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26/09/2014

Dopo ‘Margine protettivo’: quale futuro per Palestina e Israele?

L’operazione militare israeliana di 50 giorni che ha ucciso 2.100 palestinesi, ne ha feriti 11.000 e ha indubbiamente traumatizzato l’intera popolazione di Gaza di 1.700.000 persone, ha ucciso anche 70 israeliani, 65 dei quali erano soldati.

Questo recente violento scontro è finito senza una chiara vittoria per l’una o l’altra parte. Malgrado questo, Israele e Hamas stanno entrambi insistendo che è stata ottenuta la ‘vittoria’. Israele fa notare i risultati materiali, cioè i tunnel e i depositi di missili che sono stati distrutti, le uccisioni di obiettivi obiettivi presi di mira, e il complessivo indebolimento della capacità di Hamas di lanciare un attacco. Hamas, da parte sua, rivendica risultati politici, essendo diventata molto più forte politicamente e psicologicamente sia a Gaza sia in Cisgiordania, rispetto all’inizio dei combattimenti, avendo rifiutato di cedere riguardo alla fondamentale richiesta di ‘demilitarizzazione’ di Gaza e avendo anche appannato ulteriormente la reputazione internazionale di Israele.

La Commissione dell’ONU per i Diritti Umani ha fatto quello che per loro è un passo eccezionale: nominare una commissione di inchiesta per indagare sulle accuse di crimini di guerra. Il fatto che William Schabas, un famoso esperto di legge penale internazionale, specialmente riguardo al crimine di genocidio, sia stato scelto per presiedere l’inchiesta è di grande significato simbolico e potenzialmente di grande rilevanza per l’attuale lotta per la legittimità che viene combattuta con successo dal popolo palestinese. Qualcuno l’ha definita ‘Goldstone 2.0’ in riferimento alla precedente iniziativa di indagine di alta visibilità della Campagna per i Diritti Umani (HRC) suggerita dall’operazione militare israeliana contro Gaza del 2008-2009 che aveva scioccato il mondo per la sua ferocia e per il disprezzo delle leggi internazionali di guerra. Al contrario di Richard Goldstone che era un dilettante riguardo alla legge internazionale ed era allineato ideologicamente con il sionismo, Schabas è un massimo esperto accademico, senza alcuna inibizione ideologica nota, e con la forza di carattere di rispettare i previsti risultati e le raccomandazioni del rapporto che produrrà l’inchiesta.

Come in precedenza, gli Stati Uniti useranno la propria forza geopolitica per proteggere Israele da censura, critiche, e, soprattutto, dalla sua responsabilità. Questa deplorevole limitazione riguardo l’applicazione della legge internazionale, non significa che lo sforzo di Schabas manchi di significato. Il risultato politico di precedenti lotte anti-coloniali è stato controllato dalla parte che vince la guerra di legittimità per il controllo dei ‘piani alti’ della legge e della moralità internazionale.
Questo terreno simbolico è così importante dato che rafforza la resistenza di coloro che cercano la liberazione per portare i pesi della lotta e rinforza il movimento di solidarietà globale che fornisce un appoggio fondamentale. In questo senso, il Rapporto Goldstone ha esercitato un’importante influenza nel delegittimare la periodica vasta distruzione a Gaza, specialmente gli usi enormemente sproporzionati della forza contro una popolazione civile totalmente vulnerabile e essenzialmente indifesa e intrappolata.

Il risultato più impressionante di questo recentissimo attacco violento da parte di Israele che sembra meno un esempio di ‘guerra’ che di ‘massacro orchestrato’, è stranamente ironico visto da una prospettiva israeliana. La ricerca spietata di Israele di una vittoria militare ha avuto l’effetto di rendere Hamas più popolare e legittimo di quanto fosse mai stato, non soltanto a Gaza, ma ancora di più in Cisgiordania. L’operazione militare di Israele ha minato gravemente le rivendicazioni già contestate dall’Autorità Palestinese di essere l’autentico rappresentante delle aspirazioni del popolo palestinese. La spiegazione migliore di questo esito è che i palestinesi nel loro insieme preferiscono l’opposizione di Hamas, per quanta sofferenza produca, rispetto al passivo adattamento dell’AP alla volontà dell’occupante e dell’oppressore.

