere come la Siria ne uscirà”. Il quotidiano israeliano ha anche aggiunto che la nuova divisione impiegata nel Golan (la 210ª) sarà assistita dall’Intelligence, già da tempo attiva in quella zona, è sarà protetta da una nuova barriera di sicurezza tecnologicamente avanzata e dotata di radar.

La guerra civile che lacera la Siria preoccupa sempre di più Tel Aviv che ha cercato di mantenere ufficialmente un profilo molto basso riguardo al conflitto. Nei tre anni di guerra il premier Netanyahu si è astenuto dal commentare gli eventi siriani non sostenendo né Assad, né l’opposizione. Fu solo Ehud Barak, allora Ministro della Difesa, a prevedere una “caduta a breve di Bashar”. All’inizio del conflitto la stampa locale ha sperato apertamente nella caduta di Assad perché una sua caduta avrebbe rappresentato un duro colpo all’“asse del male” rappresentato da Iran, Damasco ed Hezbollah in Libano. Prima dell’inizio del conflitto, Damasco era un “pericolo” per Tel Aviv non tanto per l’appoggio più retorico e strumentale degli Assad alla “lotta di liberazione dei palestinesi” (il confine è “tranquillo” dal 1974). Le preoccupazioni degli israeliani erano i forti legami che legano Damasco a Teheran, il “nemico sciita”.

Tuttavia l’attuale debolezza del Presidente siriano, la divisione in catoni del Paese e la crescente forza di gruppi jihadisti hanno modificato sensibilmente la posizione di Tel Aviv (soprattutto del suo apparato militare) che ora vede in Bashar al-Asad la “migliore soluzione” per gli interessi israeliani.

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