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29/09/2014

Medio Oriente oggi: tanto autoritarismo, poca democrazia, troppe guerre


Cinque anni fa i segnali di uno scontro fra mondi opposti. Leadership autoritarie che controllavano un’economia corrotta e sistemi di sicurezza pronti a ogni abuso. Dall’altra parte giovani, acculturati e no, disoccupati, privati di presente e futuro e senza libertà. Oggi mille contraddizioni.
Le Primavere 4 stagioni e i mondi opposti
Le crisi esplose negli ultimi cinque anni nell’Oriente mediterraneo non hanno precedenti.
I manifestanti chiedevano rispetto dei diritti civili, studio, sanità, lavoro, alloggio.
Le proteste erano organizzate senza leader e la mobilitazione avveniva attraverso l’utilizzo di sistemi di comunicazione tipici delle nuove generazioni come twitter, facebook, social network.
Uno scontro fra mondi opposti: da una parte leadership autoritarie che controllavano un’economia corrotta e sistemi di sicurezza pronti a ogni abuso; dall’altra, alta percentuale di giovani, acculturati e no, disoccupati, privati di presente e futuro e senza libertà.
La rivoluzione mediatica è stata spinta propulsiva per trasformare le nuove generazioni in soggetto politico: il popolo dei cittadini, portatori di diritti e non solo di doveri, consapevoli del loro potenziale.

Vento di cambiamento e l’Islam evolutivo
Il vento del cambiamento che attraversava e attraversa tuttora il mondo islamico mette in evidenza molti fattori interni ed esterni, e persino l’emergere di una corrente di pensiero islamico di matrice riformista in grado di rendere compatibili elementi delle modernità occidentali con la tradizione islamica.
Esistono autori islamici che indicano nella “metodologia evolutiva” il grimaldello per un accostamento alla legge islamica (Shari’a) non come a un immutabile testo divino ma il risultato di interpretazioni di Corano e Sunna influenzato da tradizioni e consuetudini giuridiche non islamiche.
In breve, i testi sacri devono essere analizzati e compresi entro il loro contesto storico.

Le forme della democrazia stracciate
Le proteste esplose in Nord Africa (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto) e nella penisola araba (Siria, Iraq, Giordania, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Oman, Bahrein, Yemen) raccontano del consolidamento dei Paesi autoritari e il fallimento delle vittorie ottenute attraverso la democrazia del voto, accettato da Fratelli Musulmani e persino da salafiti aderendo alla metodologia evolutiva.
In Nord Africa, la vittoria dei Fratelli Musulmani in Marocco, Tunisia ed Egitto, spesso d’intesa con i salafiti, si chiude nel 2013-2014 con la sostituzione dei Premier musulmani nei Governi in Marocco e Tunisia e con il colpo di Stato militare in Egitto mentre le significative presenze dei Fratelli Musulmani in Algeria e Giordania restano ininfluenti.

Ingerenze esterne e jihadisti utili
In Libia, una guerra attivata da ingerenze esterne pilotate da Francia, Gran Bretagna, USA, ha portato il caos nel Paese, in mano a oltre 1700 milizie e divisa in Tripolitania, Fezzan e Cirenaica, dove operano i qaedisti di Ansar al-Sharia.
Secondario effetto la proliferazione di jihadisti che, sotto l’ombrello di Al Qaeda in the Islamic Maghreb, si sono estesi nella fascia sahelo-subsahariana fino al Corno d’Africa con attacchi in Algeria, Libia, Tunisia, Mauritania, Mali, Niger, Senegal, Nigeria (dove è attivo Boko Haram), Somalia (con i qaedisti degli Shabaab), Kenya e Uganda.

La ‘Partita’ centrale e decisiva
Tutto questo mentre Iraq e Siria sono nel pieno della guerra civile.
L’Iraq sconta l’inadeguatezza del Premier che ha emarginato sunniti e curdi ed è caduto nelle mani di jihadisti per la maggior parte armati, finanziati e addestrati da Turchia, Paesi del Golfo, Giordania e con il supporto statunitense.
La Siria subisce il “metodo libico”: la muscolare reazione delle Forze governative all’inizio delle proteste disarmate attiva l’intervento del gruppo “Gli amici della Siria”, una coalizione di numerosi Paesi, tra cui Francia, Gran Bretagna, USA, Turchia, Paesi del Golfo che, interessati alla caduta del regime, finanziano, addestrano e armano combattenti anche di matrice qaediste.

La Coalizione anti Califfato
Basterà la superiorità militare della nuova Coalizione a fermare IS e le numerose organizzazioni jihadiste rinforzate da oltre 15 mila occidentali convertiti al jihad?
Basteranno i programmi di bombardamento, addestramento, fornitura di armi a curdi iracheni, opposizioni siriane “moderate” e milizie irachene ?
Questo non ha funzionato in Afghanistan, Iraq, Libia, Mali, Repubblica Centroafricana, Siria.
Perché non coordinarsi con l’Iran che ha in Siria e Iraq le unità d’élite dei Pasdaran e di Al Quds?
E perché non con la Siria, dove i bombardamenti iniziati impediscono a Damasco l’utilizzo degli aerei creando di fatto una no fly zone, che ne depotenzia le possibilità di riprendere i territori occupati da IS e Al Nusra?

Ancora l’Asse Sunnita e ancora minaccia terrorista

In realtà, si tratta di una precisa scelta di campo: si privilegia l’“Asse sunnita” e si punisce la “mezzaluna sciita”, si sceglie l’Arabia Saudita e si emargina l’Iran con i suoi alleati sciiti, nonostante la loro disponibilità alla collaborazione in una guerra da loro non voluta ma che subiscono.
Si creano Paesi parcellizzati, come la Libia, serbatoi di reclutamento per i radicali, per i vecchi e nuovi gruppi di terroristi.
Intanto, la Coalizione di guerra creata per distruggere IS ha già fatto un danno collaterale: USA e Paesi Europei sono esposti alle ritorsioni dei terroristi, come avvenuto nei primi anni della guerra all’Iraq a Madrid, l’11 marzo 2004 e a Londra, il 7 e il 21 del 2005.

Fonte

Analisi implacabile, purtroppo considerando il soggetto e gli scenari considerati.

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