Da parte sua Israele ha segnalato un rifiuto meno mascherato di avviarsi verso una pace negoziata nelle attuali circostanze. Il Primo ministro Netanyahu ha detto ancora una volta ai palestinesi che devono scegliere tra la ‘pace e Hamas,’ senza dire che il suo uso della parola ‘pace’ l’ha resa indistinguibile dalla parola ‘resa’. Netanyahu ha ripetuto la sua spesso proclamata posizione: Israele non negozierà mai con un’organizzazione terrorista che si è impegnata nella sua distruzione. Piantando un altro chiodo in quella che sembra la bara della soluzione dei due stati, Israele ha annunciato la più grossa confisca di terra per l’espansione degli insediamenti in più di 20 anni, prendendo quasi 1000 acri di terreno pubblico vicino a Betlemme che va aggiunto al piccolo insediamento di Gvaot vicino al blocco di Etzion a sud di Gerusalemme. Alcuni si chiedono: “Perché adesso?”, invece che fare la domanda più intuitiva: “Perché non adesso?”

Partendo da queste prospettive, il vero impatto della carneficina di Gaza può essere meno la devastazione fisica e la catastrofe umanitaria, i danni imminenti di malattie epidemiche, e di 12 miliardi di danni che verranno superati fra 20 anni, rispetto agli effetti politici. E’ come la sospensione della diplomazia inter-governativa come mezzo di risoluzione del conflitto. Anche l’AP che cerca la sua riabilitazione politica, parla ora di chiedere all’ONU che stabilisca una tabella triennale per il ritiro di Israele dalla Cisgiordania. Sta anche minacciando di ricorrere alla Corte penale internazionale perché autorizzi un’indagine sulle accuse che di per sé l’occupazione della Cisgiordania implichi l’aver compiuto crimini contro l’umanità.

In base a queste prospettive, la situazione sembra disperata. Le prospettive palestinesi di avere un proprio stato, che è stato per anni la speranza dei moderati di entrambe le parti, ora sembra irrilevante. Soltanto il modello dei due stati, in qualunque modo venga varato, potrebbe conciliare di nuovo le pretese contrastanti del Sionismo israeliano e del nazionalismo palestinese. Naturalmente, i critici palestinesi si chiedevano sempre di più se il Sionismo fosse conforme ai diritti umani della minoranza palestinese e delle sue grandi comunità di profughi e di esiliati, e tendeva a considerare il risultato dei due stati come un trionfo del progetto sionista e una sconfitta ‘ricoperta di zucchero’ per le aspirazioni nazionali palestinesi. Ora ‘i giochi sono finiti’ per la soluzione dei due stati, e la vera lotta si sta svolgendo più chiaramente tra versioni in competizione di una soluzione con un solo stato.

Che cosa possiamo aspettarci? Perfino un cessate il fuoco sostenibile che permetta agli abitanti di Gaza di riprendersi in qualche modo dalla spaventosa traversia di un crudele regime di punizione collettiva sembra improbabile che duri molto a lungo nell’attuale atmosfera. C’è ogni motivo di supporlo data la frustrazione di Israele per il fallimento del suo attacco per schiacciare Hamas e per il rifiuto di Hamas di accettare senza atti di opposizione le dure realtà del suo continuo soggiogamento.
E tuttavia ci sono barlumi di luce nei cieli oscurati. L’ostinatezza dell’opposizione palestinese unita alla robustezza di un movimento crescente di solidarietà globale è probabile che eserciti una pressione che si sta intensificando sul pubblico israeliano e su alcuni dei suoi capi perché rivedano le loro scelte per il futuro, e da un punto di vista israeliano prima avverrà e meglio sarà. La campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) sta guadagnando spinta politica e morale ogni giorno. Il tipo di movimento internazionale non violento che inaspettatamente ha contribuito a provocare il crollo improvviso del regime di apartheid in Sudafrica, sembra come se potesse a un certo punto spingere gli israeliani a riconsiderare se un accordo non sia nell’interesse di Israele, anche se richiede il ripensare a quella che è l’essenza della realtà di ‘una patria ebraica’, e anche se non raggiunge una riconciliazione completa. Come indica l’esperienza in Sudafrica e anche in Irlanda del Nord, la parte che prevale in campo militare, non riconosce la pressione politica che aumenta, fino a quando non sarà pronta a un patto con il suo nemico, cosa che sarebbe sembrata inconcepibile soltanto poco prima che venisse fatto.

Attualmente l’esito della lotta israelo-palestinese è oscuro. Dalla prospettiva territoriale sembra che Israele sia sul punto di vincere, ma da una prospettiva di lotta per la legittimità i palestinesi stanno avendo la meglio. Il flusso della storia fin dalla fine della seconda guerra mondiale fa pensare a un futuro di speranza per i palestinesi, e tuttavia la forza geopolitica di Israele può essere in grado di resistere alla pressione di riconoscere il fondamentale diritto palestinese di autodeterminazione.

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