Questa volta la Cgia ha reso noto uno studio (vedi sotto il testo), secondo cui le attività extralegali, in particolare solo le transazioni illecite concordate tra il venditore e l’acquirente, come ad esempio contrabbando, traffico di armi, smaltimento illegale di rifiuti, gioco d’azzardo, ricettazione, prostituzione e traffico di stupefacenti, producono un giro d’affari annuale che ammonta a 170 miliardi di euro.
La cosa in sé non desterebbe scalpore nel nostro paese, dove le attività economiche criminali probabilmente possono raggiungere anche qualcosa in più di questa cifra. Ma, come è noto, grazie al nuovo sistema di contabilizzazione italiano ed europeo – il Sec – anche le attività criminali legate a prostituzione, quantitativi di droga sequestrati e contrabbando di alcool e sigarette, entreranno a far parte della contabilizzazione nazionale del Pil dei paesi europei.
Alcuni anni fa, uno studioso italiano in fuga al Middlesex Politechnic di Londra, Vincenzo Ruggiero, diede alle stampe un libro ampio e documentato del fenomeno. Il libro, “Economie Sporche. L’impresa criminale in Europa” indica l’intreccio naturale tra le economie ufficiali e quelle che ruotano attorno alle attività illegali, o che adoperano mezzi illegali in settori ufficiali. Anche nelle "economie sporche" agiscono diversi livelli di stratificazione rispetto alle competenze, ai saperi, alle risorse, al potere contrattuale. Le gerarchie inferiori delle organizzazioni criminali si trovano conseguentemente più esposte ai rischi della precarietà economica, della disoccupazione, della repressione delle Forze dell'ordine.
L'uomo d'affari è diventato simile al ladro di professione: entrambi esprimono disprezzo per la Polizia, la Magistratura e il Governo che interferiscono con le loro attività. “L'unica differenza è che l'uomo d'affari si percepisce come una brava persona, onesta, mentre i colleghi sono più criminali di lui” scrive Vincenzo Ruggiero, rammentando come in due processi diversi, quello Loocked e Cosa Nostra, “sia l'amministratore delegato della società sia Joe Valachi, di Cosa Nostra, dissero che la corruzione e l'illegalità servivano a proteggersi dalla concorrenza”.
Il Prodotto Interno Lurido, dunque il riconoscimento pubblico dell'integrazione tra economia capitalista e attività criminali, entrerà così a far parte della contabilità ufficiale. Quando verrà sequestrato un carico di cocaina o le prostitute cominceranno a emettere o meno fattura, diventerà desueta la pubblica riprovazione perché anche loro contribuiranno ad abbattere la soglia del 3% nel rapporto deficit/Pil. Ce lo chiede l’Europa no?!
Qui di seguito lo studio elaborato dalla Cgia di Mestre
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L’economia criminale vale 170 miliardi di euro
Boom di denunce di riciclaggio: + 212% negli ultimi 5 anni
Lombardia, Lazio, Campania, Veneto e Emilia Romagna le regioni più “colpite”
L’allarme è lanciato dall’Ufficio studi della CGIA: l’economia criminale vale 170 miliardi di euro all’anno (*). Una cifra imponente che, oltre a derivare da attività illegali, spesso viene riversata sul mercato finendo per inquinarlo e stravolgerlo.
“La stima del valore economico prodotto dalle attività criminali – dichiara Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA – è il frutto di una nostra elaborazione realizzata su dati della Banca d’Italia. Va ricordato, in base alle definizioni stabilite dall’Ocse, che i dati prodotti dall’Istituto di via Nazionale non includono i reati violenti come furti, rapine, usura ed estorsioni, ma solo le transazioni illecite concordate tra il venditore e l’acquirente, come ad esempio contrabbando, traffico di armi, smaltimento illegale di rifiuti, gioco d’azzardo, ricettazione, prostituzione e traffico di stupefacenti. Detto ciò, queste attività criminali fatturano 170 miliardi all’anno, l’equivalente del PIL di una regione come il Lazio”.
La conferma dell’escalation del giro d’affari in capo alle organizzazioni criminali emerge anche dal numero di segnalazioni pervenute in questi ultimi anni all’Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d’Italia. Stiamo parlando delle operazioni sospette “denunciate” alla UIF da parte di intermediari finanziari (per l’80% banche, ma anche uffici postali, società finanziarie o assicurazioni). Ebbene, tra il 2009 ed il 2013 sono aumentate di quasi il 212 per cento. Se nel 2009 erano 20.660, nel 2013 hanno raggiunto quota 64.415, anche se va detto che il livello record è stato toccato nel 2012, con 66.855 segnalazioni.
La CGIA ricorda che una volta ricevuti questi “avvisi”, la Uif effettua degli approfondimenti sulle operazioni sospette e le trasmette, arricchite dell’analisi finanziaria, al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza (NSPV) e alla Direzione Investigativa Antimafia (DIA). Solo nel caso le segnalazioni siano ritenute infondate, la Uif le archivia.
“Ovviamente – prosegue Bortolussi – le organizzazioni criminali hanno la necessità di reinvestire i proventi delle loro attività illecite nell’economia legale. E il boom di denunce avvenute tra il 2009 e il 2013 è un segnale molto preoccupante. Pur non conoscendo il numero delle segnalazioni archiviate dalla Uif e nemmeno la dimensione economica di quelle che sono state successivamente prese in esame dalla DIA e dalla Polizia Valutaria, abbiamo il forte sospetto che l’aumento delle segnalazioni registrato in questi ultimi anni ci dimostri che questa parte dell’economia nazionale è l’unica che non ha risentito della crisi”.
L’analisi condotta dall’Ufficio studi della CGIA è riuscita a mappare il numero delle segnalazioni di riciclaggio avvenute nel 2013 anche a livello regionale. Le Regioni più “colpite” sono state la Lombardia (11.575), il Lazio (9.188), la Campania (7.174), il Veneto (4.959) e l’Emilia Romagna (4.947). Quasi il 60 per cento delle segnalazioni registrate a livello nazionale è concentrato in queste cinque Regioni.
In riferimento ai dati regionali, fa sapere l’Ufficio studi della CGIA, oltre alle segnalazioni di riciclaggio sono incluse anche quelle relative al finanziamento del terrorismo e dei programmi di proliferazione di armi di distruzione di massa. Tuttavia, il numero riferito a queste ultime due aree è statisticamente molto contenuto: nel 2013 è stato pari a 186.
Nota metodologica
(*) Il 6 giugno 2012, presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, l’allora Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, Anna Maria Tarantola, ebbe modo di affermare che il valore medio del sommerso criminale, nel periodo 2005-2008, era stato pari al 10,9% del Pil. Ipotizzando che l’incidenza sia ancora a questi livelli, l’Ufficio studi della CGIA stima che per il 2013 il valore economico dell’economia criminale si attesti attorno ai 170 miliardi di euro. Nella metodologia di calcolo eseguita dalla Banca d’Italia, così come stabilito dall’Ocse, si fa riferimento solo alle transazioni criminali avvenute dopo un accordo tra il venditore e l’acquirente. Non sono inclusi i reati “violenti” come i furti, le estorsioni, le rapine e l’usura.
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