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26/09/2014

Scozia: hanno vinto gli indipendentisti

Il referendum del 18 settembre? Ma è chiaro: lo hanno vinto gli indipendentisti. Non ve ne eravate accorti? Certo, la conta dei voti ha dato un po’ più del 54% al No e, nell’immediato, non c’è alcuna secessione. Ma la politica è qualcosa di più del calcolino ragionieristico e non sempre il vincitore è quello che ha preso 1 voto più dell’altro. Un po’ come agli scacchi, dove puoi vincere dando matto, anche avendo la metà dei pezzi dell’avversario, perché quello che conta non è tanto quanti pezzi hai, ma come sono disposti. Fuori di metafora: gli indipendentisti hanno vinto in primo luogo perché hanno ottenuto il riconoscimento del diritto al referendum, che quindi, potranno richiedere ancora in seguito. Tanto più che il loro referendum sta aprendo la strada ad una valanga di consultazioni simili nel resto d’Europa.

Un paese non resta unito per uno scarto dell’8 o 9% dei voti: agli unionisti sarebbe servito andare oltre il 60% per cantare vittoria, considerando anche che quel margine è stato ottenuto in gran parte grazie agli ultrasessantacinquenni. Questo vuol dire che in meno di 10 anni, per un mero meccanismo demografico, quella maggioranza non ci sarà più.

Però, qualcuno potrebbe dire, per ora il Regno resta il Regno Unito, il resto non conta perché il futuro, come si sa, è sulle ginocchia di Giove. Il che sarebbe perfettamente conforme all’ottica di brevissimo periodo propria di questa epoca. Ma neppure questo può essere detto, perché, di fatto, la secessione del Regno Unito si è messa in moto. Londra, per vincere questa prova, ha dovuto promettere una super devolution (dopo che la prima devolution aveva clamorosamente mancato l’obiettivo di tenere gli scozzesi legati al suo carro)  ma questo non fa che trasferire ulteriori poteri dal centro alla periferia, allentando, di conseguenza il vincolo unitario.

Per di più, sarà costretta, come già dichiara lo stesso Cameroon, ad estendere la super devolution anche agli altri: gallesi, irlandesi e… inglesi, visto che non c’è ragione per la quale i soli scozzesi debbano avere questi privilegi. E, conseguentemente, già si manifesta l’idea di un parlamento che non legifera per tutto il Regno, ma solo su una parte di esso, escludendo i deputati delle altre parti. Ed, in una dinamica del genere, è logico prevedere una frammentazione degli stessi partiti nazionali: conservatori, liberali e laburisti, se vorranno ottenere qualche seggio in Scozia, Galles o Irlanda, dovranno sempre più caratterizzarsi come partiti locali.

La stessa Ukip, data anche la distribuzione del suo voto, tenderà a mettere radici dove ha maggior seguito ed a trasformarsi prevalentemente nel partito regionale dell’Inghilterra orientale e della Cornovaglia (dove pure covano fermenti indipendentisti). Il che avrà una implicazione ovvia sulla forma di governo, perché l’esecutivo centrale dovrà fare affidamento su maggioranze variabili. E non è difficile immaginare che, soprattutto in momenti particolarmente critici (la partecipazione ad una missione di guerra, una forte crisi finanziaria ecc.) il governo dovrà negoziare i voti dei partiti regionali con sempre maggiori concessioni: nel giro di meno di 10 anni scopriremo che la devolution è solo una secessione a rate.

E voi dite che hanno vinto gli unionisti?

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