Il rilancio di nuovi negoziati per far terminare l’occupazione israeliana in un lasso di tempo determinato. E’ questo quello che dirà oggi (ore 20 italiane) il Presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) all’Assemblea delle Nazioni Unite. Abbas ne è convinto: è il fallimento dei negoziati con Tel Aviv a rendere necessario il ricorso alla comunità internazionale. E così, nonostante più di venti anni di fallimenti, stasera il presidente proverà ad illustrare ai delegati internazionali il “suo piano strategico” che ha come obiettivo la fondazione di uno stato palestinese a fianco di quello israeliano in un periodo di tempo determinato. E in caso di fallimento o di rifiuto di nuovi negoziati da parte israeliana, l’Autorità Nazionale fa sapere questa volta che si rivolgerà alla Corte Penale internazionale (ICC) per denunciare i crimini dello stato ebraico. Un passo che spaventa solo a parole Tel Aviv che è abituata ai proclami “bellicistici”di Ramallah che mai, in passato, si sono tradotti in azioni concrete.
Anche ad inizio settembre, ad esempio, fonti
palestinesi avevano sostenuto che era stato proprio Abbas a fermare
l’iter burocratico per l’ICC. Fonti interne dell’Olp raccontano,
infatti, che la domanda era pronta per essere presentata all’Aia, ma non
fu consegnata all’ultimo momento dal Ministro degli Esteri palestinese
Riyad al-Maliki su pressioni della dirigenza di Fatah.
Sarà sicuramente un Abu Mazen più tranquillo
quello che oggi parlerà a New York. Hamas e il suo Fatah dialogano
“serenamente” e hanno raggiunto ieri un accordo “completo” per un
governo di unità nazionale che comprende tutti i territori
palestinesi. Tradotto sul terreno vuol dire che l’esecutivo, presieduto
sempre dall’anziano Presidente, subentrerà effettivamente al governo di
Hamas nella Striscia di Gaza, prendendo il controllo del valico di Rafah
e del corridoio Philadelphia adiacente alla frontiera con l’Egitto.
Una serenità dimostrata anche dal capo negoziatore Sa’eb Erakat.
Qualora Israele dovesse venire meno ai negoziati, ha precisato il
diplomatico palestinese, la migliore soluzione per i palestinesi –
nonostante la contrarietà di Washington – sarà rappresentata dall’Icc. Una richiesta di adesione che, ha precisato, richiederà almeno due o tre settimane prima di una sua stesura definitiva.
Intanto non si placano le tensioni a
Gerusalemme dove l’accesso alla moschea di al-Aqsa ha subito pesanti
restrizioni per il terzo giorno consecutivo. Ingente il
dispiegamento di forze di sicurezza israeliane così come numerosi sono
gli sbarramenti comparsi in vari punti della Città Vecchia. “La polizia
ha impedito agli uomini sotto i 50 anni di entrare nella Spianata per il
venerdì di preghiera” ha denunciato all’agenzia turca Anadolu Sheikh
Azzam al-Khatib, il direttore generale dell’Organizzazione per le
donazioni musulmane per al-Aqsa”. Al-Khatib ha poi costatato amaramente:
“mentre Israele restringe l’ingresso ai Palestinesi, facilita l’entrata
dei coloni sionisti nel luogo sacro”.
Mercoledì e giovedì Israele ha impedito ai
palestinesi anche l’accesso alla Moschea di Ibrahim nella città di
Hebron. Chiuso da ieri per quattro giorni anche Kerem Shalom, l’unico valico commerciale tra lo stato ebraico e la Striscia di Gaza.
Le restrizioni non sono nuove nei Territori Occupati, soprattutto durante le feste ebraiche. Mercoledì gli ebrei hanno festeggiato il capodanno ebraico (“Rosh hashana") inaugurando l’anno 5775.
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