di Carlo Musilli
I soldi vincono quasi tutte le battaglie, ma la loro forza non è
sempre un male. Per la Scozia, ad esempio, non lo è stato. Il referendum
della settimana scorsa in cui il 54% degli elettori ha votato contro
l'indipendenza da Londra è in primo luogo una grande prova di raziocinio
e lucidità sul versante economico. L'affetto nei confronti della
Regina, è evidente, non ha avuto nulla a che vedere con l'esito della
consultazione.
Tantomeno il patriottismo britannico, l'unità d'intenti con il "Resto del Regno Unito" (come lo chiamava il Guardian), o il legame sentimentale con una storia unitaria che - dopo secoli di guerre - dura ormai da oltre trecento anni.
Gli
scozzesi hanno votato no perché la maggior parte di loro si è resa
conto che le incognite sul futuro economico del nuovo Stato indipendente
sarebbero state davvero troppe. A cominciare dalla valuta, il problema
più macroscopico. Il governo di David Cameron ha spostato certamente una
fetta significativa di voti minacciando di proibire alla nuova Scozia
l'adozione della sterlina. Alex Salmond, leader indipendentista e
premier di Edimburgo, aveva replicato con una contro minaccia molto
semplice: se ci negherete la sterlina, diceva, noi rifiuteremo di
accollarci la nostra parte di debito pubblico.
Nel migliore dei
casi uno stallo del genere avrebbe richiesto anni di negoziati prima di
risolversi in un accordo. Nel frattempo, la Scozia indipendente avrebbe
dovuto vagliare altre due ipotesi: battere moneta o entrare nell'euro.
Una nuova valuta sarebbe stata debolissima e oggetto della speculazione
più sfrenata, facendo la fortuna dell'export, ma affossando
risparmiatori e conti pubblici.
La seconda strada, invece, si sarebbe rivelata impraticabile, perché
prima di entrare nell'Eurozona bisogna essere ammessi nell'Unione
europea, e l'eventuale ingresso scozzese avrebbe incontrato
l'opposizione non solo del "Resto della Gran Bretagna", ma anche della
Spagna, preoccupata di non indicare agli indipendentisti catalani un
modello da seguire.
Un'incertezza di questo tipo avrebbe spinto
le banche a fuggire dalla nuova Scozia per rifugiarsi in Inghilterra, in
modo da continuare a sfruttare come prestatrice di ultima istanza la
Bank of England, un colosso planetario che dà ben altre sicurezze
rispetto a qualsiasi istituto centrale prodotto ex novo in terra
scozzese. Insieme alle banche, è probabile che anche le aziende (escluse
quelle esportatrici) avrebbero organizzato una diaspora generale per
restare fra le braccia di mamma Londra. Tutto ciò avrebbe avuto un costo
incalcolabile in termini di posti di lavoro, abbassando ulteriormente
l'occupazione in una terra che ad oggi non offre molte possibilità.
L'abitudine
di trasferirsi in Inghilterra per trovare un impiego, infatti, è già
assai diffusa fra i giovani scozzesi, il che solleva un altro
interrogativo: con un'età media della popolazione sempre più alta e un
rapporto sempre più sfavorevole fra attivi e pensionati, come avrebbe
fatto la Scozia indipendente a tenere in piedi il sistema previdenziale?
Non solo: ricerche alla mano, oltre a essere mediamente anziani, gli
scozzesi non godono nemmeno di ottima salute, perciò anche le spese
sanitarie non sarebbero state semplici da sostenere.
E' vero che
il nuovo Paese non avrebbe più avuto obblighi fiscali nei confronti
della tanto odiata Londra, ma avrebbe dovuto rinunciare anche ai
generosi trasferimenti che finora hanno per messo di far quadrare i
conti in tema di pensioni e sanità. Secondo Salmond, per risolvere
questi problemi sarebbe bastato istituire un fondo sovrano e investire
sui mercati finanziari i proventi garantiti dal petrolio del Mare del
Nord, che sarebbe rimasto per oltre il 90% in mani scozzesi.
D'altra parte, fin qui gli investimenti in pozzi e piattaforme sono
arrivati per la maggior parte dal governo britannico, dalla British
Petroleum e da altre multinazionali che ci avrebbero pensato due volte
prima di mettersi contro il "Resto della Gran Bretagna". Senza contare
che la produttività degli stessi giacimenti è un rebus, considerando che
negli ultimi anni l’andamento del prezzo del petrolio e alcune chiusure
impreviste hanno fatto sprofondare i ricavi prodotti dall'oro nero
scozzese (dai 12,4 miliardi di sterline del 2008-2009 si è passati ai
6,5 miliardi del 2012-2013).
A conti fatti, quindi, gli scozzesi
avevano moltissime ragioni per dire no. L'indipendenza avrebbe acceso
il cuore dei nazionalisti, ma tutti gli altri si sarebbero ritrovati a
fluttuare nel vuoto, lontanissimi da qualsiasi certezza sul futuro. Poi
non è detto, magari a qualcuno la Regina sta simpatica davvero.
Fonte
Il punto è che il fonte indipendentista doveva presentare un pinano socio-economico chiaro all'indomani del referendum. La cosa non è stata fatta e la maggioranza degli scozzesi non se l'è sentita di fare un salto nel vuoto, senza una programmazione chiara del domani, anche immediato.
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