di Fabrizio Casari
Un avviso di garanzia o, per certi versi, un avviso di sfratto. Questo il messaggio che Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera,
ha inoltrato al Premier a mezzo stampa il giorno dell’inaugurazione del
nuovo formato tabloid. Il quotidiano di Via Solferino, espressione dei
poteri forti italiani, organo per definizione dell’establishment
industriale e finanziario del Paese, è da sempre ultragovernativo e si
caratterizza per un stile “british”, poco incline alle intemerate.
Fedele al suo stile, è tutt’altro che frequente leggere in prima pagina
sul Corriere della Sera un editoriale del Direttore e, men che
mai, un intervento di tale nettezza. Toni durissimi, accuse precise e da
molti condivise, fuori e dentro al Palazzo.
“Renzi non mi
convince”, comincia De Bortoli. Così il Premier viene immediatamente
avvertito, sin dall’incipit, che chi scrive non gradisce di lui quasi
niente: la tendenza smaccata al decisionismo in solitaria, la debolezza
disarmante di alcuni esponenti del suo governo, per i quali pare essere
la fedeltà a lui l’unica reale caratteristica e sui quali pesa, inoltre,
l’appartenenza alla sua Regione come ulteriore segno distintivo.
Difficile dare torto su questo a De Bortoli: vedere la Madia, la
Mogherini o Poletti occuparsi di dicasteri strategici non è affatto
rassicurante, se non per Renzi stesso, che evita come la peste le
personalità in grado di fargli ombra. D’altra parte, la linea del
governo è ormai appannaggio degli uomini di Forza Italia, che non si
vergognano di evidenziare ogni singolo passaggio del patto del Nazareno
tra il pregiudicato e lo spregiudicato.
Ed è per questo che, in
un crescendo rossiniano, De Bortoli, dopo averlo invitato a correggere
toni ed errori che fanno di Renzi stesso il peggior nemico di Renzi,
arriva alla bordata più pesante, chiedendo di “chiarire tutti i
contenuti del Patto del Nazareno, liberandolo da vari sospetti (riguarda
anche la Rai?) e, non da ultimo, dallo stantio odore di massoneria”.
L’attacco
violentissimo al bullo vanesio di Palazzo Chigi arriva proprio il
giorno in cui Renzi si pavoneggiava negli Stati Uniti, dove si è esibito
al cospetto della famiglia Clinton e con Obama, con imprenditori
statunitensi e quindi intervenendo all’ONU. E per quanto abbia
continuato a sostenere la parte del duro che sfida venti e maree per
imprimere l’ennesima torsione del sistema di garanzie e diritti
chiamandola "riforme", non c’è dubbio che il colpo sia arrivato.
Difficile archiviare l’editoriale di De Bortoli come un qualunque
articolo di critica, difficile non vedere come il giornale da lui
diretto, finora accomodante al limite della piaggeria, abbia inaugurato -
stavolta davvero - un cambiamento di verso.
Il riferimento alla
massoneria è direttamente rivolto alla sua corrente più importante,
quella angloamericana, che ha espresso la maggior parte delle presidenze
a stelle e strisce sin dalla sua fondazione (e, in alcuni momenti,
dell’intero blocco occidentale) e non può sfuggire come il legame del
Premier con Verdini (indagato per la loggia P4) e l’ormai co-governo con
Berlusconi a tutto servano meno che a porre interrogativi in questo
senso. E la smaccata, assoluta obbedienza dell’ex sindaco di Firenze nei
confronti della linea statunitense sia in politica estera globale sia
in Europa, fin troppo semplice da riscontrare, aumenta esponenzialmente i
sospetti.
Soprattutto
quando, in opposizione agli interessi italiani, Renzi dapprima impone
la sconosciuta Mogherini nel ruolo di Lady Pesc, che non serve
all’Italia ma è l’unico ruolo che interessi agli Stati Uniti, per
mantenere sotto controllo la politica estera europea.
Quindi, anche qui in opposizione agli interessi italiani, dispone
l’adesione dell’Italia all’embargo antirusso, causando un ulteriore,
violentissimo trauma all’economia delle nostre aziende esportatrici, con
ricadute negative sul piano occupazionale nei settori calzaturiero, del
pellame e ortofrutticolo e producendo danni per miliardi di euro.
Sul piano più interno la volontà di scontro contro tutti e tutto non è certo un elemento secondario nel j’accuse del direttore del Corsera.
Oltre al pasticcio incostituzionale della riforma del Senato, che
difficilmente vedrà comunque la luce, ci sono i numeri della nostra
economia, che peggiorano sensibilmente da quando il bullo siede a
Palazzo Chigi.
A questo quadro già drammatico si sommano gli annunci mai seguiti da
fatti, le figuracce inanellate con i contratti della Pubblica
Amministrazione e altri provvedimenti rimangiati, nella generale
sensazione della navigazione a vista con un equipaggio di mozzi
improvvisatisi capitani.
E a far traboccare il vaso dal punto di
vista dei poteri forti italiani arriva la volontà di sopprimere
l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che crea le condizioni per
un nuovo scontro sociale di cui l’establishment italiano farebbe
volentieri a meno. Persino i suoi amici Farinetti e Della Valle fanno
eco al presidente di Confindustria Squinzi affermando che l’articolo 18
non è un obiettivo per nessuno. Addirittura Farinetti sostiene che
andrebbe mantenuto.
Insomma, sull’articolo 18 si rischia uno
scontro non richiesto nemmeno dagli industriali, anche perché oltre a
riaprire una possibile stagione di conflitto, contribuisce ad aprire una
spaccatura all’interno dei DS, considerati ormai dall’establishment
italiano l’unica forza politica abile all’interlocuzione con le forze
sociali, l’unico possibile elemento di mediazione nella società italiana
dopo la definitiva scomparsa della destra. Una rottura interna al PD e
SEL, con i 5Stelle fuori gioco, aprirebbe inevitabilmente le porte a un
ritorno di Berlusconi nella maggioranza parlamentare di governo, con il
risultato di andare verso lo stallo del sistema politico mentre ancora
non è stata votata la legge elettorale con la quale si dovrebbe votare.
Le reazioni dell’establishment politico e finanziario italiano non sono ancora evidenti ma De Bortoli, che lascerà il Corriere nella
prossima primavera, non sembra isolato. Sullo sfondo del fallimento di
Renzi, che ha perso solo negli ultimi due mesi il 15% nei sondaggi, il
sistema avverte come possibile una crisi politica senza uscita che
rischierebbe di vedere l’arrivo della troika in Italia, cosa che, come
ricorda De Bortoli, l’Italia non vuole assolutamente.
A
difendere il premier scende in campo Marchionne, antico idolo di Renzi.
L’AD di Fiat spiega che Renzi va sostenuto e, addirittura, “aiutato
finanziariamente”, mentre sono in molti a credere che l’attacco virulento
di Renzi alla minoranza del PD abbia tra i suoi scopi anche uno tutto
interno: o l’umiliazione della minoranza con le ovvie ricadute sul suo
potere interno o, nel caso l’opposizione venisse confermata, il favorire
una scissione che consegni a lui il dominio incontrastato del maggior
partito italiano e che, dato il generale sfilacciamento delle forze
politiche, renda comunque impossibile aggregazioni di sostanza numerica e
politica in grado di far nascere un competitor a sinistra.
Un
disegno ambizioso che avrebbe diversi sostenitori, ma tutti oltreoceano.
In Europa, dove Berlino e Parigi ritengono di aver bisogno anche di
Roma per disputare la partita dell’egemonia condivisa con Washington, si
pensa che Renzi possa portare allo sfascio l’Italia, con il risultato
di mettere in difficoltà l’intera economia europea. Dal punto di vista
dei poteri forti europei, Renzi non è una minaccia per l'impronta
liberista delle politiche economiche, ma potrebbe comunque ostacolare le
manovre continentali, anche a causa di una assai limitata sapienza
politica, sua come della sua squadretta scombinata dove nessuno sa cosa
dire e cosa fare.
Vista da Bruxelles, Draghi potrebbe agevolmente guidare il governo
italiano, così abbandonando la poltrona di Presidente della BCE, dove
siederebbe un nuovo presidente molto più sensibile alla linea
finanziaria tedesca. E Renzi potrebbe tornare alle sue amate comparsate
televisive. Stavolta, però, in seconda serata.
Fonte
Comunque vada sarà un disastro, per le classi sociali subalterne s'intende.
Nessun commento:
Posta un commento